Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 06/09/2018, pag.12 con il titolo "La Scuola di gomme deve essere abbattuta" il commento di Luca Foschi; dal MANIFESTO, a pag. 9, con il titolo "Ordine di demolire", il commento di Michele Giorgio.
Avvenire e Manifesto raggiungono nuove vette di disinformazione contro Israele. Oggi, infatti, difendono dall'abbattimento alcune costruzioni illegali finanziate da ong che hanno una agenda politica contro Israele e favoriscono di fatto il terrorismo arabo palestinese. La cosiddetta "scuola di gomme" è una costruzione illegale e quindi va abbattuta secondo la legge israeliana, che non guarda in faccia nessuno ed è uguale per tutti.
Secondo Amnesty International - riporta Giorgio - si tratterebbe di un "atto di guerra": a tanto giunge l'odio anti-Israele di numerose ong internazionali.
Ecco gli articoli:
AVVENIRE - Luca Foschi: "La Scuola di gomme deve essere abbattuta"
Difenderemo il villaggio fino alla fine, pacificamente». È rassegnata l'espressione sul volto di Abu Khamis, una ragnatela di rughe come crepe nella terra secca. Il portavoce della comunità di Khan al-Ahmar offre il caffè agli ospiti, osserva i bambini che giocano sotto una grande tenda circolare di spicchi colorati, scossa come in una bufera dalle volontarie dell'Università di Bir Zeit. Più tardi guideranno gli scolari in una cantilena, «vogliamo la libertà, vogliamo una patria», ripresi da altri attivisti per la battaglia mediatica del Web. Intorno all'agorà d'erba sintetica e ombreggi, Khan al-Ahmar è una manciata di baracche precarie di lamiere, plastica e legno che si stringe intorno alla "Scuola di gomme", un coagulo di pneumatici e fango costruito nel 2009 grazie alla Cooperazione italiana, la Cei e la Ong Vento di terra Dopo mesi di intensa dialettica legale in cui si sono succeduti ordini di demolizione, scontri sul terreno, arresti e sospensione della sentenza, ieri i giudici della Corte Suprema israeliana hanno stabilito che le operazioni per radere al suolo Khan al-Ahmar potranno cominciare dopo sette giorni, seguendo una data stabilita dal governo. È incerto il destino dei 180 abitanti, 90 dei quali bambini. In agosto lo Stato israeliano aveva proposto il trasferimento in un sito a sud-est di Gerico, purché nella ricollocazione fossero incluse anche le 400 persone dei tre villaggi circostanti. La comunità ha notificato alla Corte il proprio rifiuto, spiegando come il sito proposto si trovi a poche centinaia di metri da una discarica. «Siamo qui dagli anni '50 perché l'esercito israeliano ci ha cacciati dal Negev. Non abbiamo mai ottenuto il permesso di costruire, né ci sono state fornite acqua ed elettricità. Non è l'illegalità dell'insediamento a muovere Israele, ma una strategia d'espansione», spiega Abu Khamis. Il presidente Mahmoud Abbas ha invitato tutti i palestinesi a considerare Khan al-Ahmar l'ultima frontiera resistenziale. Lo smantellamento del villaggio ha diviso anche l'insediamento ultraortodosso di Kfar Adumin, cresciuto pochi chilometri a nord, oltre le protuberanze bianche e aride delle colline. Durante gli scontri di luglio alcuni abitanti hanno esposto le bandiere israeliane, in sostegno alle truppe giunte a protezione delle ruspe.
La cosiddetta "scuola di gomme"
Altri, una fronda di quindici, avevano inoltrato in aprile una petizione alla Corte in favore dei beduini. Poco ha ottenuto la retorica di Abbas. Il ministro della difesa Lieberman ha annunciato piani per la costruzione di centinaia di nuove unità abitative. L'amministrazione Trump, impegnata a costruire «l'accordo del secolo», ha azzerato il contributo americano all'Unrwa e ridotto di 200 milioni di dollari il finanziamento all'Autorità palestinese. Il peso contrattuale di Ramallah diminuisce anche in ragione delle eterne divisioni dell'Olp e del partito egemone Fatah, poco incline a una riconciliazione con il regime di Hamas a Gaza, coinvolto da Tel Aviv, il Cairo, Doha e l'Onu in una trattativa separata che legittimerebbe nella forma di una tregua di lungo periodo il profilo statuale del partito islamico, rendendo il riavvicinamento fra questo e l'Autorità ancora più difficile. La frammentazione politica si declina sul territorio, dove a opporre le istanze degli ultimi sono voci sempre più isolate: «Sono qui come arabo e palestinese» dice l'archimandrita Abdallah Julio, italiano che da oltre quarant'anni vive nel mondo arabo. Anche lui, parroco della chiesa melchita di Ramallah e membro del Comitato centrale dell'Olp per Fatah, è in visita a Khan al-Ahmar: «Cercheremo con la nostra presenza di impedire la distruzione del villaggio. Siamo figli di un unico popolo, dove cristiani e musulmani vivono da secoli in pace».
IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Ordine di demolire"
Michele Giorgio
Era raggiante di gioia ieri il ministro della difesa Avigdor Lieberman dopo la sentenza, prevista, dei giudici della Corte suprema israeliana che ha dato il via libera definitivo alla distruzione del villaggio beduino di Khan al Ahmar e della Scuola di Gomme, costruita dalla ong milanese Vento di terra, e al trasferimento forzato dei suoi abitanti.
PER LIEBERMAN i massimi giudici israeliani sarebbero dei «coraggiosi» perché, incuranti delle pressioni locali e internazionali, hanno emesso una sentenza «esemplare» tenendo conto solo di ciò che prevede la legge. «Nessuno può fermarci dall'attuare la nostra sovranità. Nessuno è al di sopra della legge», ha proclamato con soddisfazione. Ma è la legge dell'occupante quella di cui parla Lieberman, imposta su un territorio che il diritto internazionale considera occupato militarmente. La legge del più forte non quella della giustizia, altrimenti le 35 famiglie beduine di Khan al Ahmar non verrebbero cacciate via dalle terre dove vivono da decenni, provenienti da un'altra località che erano stati costretti a lasciare dopo il 1948. Se quella applicata nei territori occupati dai tre giudici della Corte suprema fosse una legge giusta allora non sarebbero mai stati legalizzati gli avamposti coloniali costruiti in Cisgiordania senza alcun permesso ufficiale dalla destra religiosa israeliana. Ciò che è «illegale» per i palestinesi sotto occupazione è perfettamente legale per i coloni israeliani.
NULLA HANNO potuto la mobilitazione palestinese, le proteste dell'Ue e dell'Onu e le modeste pressioni dell'Italia su Israele rimaste sempre dietro le quinte e mai rese pubbliche per non turbare i rapporti eccellenti tra Roma e Tel Aviv. Per questa comunità beduina, riunita ieri per fare il punto della situazione e decidere i prossimi passi assieme ai suoi tanti sostenitori, anche israeliani, la prospettiva immediata è lo sgombero con la forza entro sette giorni e il trasferimento a 12 km di distanza in un nuovo sito nell'area di Azariya-Abu Dis, non lontano da una discarica di rifiuti. Per Khan al Ahmar passerà una nuova strada, di collegamento tra alcune colonie, che darà il via alla realizzazione dei progetti israeliani nell'area C1, un corridoio che da Gerusalemme Est corre verso Gerico e passa per la colonia ebraica di Maale Adumim. Se il corridoio verrà interamente colonizzato, renderà impossibile la nascita di un Stato palestinese con un territorio omogeneo.
LA CONFERENZA stampa di ieri a Khan al Ahmar si è svolta in un clima di rabbia e tristezza però non di rassegnazione. «Ci schiereremo contro questa decisione e non lasceremo la nostra terra», ha avvertito Ibrahim Abu Dahuk, un abitante. Dura la condanna delle Nazioni Unite che hanno parlato di grave violazione dei diritti umani. «Queste comunità - ha detto Scott Anderson, direttore operativo dell'agenzia Unrwa - sono per lo più rifugiate, originariamente sfollate dalle loro terre nel Negev. Non dovrebbero essere costrette a vivere una seconda evacuazione contro la loro volontà». Le famiglie di Khan al Ahmar, della tribù dei Jahalin, provengono dal Negev, da cui furono cacciate negli anni Cinquanta, negli anni successivi alla Nakba del 1948, e costrette a spostarsi in Cisgiordania. Netto il giudizio di Saleh Higazi di Amnesty International: «siamo di fronte a un crimine di guerra, la Corte suprema israeliana si è resa complice di un progetto criminoso. Il trasferimento con la forza di una intera comunità è una violazione del diritto internazionale».
IERI SI È PARLATO tanto anche della Scuola di Gomme, l'istituto scolastico costruito a Khan al Ahmar dalla ong italiana Vento di Terra su progetto di ArCò, con i finanziamenti di enti locali, istituzioni religiose e dell'Agenzia Italiana per la Cooperazione. Costruita con criteri innovativi utilizzando pneumatici, è stata per anni l'asilo e la scuola per bambini e ragazzi di cinque comunità beduine. Il suo destino è segnato, malgrado l'impegno ad ogni livello della ong italiana per sottrarla alla demolizione. «E un giorno triste perla comunità di Khan al Ahmar e per la nostra ong» ci diceva ieri Giulia Schirò, rappresentante in Palestina di Vento di Terra, «è un giorno in cui appaiono evidenti l'ingiustizia e la discriminazione nei confronti del popolo palestinese. Nonostante ciò a Vento di terra non mancano le energie e le motivazioni per proseguire il proprio lavo- ro e per stare accanto alla comunità di Khan al Ahmar nel percorso difficile che dovrà fare nel prossimo periodo».
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