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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Diario da Israele 22-03-03
Non c’e’ stata la grande fuga verso Eilat, la citta’ piu’ lontana dai missili di Saddam Hussein. Qualche bagno nelle acque del mar rosso aiuta ad allontanare la sensazione di pericolo imminente,ma la presenza negli alberghi registra una normale presenza turistica.

Le prime impressioni che provo arrivando all’aeroporto Ben Gurion sono quelle di una popolazione che si rende conto di essere estremamente a rischio ma che affronta con calma la situazione. Se non sapessimo quello che sta succedendo in questa parte del mondo l’immagine che Israele da’ di se’ e’ quella di un paese assolutamente normale. Il che non esclude la presenza del pericolo. Ma e’ veramente ammirevole in che modo questo popolo affronti con coraggio e calma la possibilita’ che da un momento all’altro scatti l’allarme missili.

Saddam ci aveva gia’ provato nella prima desert storm ad attaccare Israele. Trentanove missili scud erano caduti su Tel Aviv e dintorni, ma i danni furono relativi. Per fortuna l’incapacita’ militare del rais si era fatta notare anche allora.

Anche se la maggior parte delle compagnie aeree ha cancellato tutti I voli per Tel Aviv, l’aeroporto ha un aspetto quasi normale. El Al, Alitalia e Swiss continuano i loro collegamenti e, a meno di un attacco improvviso, tutti i servizi sono garantiti.

Ho cercato subito la maschera antigas, ma sbagliavo pensando che l’avrei trovata all’aeroporto. Se chi arriva non ha la possibilita’ di fornirsene una subito, allora vuol dire che la situazione e’ sotto controllo. Pensiero rassicurante per chi non è ancora abituato a camere sigillate, rifugi pubblici e medicine da prendere subito in caso di guerra batteriologica.

Gli israeliani vivono da sempre con radio e televisione accese. Un paese che da quando e’ nato si trova sotto perenne minaccia di distruzione non puo’ permettersi di non sapere quel che succede minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. Sul taxi che mi porta a Gerusalemme, la radio mi informa in tempo reale sulle ultime notizie della guerra. Regolare, dopo il sermone del venerdi’, davanti a molte moschee a Gaza e nel West Bank, decine di migliaia di palestinesi hanno organizzato manifestazioni contro l’America e i suoi alleati. Bandiere bruciate, insulti per tutti i nemici di Saddam ed un grido comune: “Saddam, bombarda con armi chimiche Tel Aviv!”.

Penso ai nostri pacifisti, quelli con la keffia intorno al collo, chissa’ se condividono, se acriticamente come hanno scelto la parte palestinese non gli viene un dubbio da che parte stia la giustizia e da quale la violenza. Comunque il tanto esecrato (sottovoce) Saddam sembra che non se la passi bene, le immagini che i telegiornali israeliani diffondono in continuazione sulla guerra in Iraq mi rassicurano che la pace non sara’ quella che si augurano i pacifisti.

Penso alla storia di questo paese. Cosi’ americano nell’organizzazione dei consumi, cosi, europeo nella tradizione culturale, cosi’ ebraico nel suo sentirsi una naturale prosecuzione del racconto biblico e nello stesso tempo proiettato nel futuro. “United we stand”, ci sentiamo uniti, diceva Israele all’America dopo l’11 settembre. Mai e’ stato vero come in questo momento.


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