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Sono i palestinesi i critici piu' duri verso gli stati arabi che
apertamente, o sotto un discreto basso profilo, appoggiano America e
Inghilterra nell'attacco all'Iraq.
"Ci hanno tradito un'altra volta", scrivono i giornali di Arafat da quando
la guerra e' iniziata. Per un verso non hanno torto. Respingendo la
spartizione della Palestina in due stati, come fu deciso dall'ONU nel 1947,
il mondo arabo impedi' ai palestinesi di vivere in un loro stato fin da
allora. Nemmeno le cinque guerre scatenate per distruggere lo stato ebraico
portarono a qualche risultato. Israele si difese e riusci'sempre a
sopravvivere. Ma i palestinesi non possono accusare gli stati arabi della
regione di essere sempre solo loro i responsabili delle disgrazie che
subiscono ed e' inutile che in questi giorni sfoghino la loro rabbia
pubblicando sui loro giornali vignette che ridicolizzano i satrapi arabi
colpevoli di "tradimento".
Il primo e ultimo traditore delle speranze palestinesi e' stato l'ex
onnipotente Arafat nel momento in cui ha respinto gli accordi di Camp David
con Clinton e Barak. Quell'ultimo no ha lasciato un'altra volta i
palestinesi con le mani vuote.
D'altra parte non e' senza significato che lo stesso Arafat guardi
all'evolversi della situazione senza sbilanciarsi in dichiarazioni che
potrebbero comprometterlo di fronte all'America a guerra finita, anche se ha
capito che il ruolo di interlocutore cosi' come l'abbiamo visto fino ad oggi
e' di fatto terminato.La scelta di delegare una parte del suo potere rientra
in questa valutazione, anche se le notizie dall'Iraq hanno spinto in secondo
piano l'arrivo sulla scena di Abu Mazen. Di lui oggi si parla poco, anche se
molti si augurano che l'arrivo di un primo ministro moderato possa portare
finalmente le attese riforme nella struttura verticale dell'autorita'
palestinese. Anche se la sua reale autonomia sara' relativa, essendo la sua
nomina derivata direttamente da Arafat,Abu Mazen rappresenta indubbiamente
un fattore di novita', soprattutto se dopo la caduta di Saddam Hussein anche
il potere del rais palestinese comincera' a vacillare per l'effetto domino
che tutti si augurano. Caduto Saddam il terrorismo palestinese dovra' dire
addio ai dollari che da Bagdad arrivavano generosamente alle famiglie dei
terroristi suicidi. Niente piu' cerimonie a Gaza o nel West Bank per la
consegna dell'assgno di 25.000 dollari a suicida, una montagna di soldo che
in questi due anni e mezzo di Intifada ha raggiunto i 25 milioni di dollari.
Con la scomparsa dell'assegno famigliare verra' meno una delle motivazioni
forti che hanno sostenuto il terrorismo, ben piu' della promessa di trovare
nell'aldila' trentasette vergini in attesa di soddisfare in eterno i
desideri dei terroristi- suicidi.
La caduta del regime di Saddam, contrariamente a quanto sostiene l'universo
pacifista, accelerera' in senso positivo il futuro dei palestinesi. Se, come
molti anche all'interno della stessa autorita' palestinese si augurano,
Arafat verra' di fatto esautorato di fatto dal potere,sara' il processo di
pace a riprendere una qualche possibilita' di realizzazione. Ma ai critici
delle reali motivazioni della guerra all'Iraq questo interessa ben poco.
Come non gli e' mai importato un gran che dello stesso mondo arabo. Ci
piacerebbe sapere dove erano i manifestanti in difesa dei diritti dei
palestinesi quando alla liberazione del Kuwait dalla invasione di Saddam nel
1991 duecentocinquantamila palestinesi venivano espulsi dal paese per aver
appoggiato il dittatore iracheno. Mica pochi, 250.000 ! In Europa tutti
zitti,e' ovvio, non c'erano di mezzo ne'l'America ne' Israele. Era uno stato
arabo a prendere la decisione, quindi chi se ne importa di
duecentocinquantamila palestinesi.
Dalla televisione il generale Franks ci informa in questo momento che nella
contabilita' dei missili di Saddam ne mancano ventiquattro.
La notizia preoccupa Israele. Saddam ci ha gia' provato. Qui tutti sperano
che scompaia prima che ci riprovi.
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