Germania: verso le elezioni in Baviera, serve fermezza contro i neonazisti Cronaca di Roberto Giardina, commento di Bernard-Henri Lévy
Testata:Italia Oggi - La Stampa Autore: Roberto Giardina - Bernard-Henri Lévy Titolo: «Csu ko. Dimezzati i socialisti - La Germania è più forte dei rigurgiti nazisti»
Riprendiamo da ITALIA OGGI, di oggi 06/10/2018, a pag. 12, con il titolo "Csu ko. Dimezzati i socialisti", il commento di Roberto Giardina; dalla STAMPA a pag.1-13 con il titolo "La Germania è più forte dei rigurgiti nazisti" il commento di Bernard-Henri Lévy.
Ecco gli articoli:
ITALIA OGGI - Roberto Giardina: "Csu ko. Dimezzati i socialisti"
Roberto Giardina
A otto giorni dal voto in Baviera (14 ottobre), crolla la Csu. I cristiano sociali calano nelle previsioni, ancora di due punti, rispetto a settembre, si fermano al 33%. Erano al 47,7% alle ultime elezioni regionali, nel 2013, una percentuale che permise di raggiungere la maggioranza dei seggi. Da quasi mezzo secolo la Csu governa con la maggioranza assoluta. In estate, sembrava inevitabile una coalizione a due, oggi non basterebbe: serve un'alleanza a tre, e i bavaresi temono di ritrovarsi con un governo paralizzato dai continui compromessi. E il contraccolpo a Berlino sarà pesante. L'Spd (i socialisti) si ferma all'undici, quasi dimezzata rispetto all'ultima consultazione (il 20,6%), non riesce a approfittare delle difficoltà dei cristiano sociali. L'Afd, i populisti dell'estrema destra, l'hanno quasi raggiunta, sono al dieci, in leggero calo. Quasi allo stesso livello sono i Freie Wähler, il movimento dei liberi elettori, che si battono per la loro Heimat, la piccola patria bavarese. A guadagnare sono i verdi, ormai secondo partito, con il 18%, più del doppio rispetto a cinque anni fa (l'8,6), e i liberali dell'Fdp hanno il sei. L'ultima volta non riuscirono neanche ad entrare in parlamento, rimanendo sotto lo sbarramento del 5% (il 3,3). L'avanzata dei Grünen, i verdi, è sorprendente perché i bavaresi hanno sempre diffidato degli ecologisti che con le loro pretese venivano considerati un ostacolo per l'agricoltura, e per le industrie regionali, dalla Bmw alla Krauss-Maffei, dalle auto ai carri armati. Horst Seehofer, il ministro degli interni, non è riuscito ad arginare la crisi del suo partito. A Berlino si è scontrato con la Merkel sull'immigrazione, ma ha reso poco combattere l'AfD sul suo campo. Si fa il gioco del partito dell'estrema destra: vedete che avevamo ragione noi, ribattono, quando volevamo bloccare i profughi? Per paura di essere accusati di razzismo, molti analisti vogliono continuare a credere che l'AfD raccolga i voti di chi è meno fortunato, lavoratori al minimo, disoccupati. Ma non è così. L'elettore tipico ha più di 30 anni, appartiene al ceto medio, ed è di un livello culturale almeno sufficiente, come risulta da un'analisi, pubblicata già un anno fa dalla Zeit, settimanale liberale al di sopra di ogni sospetto. Il 38% guadagna da 1.800 a 3 mila euro netti, e il 25% supera i tremila euro, sempre al netto. Il 44% ha un diploma professionale, e un buon terzo almeno la maturità. L'Spd è stata punita perché continua a puntare su un proletariato che è scomparso. Oggi un operaio alla catena di montaggio della Vw guadagna 5.500 euro lordi, appartiene alla piccola borghesia che si sente dimenticata dalla Große Koalition: una famiglia con tremila euro al mese, con entrambi i genitori che lavorano, e che abbia due figli, deve pagare il Kindergarten e una babysitter perché mancano gli asili pubblici, e quasi mille euro al mese sono un peso notevole, come l'affitto che continua a salire perché si è trascurato per anni di costruire alloggi sociali (non popolari). Questi non sono lussi, ma bisogni primari. Come spiegare perché quasi un milione di elettori socialdemocratici sono passati nel 2017 con l'AfD, o non sono andati alle urne? Il 10% di populisti a Monaco è quasi la metà rispetto alle previsioni nazionali, ma la Baviera è il Land più ricco della Germania, con quasi la piena occupazione, forse la regione più ricca d'Europa. E la roccaforte nella ex Germania Est è in Sassonia, sempre il Land più prospero nella scomparsa Ddr. Certamente, l'AfD seduce anche i diseredati, ma il problema più sentito dai suoi elettori, in base alle analisi, è la sicurezza: l'80% è preoccupato dalla presenza di troppi profughi, soprattutto musulmani, che non sembrano disposti a farsi integrare, e a rispettare i principi sociali di chi li accoglie. Frau Merkel, l'anno scorso, dopo il risultato disastroso alle elezioni regionali aveva dichiarato di voler parlare con chi vota per l'AfD. Chi ha paura, aveva aggiunto, non è sempre un razzista, aveva detto. Ma poi non l'ha fatto. Attaccare e accusare ottiene l'effetto opposto, e non serve neanche copiare gli slogan dei populisti.
LA STAMPA - Bernard-Henri Lévy: "La Germania è più forte dei rigurgiti nazisti"
Bernard-Henri Lévy
Quando penso alla Germania, penso a un processo di denazificazione coraggioso e, nel complesso, piuttosto riuscito. Penso a un’elaborazione del lutto che pochi popoli hanno perseguito con altrettanta fermezza e tenacia: il crimine è stato unico, certo; letteralmente senza precedenti. Ma così anche il lutto, e il lavoro fatto sulla memoria, e la volontà di non lasciar attecchire mai più il mostruoso antisemitismo che è stato il vero fondamento del nazismo.
Penso a Beate Klarsfeld, una grande tedesca, che schiaffeggia il cancelliere Kiesinger e, superato il primo momento di stupore, riscuote l’approvazione della maggioranza dei suoi connazionali. Penso a Jan-Philip Reemstma, un grande tedesco, che organizza, vent’anni or sono, una mostra itinerante di fotografie che mostrano i soldati della Wehrmacht sul fronte orientale farsi beffe, umiliare, torturare o uccidere ebrei pogromizzati - e penso alle centinaia di migliaia di tedeschi, forse milioni, che si affollavano, di città in città, per riconoscere con orrore, invecchiati ma identificabili, i loro padri, i loro nonni o i vicini di casa.
L’intransigenza di Fischer Penso che Israele abbia avuto, nel corso dei decenni, pochi alleati coerenti, costanti e fedeli come la Germania. Penso che l’Europa, questa macchina nata per impedire il ritorno del nazismo, abbia trovato nella Germania uno dei suoi primi due motori e, fino a oggi, uno dei suoi baluardi più forti. Sto pensando a una conversazione con Joschka Fischer: l’ex militante di sinistra diventato ministro degli Esteri mi spiegava che la memoria della Shoah era il vero fondamento, il vero collante della Repubblica tedesca - e ripenso alla sua convinzione che questa memoria fosse la vera fonte della sua intransigenza politica e morale verso i crimini contro l’umanità commessi dalla Serbia in Bosnia e in Kosovo.
Il ruolo del monumento Quando penso alla Germania, penso al Paese che, in quello stesso periodo, nel 1999 mi sembra, si è diviso sulle parole di Martin Walser che attaccava il presidente della comunità ebraica tedesca, Ignatz Bubis, un po ’come la Francia, un secolo prima, intorno all’affare Dreyfus. Penso che in Germania, quell’anno, ci fosse un grande dibattito nazionale, solo uno: non era la creazione della Banca centrale europea; né la restituzione di Macao alla Cina; né le dimissioni di Boris Elstin e la nascita politica di uno zar chiamato Putin; né il raggiunto traguardo dei sei miliardi di abitanti del pianeta; né la transizione verso l’anno 2000; ma la discussione attorno a cosa dovrebbe essere, e a cosa potrebbe essere, un monumento che commemora la Shoah. Quando penso alla Germania, penso a uno dei pochi Paesi, con la Francia, a pensare che la negazione della Shoah non sia un’opinione ma un crimine. Quando penso alla Germania, penso poi - non è la stessa cosa, ma... - al Paese europeo che negli ultimi mesi e anni ha affrontato la crisi dei migranti con la maggior umanità e generosità e, per dirla come Joschka Fischer, con rigore morale.
I fatti di Chemnitz Sto pensando anche a Chemnitz, naturalmente. Penso a tutti quei nostalgici del fascismo che a Chemnitz e altrove, uniscono le forze intorno all’AfD (Alternative für Deutschland - Alternativa per la Germania, ndr) per esprimere il loro odio verso i rifugiati, gli stranieri. E penso a tutti quelli che hanno provato, anche all’interno del governo, anche al vertice dell’intelligence, a ridurre al minimo la violenza innescata dalla dimostrazione di Chemnitz.
Il cuore della cancelliera Ma penso anche che nessuna di queste manovre e di queste smentite, nessuna di queste ricadute, abbia finora scosso quella rocca di saggezza e determinazione che è la cancelliera Merkel; e penso, soprattutto, che ciò che è stata continuerà ad essere; e che, anche se fosse lei a ritrarsi, anche se le venisse in mente di tornare sui suoi passi e di venire meno a ciò che rappresenta, nulla, mai, potrebbe cancellare la grandezza di quel «Wir schaffen das» (possiamo farcela) che il 31 agosto 2015, nel calore dell’evento le uscì dal cuore - un istinto, o un credo, che per me sono la stessa cosa -. Traduzione di Carla Reschia
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