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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.09.2018 Egitto: Stampa e Corriere a confronto. A entrambi una nostra domanda
Cronache di Rolla Scolari, Viviana Mazza

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Rolla Scolari-Viviana Mazza
Titolo: «Condannati a morte 75 Fratelli musulmani-L'Egitto dei generali condanna a morte 75 oppositori politici»

Riprendiamo oggi, 09/09/2018, due servizi sulla sentenza del tribunale egiziano nei confronti dei Fratelli musulmani. La STAMPA a pag.14, il CORRIERE della SERA a pag.15

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per informarsi

Che l'Egitto non sia una democrazia non è una novità, come non lo sono le condanne a morte per i Fratelli Musulmani, messi fuorilegge e in gran parte eliminati fisicamente a partire, in grande stile, da Nasser, dittatore spietato ma laico, come lo fu anche Gheddafi. Stupirsene significa non conoscere la storia dei Fratelli Musulmani. Partì da loro, fin dagli anni '20 del secolo scorso il progetto della invasione silenziosa dell'Europa, continuata con pieno successo dall'ultimo discendente della famiglia, quel Tariq Ramadan, oggi in prigione a Parigi ma per altri motivi, stuprava le poverette musulmane che gli capitavano a tiro. Eppure era l'ospite di riguardo, la star in tutti i convegni  dove si discuteva di religioni.  Al Sisi non ha fatto altro che comportarsi come i suoi predecessori. Almeno, con lui al potere, i condannati in primo grado a morte possono ricorrere in appello.
In entrambi gli articoli viene ricordato che il suo fu un golpe, per cacciare Morsi, votato dagli egiziani, i quali però si resero conto dell'arrivo di una dittatura fanaticamente teocratica, infatti votarono in massa per Al Sisi nelle successive elezioni.
Ometterlo, è una delle peggiori disinformazioni.

Ecco i due articoli:

La Stampa-Rolla Scolari: " Condannati a morte 75 Fratelli musulmani "

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Al Sisi

I giudici della corte d’assise del Cairo aspettavano il parere del Gran Mufti per annunciare 75 condanne a morte, 45 ergastoli e pene da quindici a cinque anni di carcere per centinaia di persone accusate di far parte dei Fratelli musulmani. Quello che si è appena chiuso con verdetti pesanti è stato il più imponente processo della storia dell’Egitto moderno, già oggetto delle critiche dei gruppi per i diritti umani nel Paese e all’estero. I 739 imputati erano accusati di coinvolgimento nei fatti legati a due sit-in della Fratellanza nell’estate del 2013. Per giorni, migliaia di sostenitori degli islamisti si sono accampati in due piazze del Cairo, Rabaa al-Adawiya e al-Nahda. Protestavano la rimozione del presidente islamista Mohammed Morsi, eletto nel 2012 nelle prime elezioni libere del Paese, e allontanato da palazzo, dopo giorni di manifestazioni popolari, dall’intervento dell’esercito. Il 14 agosto, la polizia ha fatto irruzione nelle due piazze con l’obiettivo di sgomberare i manifestanti. Ancora oggi non è chiaro il numero dei morti: diverse fonti parlano di una cifra tra i seicento e i mille. Gli imputati sono stati accusati di crimini che vanno dall’omicidio al raduno illegale, dall’incitamento alla violenza al danneggiamento di proprietà privata. Tra i condannati a morte (per impiccagione) ci sono nomi di alto profilo all’interno dei Fratelli musulmani, come Essam elArian e Mohamed Beltagy. Il leader spirituale Mohammed Badie è stato condannato all’ergastolo, il figlio di Morsi, Osama, a dieci anni di carcere, da scontare nella famigerata prigione di Tora, dove si trova il padre e dove ieri è stato letto il verdetto. Tra i nomi più noti del processo, quello di Mahmoud Abu Zeid, conosciuto come Shawkan, fotografo free-lance cui l’Onu ha attribuito un premio per la libertà di stampa e la cui detenzione è stata criticata da associazioni nazionali e internazionali. È stato condannato a cinque anni di carcere. Siccome li ha già scontati, sarà presto libero, mentre gli altri potranno ricorrere in Cassazione. Il verdetto arriva con il consolidarsi di un regime la cui vasta repressione delle opposizioni non ha come obiettivo soltanto la Fratellanza - fuorilegge dal 2013 - ma anche attivisti e stampa. Najia Bounaim, di Amnesty International, ha definito il processo di massa «vergognoso» e ha ricordato come «il fatto che neppure un ufficiale di polizia sia stato chiamato a rispondere dell’uccisione di almeno 900 persone nelle proteste dimostri la presa in giro della giustizia»

Corriere della Sera- Viviana Mazza: "L'Egitto dei generali condanna a morte 75 oppositori politici "

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Viviana Mazza

È noto come il massacro di Rabaa, dal nome della piazza del Cairo dov’è avvenuto, Rabaa al-Adawiya. Ha segnato l’avvento al potere dell’attuale presidente dell’Egitto, Abdel Fattah Al-Sisi. Nell’agosto del 2013 migliaia di sostenitori del suo rivale, Mohammed Morsi, spodestato il 3 luglio con un golpe militare, parteciparono ad un gigantesco sit-in che finì con la morte di oltre 800 persone. Il feldmaresciallo Al Sisi, che era allora il ministro della Difesa, divenne presidente meno di un anno dopo. Nemmeno uno degli agenti della sicurezza coinvolti nella strage è stato punito. Invece, nel tribunale fortificato dentro la prigione di Tora, è stato emesso ieri il verdetto finale del processo di massa definito «una grottesca parodia della giustizia» da Amnesty International: la condanna a morte di 75 membri della Fratellanza Musulmana, organizzazione di cui Morsi faceva parte e che da allora è fuori legge. Tra di loro: il leader del movimento Essam El-Erian, il politico Mohamed El-Beltagy, il predicatore salafita Safwat Hegazy, l’ex ministro per la Gioventù Osama Yassin. Una parente di quest’ultimo, fuori dal tribunale, commentava: «Prima li hanno uccisi a Rabaa, ora li condannano a morte». Quanto a Morsi, è ancora in carcere dopo che la sua pena di morte è stata ribaltata in un altro processo. In totale ieri sono comparsi a giudizio 739 imputati con accuse che vanno dall’uccisione di poliziotti all’incitamento alla violenza e ai danni alla proprietà privata: 47 persone, incluso il leader spirituale della Fratellanza Mohamed Badie, hanno avuto l’ergastolo; 374 resteranno in carcere per 15 anni, 21 (incluso Osama Morsi, il figlio dell’ex presidente), per 10 anni, mentre 215 per cinque anni. Quest’ultimo annuncio ha provocato grida di gioia nella gabbia insonorizzata, perché molti di loro avendo di fatto già scontato la pena saranno liberati. Tra di essi, il fotogiornalista Mahmoud Abou Zeid, noto come Shawkan, che non è affiliato al movimento ma stava facendo il suo lavoro, seguendo le proteste per l’agenzia britannica Demotix. Per lui si è mobilitato anche Reporter Senza Frontiere, che denuncia che l’Egitto è oggi uno dei peggiori Paesi al mondo per la libertà di espressione (161° su 180). Shawkan ha scampato la pena di morte, ma per il suo Paese è un criminale, accusato di omicidio e terrorismo, mentre una giuria internazionale lo ha onorato con il Premio Unesco-Guillermo Cano per la libertà di stampa. La sua detenzione ha violato la stessa legge egiziana che prevede un massimo di due anni di carcerazione preventiva. Per altri cinque resterà «sotto osservazione della polizia»: l’avvocato presenterà ricorso. Questo processo è l’ennesima dimostrazione di un sistema giudiziario piegato alla volontà del governo di domare ogni dissenso. Dopo il 2013 ci sono state anche condanne a morte di massa rovesciate in appello. In altri casi sono invece state confermate. Il pugno del regime non si abbatte solo sugli islamisti. Lo scorso mese, il procuratore generale ha fatto indagare e arrestare per 15 giorni Masoum Marzouk, ex diplomatico e veterano di guerra, poiché aveva chiesto un referendum sul governo di Al Sisi. Pochi giorni fa il presidente ha ratificato una legge sui social media che ufficialmente serve a regolare le fake news, ma di fatto pone ogni profilo con più di 5000 followers sotto la supervisione dell’Autorità per i media, che può bloccarli.

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