Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 17/09/2018, a pag. V, l'analisi "Al Qaida ha 'vinto' la sua guerra" tratta da Foreign Policy.
Il fondatore di Al Qaeda Osama Bin Laden
Lawrence of Arabia, è stato il grande innovatore della guerriglia nel XX secolo”, scrive il romanziere canadese Stephen Marche. “Non aveva bisogno vincere. Aveva solo bisogno di decidere di aver vinto e di convincere il mondo. La lotta doveva cambiare la definizione di vittoria, cambiare il significato degli eventi piuttosto che gli eventi stessi. Osama bin Laden aveva compreso questa dialettica in modo istintivo ed esplicito. ‘E’ ovvio che la guerra dei media in questo secolo è uno dei metodi più forti’, ha scritto al mullah Mohammad Omar in una lettera del giugno 2002. ‘In effetti, il suo rapporto può raggiungere il 90 per cento della preparazione totale per le battaglie’. Il fronte è culturale, il conflitto è sulla narrativa. Il fronte culturale aperto dall’11 settembre continua ad allargarsi. Il punto di vista culturale è lungo ogni punto della rete: televisione, stampa, film, canzoni, sermoni, pubblicità e social media. Tutto ciò che dà significato è un campo di battaglia. E per quanto doloroso, grottesco e offensivo possa sembrare, se vuoi capire l’attuale vulnerabilità dell’America, devi guardare all’11 settembre come uno spettacolo. E’ uno spettacolo di guerra che gli Stati Uniti hanno perso e continuano a perdere. Prima del 1993, le agenzie antiterrorismo non consideravano il World Trade Center un probabile obiettivo. Erano preoccupate per i sistemi idrici, le reti di trasporto e le installazioni militari. Il World Trade Center non era una struttura amata o culturalmente importante come l’Empire State Building. Erano un paio di grandi e banali grattacieli. Ramzi Yousef, la mente dietro l’attentato al World Trade Center del 1993, fu il primo a riconoscere il potenziale delle torri come simbolo all’interno di uno spettacolo. Yousef vide il World Trade Center, la sua mole pura, esprimeva meglio di ogni altro il banale dominio della modernità. Quasi tutti quelli coinvolti nella cospirazione dell’11 settembre erano bloccati tra l’occidente e l’islam. L’ideologia di al Qaida era islamista, ma le sue tecniche e idee erano occidentali. Gli aeroplani, come i grattacieli, erano miracolosi, inumani, innaturali e un affronto alla tradizione stessa di qualsiasi popolo o religione. Al costo della vita di 19 terroristi, al Qaida ha scatenato la guerra globale del terrorismo, con il conseguente costo di 2,1 trilioni di dollari e la perdita di migliaia di vite americane. Diciassette anni dopo, l’America inciampa in medio oriente, ed è ritenuta dalla propria gente e dal resto del mondo come un occupante sconfitto. I talebani sono ancora una forza in Afghanistan. Le guardie di frontiera all’aeroporto internazionale John F. Kennedy si trovano ad affrontare tutto il giorno, ogni giorno, un segnale che li invita a ricordare l’11 settembre. La vulnerabilità fondamentale degli Stati Uniti non è ai suoi confini ma nella sua cultura. La vulnerabilità si trova all’interno della più grande gloria della vita americana, la sua varietà esplosiva di espressione, la sua libertà di stampa, i suoi film e dibattiti e sermoni e canzoni e pubblicità, il suo bisogno senza fondo di dramma, la sua costante invenzione e reinvenzione di sé. Le condizioni che hanno reso possibile questa vulnerabilità si sono solo intensificate negli ultimi 17 anni”.
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