Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/09/2018, a pag. 8 la cronaca di Giordano Stabile dal titolo "Dietro la rivolta armata la mano di Erdogan per sfidare i sauditi".
Giordano Stabile
C’è anche una pista che porta in Turchia dietro al caos libico riesploso a Tripoli. L’attacco della Settima Brigata del comandante Abdel Rahim Al-Kani contro le milizie fedeli al premier Fayez al-Serraj è coinciso con il ritorno nella capitale di uno dei più controversi personaggi della guerra civile che nel 2011 ha rovesciato Muammar Gheddafi. È Salah Badi, uomo di Misurata, con una vasta rete di appoggi che da Tripoli si estende fino a Istanbul. Badi è stato esiliato in Turchia nel 2016 con l’accusa di aver favorito il gruppo jihadista Ansar al-Sharia, ma nella notte fra il 30 e il 31 agosto, quando è cominciato il blitz nei sobborghi meridionali della capitale, è riapparso di colpo, ha improvvisato un comizio nel quartiere di Qasr bin Ghashir e incitato la popolazione a prendere le armi per ristabilire «lo spirito della rivoluzione del 17 febbraio», liberare la Libia «dalla corruzione» e punire «i colpevoli e i loro complici».
Erdogan
Le immagini virali
Il video del comizio ha poi cominciato a circolare sui social network, in una offensiva propagandistica che affianca quella militare. La presenza di Badi dà spessore politico all’operazione dei fratelli Al-Kani, detti i “Kanaiat”, uomini di azione, e di rastrellamento di denaro, più che di strategia. Badi è stato invece il leader del colpo di mano islamista del 2014, l’Operazione Alba, quando il parlamento appena eletto dovette fuggire a Tobruk sotto la spinta delle milizie e dei partiti legati ai Fratelli Musulmani, che avevano perso la maggioranza rispetto alle elezioni del 2012. Badi allora guidò l’assalto decisivo contro le milizie di Zintan che difendevano la capitale, in una battaglia rovinosa che ha portato alla distruzione del nuovo aeroporto internazionale della capitale (da non confondere con quello di Mitiga, più vicino al centro).
L’Operazione Alba è poi naufragata fra risse interne, per la controffensiva lanciata dalla Cirenaica dal generale Khalifa Haftar, e soprattutto sotto la pressione di Stati Uniti e Onu che nel marzo del 2016, dopo gli accordi del dicembre 2015 a Skhirat in Marocco, hanno imposto come premier del nuovo “governo di accordo nazionale” il moderato Al-Serraj e costretto Badi a lasciare la Libia. Tripoli da allora è controllata da altre milizie islamiche, rivali però di Badi e più vicine all’Arabia Saudita che alla Turchia, come quella del signore della guerra Haithem al-Tajouri, adesso tornato di corsa dalla Mecca, dove era in pellegrinaggio, per organizzare la difesa della capitale. Badi, oltre che sulla milizia dei “Kanaiat”, può contare sulla sua formazione Jabhat al-Samud, il Fronte della Fermezza. L’ago della bilancia però restano le forze armate di Misurata, le meglio addestrate perché appoggiate dai consiglieri militari statunitensi e italiani durante la battaglia di Sirte contro l’Isis.
La Misurata “turca”
A Misurata Al-Serraj può contare sull’appoggio sicuro del vicepremier Ahmed Maitig, e sulla milizia della cosiddetta “Forza anti-terrorismo” guidata dal generale Mohammed Al-Zein. Parte delle milizie però appoggia o simpatizza per Badi. Misurata è anche la città più “turca” di tutta la Libia, è stata l’ultimo centro costiero ad arrendersi all’Italia nel 1911, quando Roma strappò Tripolitania e Cirenaica all’Impero ottomano. I Fratelli Musulmani libici hanno come punto di riferimento la Turchia. L’Operazione Alba è stata appoggiata da Ankara e finanziata dal Qatar. L’altro regista del blitz e sponsor di Badi, il Gran Mufti Sadiq al-Ghariani, ha trovato rifugio a Doha e poi a Istanbul, quando nel 2014 i britannici volevano arrestarlo, prima di tornare in Libia. Badi ha anche buoni rapporti Khaled al-Mishri, capo dell’Alto consiglio di Stato, il “Senato libico”, altro fratello musulmano.
La partita di Tripoli è quindi complessa. Alla rivalità fra Al-Serraj e Haftar, e fra l’Italia e la Francia, si aggiunge la frattura fra le correnti islamiche sunnite, pro-Turchia e pro-Arabia. E tutto ciò rende ancora più difficile trovare una soluzione.
Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante