Riprendiamo oggi, 09/09/2018, due servizi dalla STAMPA e dal CORRIERE della SERA, due interviste a Geert Wilders, un personaggio che i nostri lettori conoscono bene.
Geert Wilders
Le domande di Marco Zatterin affrontano l'argomento dell'intervista: le prossime elezioni europee. Non dà nulla per scontato, nemmeno le accuse, le cita soltanto. Un pezzo decisamente equilibrato, lascia al lettore ogni giudizio.
Anche l'intervista di Federico Fubini riporta senza esprimere giudizi si merito il pensiero di Geert Wilders. Perchè ci stupiamo? in genere è questa la posizione del cronista, far conoscere ai proprio lettore le idee di un leader politico, scriviamo 'in genere', dato che, nel caso di chi si oppone alla islamizzazione dell'Europa da parte dell'islam, viene abitualmente coperto di epiteti diffamanti.
Oggi ci sono due eccezioni, qualcuno vorrà imitarli?
ecco le interviste:
La Stampa-Marco Zatterin: " Wilders: insieme a Salvini e Orban per gli stati sovrani"
Marco Zatterin
"L’ apertura di Salvini a Orban per la creazione di un’alleanza fra i partiti che credono nella loro patria è una ottima mossa, noi siamo pronti a vedere cosa si può fare insieme". Il consenso di Geert Wilders per «l’amico Matteo» è netto. L’olandese, il primo a lanciare una crociata contro l’Islam in difesa delle radici cristiane dei Paesi Bassi dove «ci sono sempre più olandesi che non riescono più a sentirsi a casa», vede nel successo dell’alleato lombardo la conferma delle sue teorie. Un partner e un leader. «Dobbiamo parlarne», assicura, anche se l’impressione è che a questo punto della storia Wilders sembri rincorrere il vicepremier leghista, che lavora su messaggi meno manichei, più «attuali» e ricchi di sfumature. «Lo incontrerò al più presto», assicura.
Ieri, in riva al lago, c’è però stata solo una stretta di mano.
Per essere uno costretto da una decina di anni a circolare scortato per aver detto che il Corano è come il «Mein Kampf» di Hitler, il guru dell’ultranazionalista Partito per la Libertà, socio di Salvini a Strasburgo, di persona è gentile e garbato. «Noi ci conosciamo, vero?», sorride mentre sfila sotto la veranda di Villa D’Este in una pausa del Forum Ambrosetti. Cortese e di buona memoria, così si ferma a parlare di quello che ci sta intorno, con una idea precisa da condividere. Quella di spiegare che «un’Europa di stati sovrani che cooperino» è una formula che potrebbe accettare, a patto che fosse «eliminata ogni ambizione federale». Perché è proprio il sogno di integrazione che «oggi costringe i cittadini a pagare il prezzo della crisi». È questo il primo passo verso una Alleanza populista per le elezioni europee? «È un progetto che ci interessa, però non è ancora il momento di impegnarsi. Al Parlamento europeo abbiamo il gruppo “Europa della Libertà e della Democrazia” del quale fanno parte la Lega e il Front National. Il punto di partenza non può che essere questo. Ogni opzione che renda più rilevante la nostra unione trova la porta aperta». Il candidato del partito popolare alla Commissione Ue, Manfred Weber, ha aperto al dialogo con Orban e Salvini. Le interessa? «Non sono al corrente di questo progetto». Orban è nel Ppe. Se portasse con sé la Lega, lei sarebbe isolato. «Abbiamo molti punti in comune su cui agire, però non sono certo di volere un candidato unico per governare a Bruxelles. Magari è più interessante l’obiettivo contrario». Siete uniti nell’offensiva per arginare il flusso dei migranti. Come pensa che uno Stato da solo possa riuscire a controllare un flusso che ha radici lontane e un respiro planetario? «Partiamo dal punto di vista che l’azione dell’Unione europea si è dimostrata un fallimento e che in città come Amsterdam la comunità dei migranti rappresenta un terzo della popolazione. L’effetto dell’occupazione è un attentato alla nostra identità nazionale, favorita dall’Unione europea che invece un’identità non ce l’ha. Ogni Stato, come ogni cittadino, deve avere la possibilità di chiudere la porta di casa e lasciare fuori chi è indesiderato, senza dover accettare una politica di apertura imposta oltreconfine. Ad andare avanti così, non potrà che peggiorare». Mettiamo anche che sia possibile. Ma come fate da soli? «Non sto dicendo che si deve farlo da soli, ma che la cooperazione con altri deve essere decisa dai singoli Stati e non da altri. Io credo in un’Europa che metta insieme Stati indipendenti che lavorino insieme ognuno esercitando la propria sovranità». Questo le ha portato accuse di xenofobia. Come lo spiega? «Non siamo xenofobi. Il mio partito, come molti altri partiti in Europa, è votato da gente perbene che sta perdendo la speranza e vede la propria identità nazionale scomparire lentamente davanti ad una cultura come quella musulmana che è dominante». Lei difende le radici cristiane. Ma l’insegnamento è che siamo tutti uguali, no? «No. Non tutte le culture sono uguali».
Corriere della Sera-Federico Fubini: "Le tesi di Wilders: noi diversi ma uniti, lottiamo tutti control'islamizzazione-
Federico Fubini
CERNOBBIO (COMO) Geert Wilders, 55 anni, capo del Partito della libertà olandese, sa cosa vuol dire finire in tribunale facendo politica. Due anni fa è stato condannato per aver incitato alla discriminazione contro gli immigrati. In questi giorni è al Forum Ambrosetti, dove ha incrociato il vicepremier Matteo Salvini. Salvini si è appena unito a The Movement, la fondazione di Steve Bannon per portare il programma trumpiano alle elezioni europee del 2019. Entrerà anche lei? «Ancora non so. Bannon mi ha contattato, verrà all’Aia. Mi piace l’iniziativa per il modo in cui cerca di unire le forze di tutti questi movimenti per il 2019. Ancora non ci siamo parlati, ma di sicuro plaudo all’iniziativa». Le europee saranno una sfida fra i pro europei e i nazionalisti come lei, Salvini, Marine Le Pen e Viktor Orbán e la destra radicale svedese, austriaca e tedesca? «Salvini, io stesso, Le Pen, il nostro collega austriaco Heinz-Christian Strache siamo partiti cinque anni fa. Abbiamo formato un gruppo nell’Europarlamento, gran parte dei nostri partiti si sono rafforzati: noi siamo secondi in Olanda, in Svezia sono in crescita, Le Pen ha preso dieci milioni di voti, mentre Salvini, Orbán e Strache governano. È una lotta per la sovranità, l’identità e contro l’immigrazione di massa. Alcuni di noi sono anti Ue, altri sono critici dell’Europa. Ma tutti siamo per l’identità nazionale e contro l’islamizzazione». In Olanda non più del 5% della popolazione si dichiara di religione musulmana. Perché tanta paura di quella che lei chiama «islamizzazione»? «È un problema enorme. Non dico che tutti i musulmani siano gente poco raccomandabile, ma oggi abbiamo un milione di musulmani su 17 milioni di abitanti in Olanda. Non dico siano pericolosi. Ma il 70% dei musulmani crede che le leggi dell’Islam siano più importanti delle leggi fatte dal Parlamento. E l’11%, secondo l’Università di Amsterdam, è disposto a usare la violenza per difendere l’ideologia islamica». Anche se i suoi sondaggi fossero corretti, questi abitanti di fede musulmana rispettano la legge olandese. Dov’è il problema? «Sono sovrarappresentati in tutte le statistiche sui reati e la dipendenza dal welfare». Ma in Olanda una quota importante di occupati è fatta di stranieri: pagano tasse e contributi e pochi fra loro sono già in pensione. Perché lei non ne parla mai? «Quelli sono i figli o i nipoti di immigrati». Le statistiche sbagliano? «Paghiamo ogni anno 7 miliardi di euro per sostenere gli stranieri in disoccupazione. Ci sono dei somali da noi che non fanno nulla da decenni». Lei dice che dev’esserci in Olanda e Europa una cultura dominante. Quale? I cristiani sono il 36%, gli atei il 50%. «Io stesso sono agnostico, ma sottoscrivo i valori giudaico-cristiani. Non devi essere cristiano per sostenere i valori cristiani sui quali si basa la nostra cultura. Devi avere una cultura dominante. Sono contro la Ue e l’idea di uno stato sopranazionale che ci toglie l’identità. Il problema dell’islamizzazione è esistenziale. Quelli non vogliono integrarsi. Sono qui non per assimilarsi, ma per dominare e soggiogare. E guardi, la popolazione africana passerà da un miliardo e mezzo a più del doppio in questo secolo e almeno un terzo di loro vorrà venire in Europa». L’Europa potrà gestire questi fenomeni se ogni Paese gioca da solo? «Io sono per cooperare, ma non in un’unione politica. Il mio partito ha sostenuto un governo di minoranza del premier attuale, Mark Rutte, per due anni. L’accordo era che avremmo avuto una politica migratoria più dura, ma quando Rutte è andato a Bruxelles non gliel’hanno permesso. Non abbiamo più le chiavi della porta di casa nostra». È per la libertà politica? «Certo!» Come fa a ammirare Orbán, che ha ridotto le libertà politiche? «Non ci credo. Conosco Orbán da molto tempo, lo incontro più volte l’anno. Quello che dicono di lui è falso, lui per primo conosce i danni del totalitarismo. È uno dei pochi leader che affronta il tema dell’identità nazionale, è un esempio per il resto d’Europa».
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