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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.09.2018 Corte penale internazionale: un organismo ideologicamente schierato
Sergio Romano lo apprezza, John Bolton (Trump) no

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 settembre 2018
Pagina: 13
Autore: Sergio Romano
Titolo: «La Corte internazionale e gli Usa, storia di un idillio mai sbocciato»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/09/2018, a pag.13, con il titolo "La Corte internazionale e gli Usa, storia di un idillio mai sbocciato" il commento di Sergio Romano

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Sergio Romano difende la Corte penale internazionale, dimenticando volutamente quanto è al servizio degli stati arabo-musulmani contro Israele. Per fortuna che sorveglia le sue iniziative John Bolton, nominato daTrump.

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Sergio Romano

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale i vincitori non si limitarono a colpire i vinti, come accadeva in passato, privandoli di una parte del loro territorio e infliggendo pene pecuniarie. In alcuni casi (Germania e Giappone) crearono tribunali che processarono i loro leader e pronunciarono un numero considerevole di condanne a morte. Quella decisione sembrò dimostrare che la società internazionale stava entrando in una fase in cui gli Stati, come i singoli individui, sarebbero stati soggetti a un giudizio non soltanto politico e la guerra, almeno in alcune circostanze, sarebbe stata considerata un crimine internazionale. Dopo la fine della Guerra fredda, quando sembrò possibile creare un mondo dominato dalla legge, nacquero tribunali locali, da quello della ex Jugoslavia a quello del Ruanda, e cominciò a diffondersi la convinzione che era giunto il momento di creare un tribunale penale internazionale. L'Assemblea delle Nazioni Unite raccolse la proposta, convocò a Roma una grande assise internazionale che preparò il progetto, e lo sottomise nell'estate del 1998 a una conferenza diplomatica riunita nella sede romana della Fao. Il risultato fu la redazione di uno Statuto, approvato dopo una votazione in cui i favorevoli furono 129, i contrari 7 e gli astenuti 21. Gli Stati Uniti rifiutarono di aderire e ne spiegarono le ragioni sostenendo che il loro ruolo nel mondo li rendeva giuridicamente vulnerabili. Per evitare che i loro militari, stanziati in circa duecento basi straniere e spesso impegnati in vicende belliche, corressero il rischio di essere denunciati e processati, vollero godere di uno status particolare. Non fu sufficiente, tuttavia. All'inizio degli anni Novanta un alto funzionario del Dipartimento di Stato, John Bolton, strappò a 93 Paesi la promessa che non avrebbero estradato cittadini americani se la Corte penale internazionale li avesse incriminati e ne avesse richiesto la consegna. Contemporaneamente, tuttavia, il governo degli Stati Uniti incoraggiava altri Paesi ad aderire e vi fu persino un momento in cui sembrò che l'America potesse cambiare parere. Nell'ultimo giorno della sua presidenza Bill Clinton siglò il trattato, ma il suo successore, George W. Bush, qualche giorno dopo, revocò la firma. Recentemente, quando qualcuno sostenne che la Corte avrebbe dovuto processare alcuni militari americani di stanza in Afghanistan, lo stesso Bolton, chiamato da Trump alla Casa Bianca, ha pronunciato una virulenta filippica contro il tribunale accusandolo di cattiva gestione, corruzione, inefficienza e partigianeria. In una prima fase gli Stati Uniti si sottrassero alla giurisdizione della Corte. Oggi vorrebbero addirittura sopprimerla. Questo accade in un Paese che ospita le Nazioni Unite e dovrebbe essere il custode dei suoi principi e delle sue creature.

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