Giordano Stabile
Sui missili c’erano le scritte «morte all’America, a Israele, ai Saud», tanto perché non ci fossero equivoci sul messaggio che l’Iran stava per lanciare. Sei missili a medio raggio diretti a una «base di addestramento» dei terroristi che il 22 settembre hanno fatto strage nella città di Ahvaz. Con il sostegno, secondo Teheran, delle potenze ostili alla Repubblica islamica. Prima dell’alba, dopo un percorso di 570 chilometri sopra lo spazio aereo iracheno, gli ordigni hanno colpito la base islamista vicino alla cittadina siriana di Hajin, ancora controllata dall’Isis. È una stretta striscia di territorio lungo l’Eufrate, quasi al confine con l’Iraq, uno degli ultimi lembi del «califfato». Testimoni locali, citati dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, hanno confermato le «forti esplosioni» che hanno scosso la zona.
Le nuove "moschee atomiche" iraniane
La rappresaglia
Teheran non ha però detto in modo esplicito che l’obiettivo era lo Stato islamico. L’attacco alla parata militare di Pasdaran che ha fatto 25 vittime, compresi 17 civili, è stato rivendicato sia dall’Isis che dal gruppo separatista arabo Al-Ahvaziyah. Le autorità iraniane hanno finora sostenuto che erano questi militanti, «con legami nei Paesi del Golfo», i veri responsabili. Ma la presenza di un campo di addestramento del gruppo in un territorio controllato dall’Isis è quanto meno anomala. Il raid sembra indicare invece che la strage possa essere responsabilità dello Stato islamico, che ha già colpito Teheran il 7 giugno del 2017 con un gruppo di attentatori suicidi che fecero in tutto 18 vittime, anche se il video di rivendicazione presenta troppe anomalie e non convince gli analisti.
L’Iran forse non vuole ammettere di aver sbagliato l’attribuzione dell’attentato, punta sullo sfoggio di tecnologia militare e avverte che questo «è soltanto il primo colpo». Le tv hanno mostrato la base di lancio dei missili a Kermanshah e specificato che si trattava di «Zolfaghar» e Qiyam, due tipi sviluppati negli ultimi anni e dotati di sistemi di precisione per individuare il bersaglio nella fase finale del volo. «Droni armati» hanno poi completato l’opera con un nuovo bombardamento. L’exploit ha come destinatari Israele, gli Usa e l’Arabia Saudita. I missili «Qyiam» hanno una gittata di 800 chilometri e possono raggiungere già adesso il territorio saudita dall’Iran. L’Intelligence occidentale teme che possano essere spostati, o forse lo sono già, in Iraq e Siria, da dove lo Stato ebraico sarebbe a tiro. Il raid sulla base islamista segue di poco quello dell’8 settembre su un campo dei guerriglieri curdi iraniani del Pdki nel Kurdistan iracheno. Come dire, «anche noi abbiamo i nostri Tomahawk e possiamo far male».
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