Israele continua a guardare con occhio preoccupato lo svolgersi della guerra all'Iraq. La massima allerta è sempre all'ordine del giorno del governo. Rimane il mistero dei missili scomparsi che potrebbero ricomparire puntati su Israele nel momento in cui Saddam non avesse più altre risorse alle quali attingere. Estrema attenzione anche sul versante interno, dove vengono sventati in continuazione attentati terroristici suicidi. Hamas ha appena festeggiato il quindicesimo anno di attività e lo fa continuando l'organizzazione di attentati in Israele. I costi variano secondo la portata. E'stato calcolato che organizzare un'aggressione mortale a singole persone costa nella città di Nablus dai quindici ai ventimila dollari, mentre trovare, preparare e inviare un terrorista suicida bene imbottito di esplosivo può venire a costare fino a centomila dollari.
L'Europa, che non ha mai smesso di riempire la tasche di Arafat e dei suoi colonnelli, la smetta di chiedersi che fine hanno fatto i suoi finanziamenti. Lo sa benissimo che non sono mai serviti a migliorare le condizioni di vita del popolo palestinese e, pur sapendolo, in omaggio alla scelta pro-Arafat, non mai voluto modificare il suo atteggiamento.
Con Saddam in difficoltà almeno gli assegni alle famiglie dei "martiri" forse cesseranno di arrivare, anche se non mancherà l'enorme flusso di denaro che continua ad arrivare via Giordania e Iran. Soprattutto dal paese degli Ayatollah i finanziamenti arrivano direttamente alle Brigate Al-Aqsa. Non a caso Israele giudica il regime di Teheran il più pericoloso centro di finanziamento del terrorismo internazionale. Senza dimenticare la Siria. A Damasco prosperano le filiali di innumerevoli gruppi terroristici. Ma Hamas non è Bin Laden. Il suo proposito è l'eliminazione di Israele dalla carta geografica, l'obiettivo è la palestina e non l'attacco all'occidente. Mahmoud Zahar, portavoce di Hamas, ha lasciato più volte capire che esisterebbero contatti fra Stati Uniti e la sua organizzazione in vista di un possibile futuro governo-coalizione del dopo Arafat nel quale Hamas potrebbe essere rappresentata. E' l'Autorità politica palestinese che sta attraversando un momento di grande cambiamento, dovuto in buona parte alla caduta del mito Arafat. Se questa mutazione è ancora poco visibile ciò è dovuto in buona parte al fatto che l'attenzione è tutta puntata sulla guerra in Iraq. Ma nell'Autorità palestinese si stanno muovendo molte pedine che cambieranno il volto dell'interlocutore onnipresente. Abu Mazen, del quale si sa ormai quasi tutto, anche il suo non proprio raccomandabile passato, quando, in accordo con la vulgata nazi-palestinese, si faceva alfiere nel negare che fosse mai esistita la Shohà. Acqua passata, oggi il suo rapporto con israele è decisamente buono. Rispunta anche Muhammad Dahlan, già responsabile della sicurezza a Gaza e sovente in rottura con Arafat. Nella futura leadership molti pensano che il suo ruolo non sarà di poco peso.
Purtoppo Arafat non ha ancora fatto le valigie, il potere politico-economico che ancora lo sostiene rinvia di giorno in giorno le riforme. Indispensabili perchè i palestinesi possano finalmente uscire dalla condizione pre-moderna nella quale sono stati tenuti, con l'unico obiettivo di servire da massa di manovra contro lo stato ebraico.
Arafat vacilla, il nuovo non c'è ancora e il risultato è una sostanziale anarchia, dove nessuno capisce in qiali mani risida il potere reale.
Difficile che capiti qualcosa fin che la guerra in Iraq è in corso. Ma nel momento stesso in cui gli iracheni si saranno liberati di Saddam, il cammino interrotto a Camp David verrà ripreso. Verso quale direzione è difficile dirlo oggi, ma la volontà del governo israeliano è chiara. Con i palestinesi Israele farà la pace. Ma in che modo e a quali condizioni non dipenderà solo dalla volontà di Arik Sharon. Sul palcoscenico mediorientale sono troppi i registi per un unico dramma. Difficile dire chi riuscirà a dirigere gli attori.