Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/10/2018, a pag. IV con il titolo "Il grande tabù" il commento di Giulio Meotti.
Giulio Meotti
Per un abitante di Seine-Saint-Denis, il dipartimento francese dove vivono un milione e mezzo di persone, la scelta del nome per un nuovo nato maschio oggi è abbastanza semplice. I dati ufficiali appena diffusi dall’Istituto nazionale di statistica registrano i primi dieci nomi più diffusi fra i nuovi nati: Mohamed, Adam, Ibrahim, Rayan, Ismael, Noah, Amir, Imran, Ali e Liam. E’ la “Francia proibita”, su cui adesso mette gli occhi addosso uno dei più originali giornalisti investigativi, Laurent Obertone. “O siamo del tutto favorevoli, e dobbiamo accogliere i migranti all’infinito, o siamo del tutto sfavorevoli, ed è necessario respingerli tutti in mare”. Nel suo nuovo libro La France interdite, pubblicato dalle edizioni Ring, Obertone mette la carne e i numeri al grande spettro e tabù del nostro tempo: l’immigrazione. Alla destra che agita il “grand remplacement” di Renaud Camus, il rimpiazzo, la sinistra risponde che si tratta soltanto di una paranoia inquietante. “L’immigrazione è un soggetto proibito, pericoloso, oggetto di tutti gli scandali e di tutti i ricatti, indubbiamente il più difficile da affrontare nell’Europa contemporanea” scrive Obertone nel libro che in parte qui anticipiamo. “E’ impossibile fare un ‘dibattito’ o anche avere una discussione sull’immigrazione che non si riduca a una gara di anatemi, minacce, intimidazioni. E’ il gigantesco punto cieco di un impero alla deriva. La sua dinamica – esponenziale – è ancora tabù. Lo sconvolgimento che genera è totalmente sottovalutato, ignorato, negato”. Uno dei vizi degli intellettuali francesi che certa stampa di sinistra chiama réac, reazionari, è dire che esiste una censura, salvo poi scoprire che il libro di Obertone, che Michel Houellebecq ha definito “il più grande polemista del domani”, da questa settimana è già nella cinquina dei libri più venduti, fra i libri di cucina e i romanzi di John Fante (con “Guerriglia”, Obertone aveva venduto quasi mezzo milione di copie). “I nostri coraggiosi politici ci dicono che dobbiamo evitare che il clima aumenti di due gradi entro cento anni, ma che non possiamo assolutamente fare nulla per l’immigrazione” scrive il giornalista.
La copertina
“Gli europei stanno scomparendo, come i dinosauri. Questo libro riguarda la Francia, ma i suoi risultati possono estendersi a tutta l’Europa occidentale”. L’immigrazione è la più grande rivoluzione del nostro tempo. “Dall’Homo Sapiens alla fine del secolo scorso, vale a dire per 45 mila anni, la proporzione di persone con origini eurasiatiche che si sono stabilite su ciò che corrisponde all’attuale territorio francese non è mai scesa sotto il 99,9 per cento della popolazione. Invasioni incluse. Dalla fine del XX secolo a oggi, in soli 40 anni, e nonostante un picco record della popolazione indigena, la proporzione extra eurasiatica è improvvisamente aumentata in Francia. Un fenomeno simile può essere osservato in tutta l’Europa occidentale. Gli europei indigeni saranno quindi, in meno di cinquant’anni, minoranza sul loro stesso territorio”. E’ ora di chiedersi perché questo argomento allora sia così caldo, così tabù, così pericoloso. “Niente sarebbe più pericoloso della persistenza del divieto. Niente conta più della necessità di romperlo. Il tempo della cautela e dei calcoli è passato. Nessuna paura merita più il nostro consenso. Solo la verità deve vaccinarci per sempre dai pericoli dell’utopia. Sull’immigrazione, e specialmente sull’immigrazione, la verità va detta. E’ tempo di rompere il consenso del silenzio. Più il soggetto è serio, meno uno può permettersi il lusso delle bugie, il piacere della speranza e il conforto dell’ignoranza. I chierici devono smettere di tradire. Qualunque sia il prezzo. E’ meglio prendersi cura della verità e rischiare la pira degli eretici piuttosto che lasciare che le passioni suggellino il nostro destino”. Sgombra subito il campo, Obertone: “Non sto parlando delle ipotesi di Renaud Camus, ma di quelle delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa e del Population Council, che ritiene che la popolazione europea, Russia compresa, nel 2100 vedrà 170 milioni di individui, contro una schiacciante maggioranza di immigrati e persone di origine immigrata”. I numeri di Obertone sono presi da fonti ufficiali, istituti di ricerca, studiosi e accademici importanti come François Heran, Hervé Le Bras e altri. Nel 2017, secondo l’Insee (Istituto nazionale di statistica), la proporzione di immigrati nella Francia metropolitana è stata “la più alta di tutti i tempi” (9,7 per cento). Tuttavia, la Francia ha molti più discendenti di immigrati (l’11 per cento della popolazione nel 2015). E stiamo parlando solo della prima generazione (i figli degli immigrati), non della seconda (nipoti) o della terza (pronipoti). La naturalizzazione, infatti, elimina le statistiche su questi ex immigrati. Il trenta per cento dei francesi è figlio dell’immigrazione, secondo la stima del demografo Michèle Tribalat, o dello storico Gérard Noiriel. Ciò non significa che il 33 per cento dei francesi provenga dalla “diversità visibile”. Una buona parte di loro sono, infatti, di origine europea. Secondo un rapporto dall’Institut Montaigne, le “minoranze visibili” (Asia, Maghreb, Africa) rappresentavano nel 1999 “più di otto milioni di persone”. Nel 2015, secondo lo storico Pascal Blanchard, ricercatore presso il Cnrs, sono salite fra 12 e 14 milioni, ovvero tra il 18 e il 22 per cento della popolazione, con almeno uno dei loro nonni nato in territorio extraeuropeo, ovvero Maghreb, Africa nera, Turchia, medio oriente, India, Caraibi, Asia e parti del mondo con una migrazione più marginale (Oceania, Americhe…). Come dice Eric Macé, professore di Sociologia presso l’Università di Bordeaux, “possiamo considerare che circa il 20 per cento della popolazione che vive in Francia sia visto come non bianchi”.
Laurent Obertone
Prendendo i dati dall’Istituto nazionale di statistica (Insee), dall’Istituto nazionale per gli studi demografici (Ined) e dall’Eurostat, Obertone enuclea 5,4 milioni di discendenti di nordafricani, ovvero l’8,3 per cento della popolazione; 2,75 milioni di discendenti di africani sub-sahariani, pari al 4,2 per cento della popolazione; un milione di discendenti di asiatici, cioè l’1,5 per cento della popolazione, e così via, fino a “un totale di 11,8 milioni di individui della ‘diversità visibile’, vale a dire il 18 per cento della popolazione francese. Questa stima, rigorosamente compatibile con quella di Pascal Blanchard, è la più bassa. Vi sembra poco? Queste cifre sono una rivoluzione, con conseguenze incalcolabili. Quello che non è mai accaduto da più di quarantacinquemila anni è appena accaduto, in modo fiammeggiante, e continua ad accadere, in modo abbastanza pacifico, con il contributo attivo dei nostri leader e della nostra amministrazione, nello spazio di quarant’anni. Demograficamente, questa immigrazione è molto più importante di una colonizzazione. I nativi francesi che si stabilirono in tutte le colonie del nostro impero non furono mai più di 1,5 milioni. Solo all’interno della Francia, la ‘diversità visibile’ ha oggi il peso demografico di un paese medio come il Belgio o la Grecia”. Dal 1999 al 2015, secondo Ined e Insee, la popolazione francese è cresciuta del 4,9 per cento, ma la popolazione di origine turca è aumentata del 40, la popolazione di origine maghrebina è aumentata del 46 e la popolazione di origine subsahariana è aumentata del 138 per cento. Secondo il demografo Yves-Marie Lalan, la fertilità degli immigrati non europei in Francia è oggi “da due a tre volte superiore a quella delle donne francesi”. Ecco la realtà: “La popolazione francese, già una minoranza per nascita, ha iniziato a declinare. Ce ne vogliono due per rinnovare le generazioni. 1,3 bambini per donna significa che cento francesi avranno 65 bambini, che ne avranno 42, che ne avranno 27, ecc. Ogni generazione di giovani francesi sarà quasi dimezzata”. Se vogliamo stabilire una proiezione demografica, anche la mortalità deve essere presa in considerazione. “La Francia ha lamentato 519 mila morti nel 2004 e questa cifra da allora non ha cessato di salire, arrivando a 603 mila morti nel 2017. E questa tendenza al rialzo dovrebbe continuare, a causa del graduale ingresso delle generazioni del baby boom nella vecchiaia. L’Ined sta prevedendo 700 mila morti nel 2040. La mortalità dei nativi è ovviamente molto più alta di quella degli immigrati e dei loro discendenti, e questa tendenza aumenterà nei prossimi anni. Nel 2040, la Francia avrà perso, per lo meno, 3,72 milioni di nativi”. Anche l’immigrazione legale sta vivendo una forte crescita: “E’ record di 262 mila permessi di soggiorno nel 2017. Essenzialmente magrebina, subsahariana, asiatica e mediorientale, è una popolazione giovane”. Nelle famiglie sub-sahariane recentemente arrivate in Francia, spiega il ricercatore Hugues Lagrange, quasi il 30 per cento degli uomini sposati è poligamo e le donne hanno in media da 6 a 7 figli. “Nel 2016 sono state registrate 783.640 nascite. Il 30,9 per cento di questi neonati proveniva da contesti di immigrati. Immigrazione, che, non dimentichiamo, rappresenta solo il 9,7 per cento della popolazione francese”. Due le osservazioni di Obertone: “La ‘diversità visibile’, che è meno del 20 per cento della popolazione, è coinvolta in più del 40 per cento delle nascite. I nativi, oltre l’80 per cento della popolazione, sono responsabili di meno del 60 per cento delle nascite. Questa non è un’anomalia statistica, ma una tendenza di fondo. La crescita della popolazione indigena è diventata in alcuni anni pressoché nulla, e ora è invertita”. Nei quartieri dell’Île-de-France, la percentuale di giovani con origini straniere è aumentata dal 16 al 37 per cento dal 1968 al 2005. “Immigrati e discendenti di immigrati rappresentano il 35 per cento degli abitanti dell’Île-de-France”.
Secondo Michele Tribalat, il 31 per cento dei giovani di vent’anni nell’Île-de-France proviene dall’immi - grazione nordafricana, turca o subsahariana. “In città della Seine-SaintDenis, come La Courneuve, Aubervilliers e Clichy-sous-Bois, la percentuale di giovani di origine straniera è aumentata dal 20 per cento nel 1968 a quasi l’80 per cento nel 2011”. In questa “frattura” sociale ha preso piede l’islam: “La comunità extrasociale adotta un islam radicale, che è una ragione per esistere” scrive Obertone. “Il carattere dominante di queste comunità trova nell’islam una struttura esistenziale, una rottura spirituale catalizzante. L’islam è prima di tutto un acceleratore della partizione, il volto di una secessione etnoculturale, un’acuta rivelazione di problemi insormontabili della comunità e l’inaffondabile vigliaccheria delle nostre élite. L’Europa, pronta a suicidarsi in nome della propria grandezza d’anima, l’Europa, che ha combattuto per secoli per impedire qualsiasi progresso dell’Islam sul suo suolo, sta combattendo oggi per favorirlo”. Quasi un francese su tre verrà dalla “diversità visibile”. Secondo il modello in vigore sarà la maggioranza in Francia intorno all’anno 2091. Ma questo modello, avverte Obertone, non è realistico. “Non tiene conto dell’invecchiamento della popolazione francese dal 2015 al 2040, né delle dinamiche migratorie, né tiene conto del tasso di natalità di questi milioni di immigrati supplementari”. Ecco un’ipotesi più probabile: “La quota di nascite dalla ‘diversità’ aumenterà dal 40 per cento nel 2016, sarà il 70 per cento nel 2040 e la soglia del 50 per cento verrà raggiunta già nel 2025. E’ domani. A questo ritmo, gli europei nativi saranno una minoranza sul suolo francese nel 2060. Probabilmente prima di allora. E questa ipotesi rimane bassa, non tiene ancora conto dell’immigrazione clandestina o dei richiedenti asilo ed è più che improbabile che la pressione migratoria diminuisca. Questa non è una fantasia. E’ lo scenario previsto dalle Nazioni Unite, per l’Europa e la Francia”. La conclusione di Obertone non è delle più rosee: “Nel 1856, a seguito di una profezia, il popolo Xhosa distrusse tutto i raccolti e mise a morte i propri greggi. Il futuro gli apparve infernale. L’occidente sembra oggi in questa situazione. Piuttosto che essere distratto dai dibattiti ‘rilanciati’ ogni anno da funzionari del grande spettacolo della propaganda (fine vita, prostituzione, minoranze, depenalizzazione delle droghe, accesso alle cure, disuguaglianza, disoccupazione), è ora di imporre l’unico soggetto vitale”. E se non fosse invece che l’occidente si distrae con quei “dibattiti” proprio per non dover pensare a quell’unica questione cruciale che rischia di travolgerlo?