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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Forza e responsabilità 26-07-03
Finalmente Abu Mazen ha incontrato Bush. Immaginiamo con quale spirito Arafat abbia seguito dalla Mukata di Ramallah quelle conversazioni che l'hanno visto assente e di fatto escluso dal contesto internazionale. Il vecchio raiss sa che sul versante americano la partita è perduta. Ma sa anche per lui i giochi sono tutt'altro che chiusi. Il sistema politico che ha creato continua a tenere, quella costruzione a base di terrore,corruzione e sfruttamento emana ancora un fascino capace di attrarre la vecchia Europa, ormai incapace di distinguere il bene dal male, la democrazia dalla dittatura.

In Europa ci illudiamo che il buon Abu Mazen sia effettivamente un primo ministro, facciamo pure finta che quel gruppo di gentiluomini che rispondono agli ordini di Arafat si fregino dell'appartenenza al "parlamento palestinese" come se quel parlamento esistesse davvero. Ci adattiamo a qualsiasi concessione che ci viene proposta pur di equiparare le due parti contendenti in vista di una soluzione che pur tuttavia tutti ci auguriamo. Ma, per favore, non chiudiamo gli occhi di fronte all'evidenza.

Da una parte c'è Israele, che avrà pure tutti i difetti di questo mondo, ma che quando diciamo "parlamento" sappiamo di riferirci ad un organo sovrano, eletto dai cittadini in libere elezioni. Quando diciamo primo ministro non pensiamo a qualcuno che debba rendere conto del suo operato alla piazza o a qualche mentore più o meno nascosto. E' quello che facciamo invece quando ci riferiamo all'Autonomia palestinese. Abu Mazen va sì da Bush, ma ci va accompagnato da quel Nabil Shaath, "ministro degli esteri" di stretta osservanza arafattiana, che a Roma, la settimana scorsa, ha incontrato Berlusconi e gli ha detto fuori dai denti che o lui incontra Arafat o si scordi qualunque rapporto con Abu Mazen.Come dire, o accetti Arafat o non realizzerai mai quel piano Marshall per la Palestina al quale tieni tanto. Senza Arafat non combinerai mai niente.

All'incontro con il presidente americano Arafat era presente per interposta persona. E' o non è Arafat ad aver detto ad Abu Mazen "o torni con tutte le richieste che ti ho dato soddisfatte o ricordati che dovrai fare le valigie. Te lo imporrano i palestinesi urlanti nelle strade ed il voto del parlamento". Il futuro, la quotidiana condotta di Abu Mazen è ormai dimostrato che dipendono ancora e totalmente dal consenso di Arafat. Sappiamo chi ringraziare. Mantenendolo a galla, tra una visita diplomatica e l'altra, l'Europa ostacola la realizzazione della Road Map, indebolisce Abu Mazen, mantiene intatto il potere dei gruppi terroristi.. Che in questi anni di intifada si sono riavvicinati ad Arafat, collaborando con lui nella gestione del terrorirsmo contro Israele.

Quale significato può infatti avere la richiesta di liberare "tutti" i prigionieri dalle carceri israeliane ? Intanto chiamiamoli con il loro nome, detenuti e non prigionieri, che è ben altra cosa. Uno Stato democratico non ha prigionieri. Cosa dovrebbe fare Israele, rimettere in libertà chi ha le mani ancora macchiate di sangue ? Quale Stato si comporterebbe in questo modo ?

Diciamola tutta, il vero grande nemico della Road Map è Arafat. Se Abu Mazen, con equilibrio e realismo, volesse perseguire fino in fondo quanto sottoscritto ad Aqaba con Sharon, non avrà mai le mani libere per poterlo fare. Le richieste impossibili che Arafat continua ad imporgli di presentare arriveranno a delegittimarlo ancora prime dei tre mesi della hudna, la cosidetta tregua. Dopo di che tutti i gruppi armati, dopo avere avuto il tempo di riorganizzarsi, torneranno al loro vecchio mestiere, spargere terrore.

Dal canto suo il governo israeliano, annunciando ieri che in occasione dell'incontro martedì prossimo a Whasington tra Sharon e Bush verranno eliminati tre posti di blocco nella zona di Ramallh e la riapertura al traffico palestinese di alcune strade nel West Bank, non fa altro che confermare la propria volontà di perseguire il tracciato della Road Map. Ma l'obiettivio di Sharon non è quello di Arafat, che in tutta la sua vita si è sempre opposto a tutte le occasioni di pace. Il suo sogno resta sempre quella cartina geografica sulla quale il nome Palestina ha sostituito quello di Israele. Se il presidente americano vuole veramente che il futuro Stato palestinese non rappresenti l'ennesima riproduzione di quelli arabi esistenti, detti le sue condizioni. Ne ha la forza e l'autorevolezza. Forse solo lui può mettere in questo momento e definitivamente fuori gioco Arafat. Lo faccia. I primi ad essergliene riconoscenti saranno i palestinesi, quelli che oggi non hanno ancora voce o che parlano attraverso le parole di Arafat, come Abu Mazen












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