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La Stampa Rassegna Stampa
21.09.2018 Iraq: minacciato da Iran e Turchia, ma UE e ONU non se ne accorgono
Analisi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 21 settembre 2018
Pagina: 15
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Il deserto avanza in Iraq, sparite le terre coltivabili»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/09/2018,a pag.15 con il titolo "Il deserto avanza in Iraq, sparite le terre coltivabili" la cronaca di Giordano Stabile

Il consiglio che vorremmo dare all'Iraq è di volgere lo sguardo su Israele per capire e poi mettere in pratica come si può trasformare il deserto. Un consiglio che non verrà preso in considerazione,  meglio l'odio e le guerre della pacifica collaborazione. Ma è la loro ossessione, quando finirà?

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Giordano Stabile               in rosso il deserto

Il vento del Golfo solleva polvere e sale dalla distesa di terra brulla a Sud di Bassora, dove una volta c’erano le più grandi risaie irachene. Le palme seccano una dopo l’altra e quelle rimaste sono troppo striminzite per produrre ancora i datteri commestibili. Con le temperature che a fine settembre sfiorano ancora i 40 gradi la stagione secca in Iraq è al suo culmine e l’agricoltura in ginocchio, come non si era mai visto in un secolo. Il Paese appena uscito dalla terribile guerra contro l’Isis rischia di spaccarsi di nuovo, questa volta di fronte a un disastro naturale. La rivolta di Bassora, oltre che da motivi politici, corruzione, ingerenze straniere, ingiustizia sociale, è alimentata dalla mancanza d’acqua potabile. I video con il liquido marrone, salmastro, che esce dai rubinetti di casa hanno fatto il giro del mondo arabo. Con un governo dimissionario, e le trattative per trovare un nuovo premier in alto mare a cinque mesi dalla elezioni del 12 maggio, Baghdad non sa come affrontare l’emergenza. Il ministero per la Pianificazione ha rivelato che il 90 per cento del territorio è ormai desertico, e la restante parte coltivabile si riduce del 5 per cento all’anno. Vale a dire che fra vent’anni il Paese non produrrà più un etto di cibo. Nella provincia di Bassora la salinizzazione dell’acqua ha danneggiato il 98 per cento delle palme da dattero. I contadini, ancora il 19 per cento della forza lavoro irachena, devono usare pompe per ottenere l’acqua necessaria, che in questo modo costa più della benzina, 40 centesimi di dollaro al litro. La crisi idrica Il viceministro dell’Agricoltura Mahdi al-Qaisi ha ordinato di dimezzare gli appezzamenti coltivati con cereali che hanno bisogno di irrigazione. Un decisione destinata a scatenare la rabbia degli agricoltori ma inevitabile di fronte ai dati: un rapporto dell’Onu evidenzia che nei primi nove mesi dell’anno le precipitazioni sono diminuite del 50 per cento e il flusso dei grandi fiumi che alimentano la Mesopotamia, Eufrate e Tigri, è calato del 40 per cento. Vicino a Makhmour, a Sud di Mosul, la gente attraversa a piedi quello che una volta era un corso d’acqua impetuoso. L’Onu avverte che la siccità è destinata «ad accrescere le tensioni fra comunità, soprattutto nelle aree rurali, dove vive il 30 per cento della popolazione». Si rischia una nuova guerra civile irachena, la prima per l’acqua, che potrebbe coinvolgere anche gli Stati confinanti. Il premier Haider al-Abadi è furioso con la Turchia che in piena estate ha deciso di procedere con il riempimento di un nuovo gigantesco bacino ricavato da una diga sul Tigri, quello di Ilusu. Già negli Anni Settanta, per un altro sbarramento, i due Paesi hanno sfiorato il conflitto. Di fronte alle proteste il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha acconsentito a rimandare l’operazione. Ma il disastro è dietro l’angolo. «A monte della diga - spiega Yerevan Saeed, Research Associate at Middle East Research Institute - il nuovo lago farà sparire la più antica civiltà umana, quella di Hasankeyf, fiorita 12 mila anni fa. A valle produrrà migrazioni forzate per la desertificazione e nuovi conflitti interetnici». Anche l’Iran però è sul banco degli imputati, perché ha ridotto il flusso di due grandi affluenti del Tigri che nascono sulle sue montagne, il Sirwan e il Piccolo Zab. Un forma di pressione mentre a Baghdad il partito pro-iraniano e quello pro-americano si contendono fino all’ultimo deputato per formare un nuovo governo «amico».

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