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La Stampa Rassegna Stampa
18.09.2018 La storia di Raffaele Ottolenghi
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 18 settembre 2018
Pagina: 25
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Lo strano caso del sionista paladino dell'islam»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/09/2018, a pag. 25 con il titolo "Lo strano caso del sionista paladino dell'islam", il commento di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

Raffaele Ottolenghi è un esempio classico di figura interstiziale», scrive Alberto Cavaglion nella prefazione al corposo saggio che Marco Francesco Dolermo ha dedicato a Alla fiera di Tantah. Il sionista che amava l’islam, Raffaele Ottolenghi (1860-1917), appena edito da Silvio Zamorani.

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La copertina (Zamorani ed.)


Figura interstiziale e eccentrica nel panorama dell’ebraismo italiano all’indomani dell’Emancipazione e alla vigilia del fascismo, Raffaele Ottolenghi è un personaggio davvero interessante: un ebreo affascinato dall’islam, di cui fu spesso il paladino in una prospettiva anticoloniale. Appassionato di minoranze e culture marginali, si interessò al destino dei Falasha, gli ebrei d’Etiopia. Lavorò a lungo sul rapporto tra cristianesimo e ebraismo e sul sionismo come movimento spirituale e meccanismo politico. Dolermo ne ricostruisce con precisione la biografia, fa il bilancio di questo intellettuale originale ma sconosciuto.
Ottolenghi nacque ad Acqui in una famiglia ebraica radicata nel territorio, si laureò in Giurisprudenza, nel 1884 vinse a Roma il concorso per la carriera diplomatica e il 14 giugno di quell’anno partiva già per il Cairo, con «il fermo proponimento, di dedicare alla carriera... l’opera più disinteressata di cui le poche forze della mia intelligenza saranno capaci. Ad aiutarmi in ciò valga quell’amore di Patria che è dovere di ogni buon cittadino». La carriera lo portò anche a New York, anche se sul bastimento, «ripensando ai colli nativi» lo aggredì una nostalgia tremenda. Probabile effetto di quella neurastenia che fu la causa del traumatico e precoce abbandono della carriera, e nel 1917 lo indusse a farla finita con un colpo di pistola.

Era un uomo molto intelligente, eclettico, ma rimase solo per tutta la vita. E da quando tornò ad Acqui nella casa di famiglia, dove avrebbe passato il resto della vita, si dedicò quasi interamente allo studio e alla scrittura. Fu autore prolifico e militante, come quando si indignò per la campagna di Libia: «Abbiamo distrutto l’oasi di Tripoli, che era una delle meraviglie del mondo», scrisse sull’Avanti! nel maggio del 1915. Morì in tempo per non vedere gli orrori del ’900, ma fu profeta poco ascoltato di una modernità consapevole della diversità come ricchezza, non come limite.

 

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