La politica di Trump verso l'Iran
Commento di Antonio Donno
Donald Trump
La decisione di Trump di inasprire in novembre le sanzioni contro l’Iran soprattutto sul piano dello sbocco del petrolio iraniano sui mercati internazionali e la decisione di mantenere in Siria la presenza dei soldati americani in funzione anti-iraniana rappresentano due mosse che colpiscono la teocrazia iraniana al potere a Teheran e costituiscono un contributo fondamentale alla stabilità di Israele nel Medio Oriente. Trump e i suoi collaboratori hanno compreso che per ristabilizzare la regione occorre sconfiggere la presenza dell’Iran e, perciò, rendere più complicata la politica di Putin in quell’area. A questo occorre aggiungere i tagli cospicui che Washington ha deciso di effettuare al contributo americano all’UNRWA e, nello stesso tempo, di concedere 32 miliardi di dollari per armamenti a Gerusalemme. Un atteggiamento che non si vedeva da molti anni da parte degli Stati Uniti. È una manovra a tenaglia che mette in difficoltà l’Unione Europea nei suoi rapporti con Teheran, perché è difficile pensare che essa possa essere in grado di sostituire gli Stati Uniti nel foraggiamento economico dell’Iran, in grave difficoltà nel vendere il proprio petrolio, tenuto conto anche della grave situazione economica del paese degli ayatollah e dei movimenti ribellistici che si verificano nel paese. In sostanza, Trump ha ben compreso che la questione israelo-palestinese potrà diminuire sensibilmente il suo impatto nella regione e a livello internazionale solo se il principale nemico della stabilità della regione sarà messo alle corde.
Come si è letto sulla stampa, Rohani ha tentato di stabilire un contatto con l’Arabia Saudita per avere una sponda economica in grado di colmare il deficit iraniano sempre più pesante, ma Riad non ha alcuna intenzione di contribuire alla permanenza dell’Iran sciita nell’area, anche per il fatto che Teheran è presente in una parte strategicamente vitale della penisola arabica, lo Yemen, dove gli hezbollah combattono proprio contro le truppe saudite. Il mondo arabo sunnita vede nell’Iran sciita una gravissima minaccia esistenziale e, come è evidente dagli eventi politici che hanno luogo nella regione, i paesi sunniti vedono negli Stati Uniti un prezioso difensore della propria esistenza e si acconciano ad avere, soprattutto Riad, relazioni positive, anche se nascoste, con Gerusalemme. Le priorità stabilite da Trump hanno, quindi, un significato ben preciso. Lo stesso Netanyahu aveva più volte ribadito a Trump e a Putin che la vera minaccia a Israele non proveniva dai palestinesi – anche se gli attentati palestinesi a singoli individui israeliani sono frequenti e gli incendi danneggiano non poco le aree più vicine a Gaza – ma in prospettiva dall’Iran, la cui ambizione è di controllare il Medio Oriente ed espandere la propria presenza nel Mediterraneo orientale. Si verificherebbe, di fatto, un accerchiamento di Israele sulla terra e sul mare; la presenza iraniana al confine del Golan lo sta a dimostrare. Tuttavia, non si può negare che la situazione economica dell’Iran si stia facendo sempre più grave e che la popolazione incrementi la protesta contro condizioni di vita che si fanno precarie di giorno in giorno. Naturalmente, il tempo gioca a sfavore del regime terroristico di Teheran, né si può pensare che Mosca abbia le risorse economiche per sostenere il regime degli ayatollah. Una situazione che nel tempo dovrebbe favorire Israele.
Antonio Donno