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La Stampa - Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
05.09.2018 Svezia verso le elezioni: crescono i sovranisti nazionalisti, ecco perché
Commenti di Giulio Meotti, Monica Perosino (che demonizza il partito sovranista), Andrea Tarquini; l'opinione di Manfred Gerstenfeld

Testata:La Stampa - Il Foglio - La Repubblica
Autore: Monica Perosino - Giulio Meotti - Andrea Tarquini
Titolo: «I sovranisti nella patria dello Stato sociale. Gli ex neonazi puntano a prendersi la Svezia - L’utopia in crisi - 'La Svezia è in mano ai migranti' così la paura fa volare i sovranisti»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/09/2018, a pag. 1, con il titolo "L’utopia in crisi", l'analisi di Giulio Meotti; dalla STAMPA, a pag. 11, con il titolo "I sovranisti nella patria dello Stato sociale. Gli ex neonazi puntano a prendersi la Svezia", il commento di Monica Perosino; dalla REPUBBLICA a pag. 12, con il titolo " 'La Svezia è in mano ai migranti' così la paura fa volare i sovranisti", il commento di Andrea Tarquini.

In Svezia, come scrive Giulio Meotti, la situazione sociale è esplosiva. Se le cose non cambieranno rapidamente, sarà inevitabile l'ascesa di movimenti e partiti contrari alla politica di accoglienza indiscriminata e terzomondista. Monica Perosino, però, descrive il partito sovranista e nazionalista anti-immigrazione come composto da "ex neo-nazisti": un modo non equilibrato per demonizzare una formazione in crescita di consensi. Perfino Andrea Tarquini sulla Repubblica descrive in modo sostanzialmente onesto ed equilibrato la situazione, evitando di dare giudizi di valore e cercando piuttosto di trovare le motivazioni dell'ascesa del partito sovranista: perché la Stampa sceglie un altro approccio?

Ecco l'opinione sul partito nazionalista svedese di Manfred Gerstenfeld, massimo esperto di antisemitismo in Europa: "Il partito SD (democratici svedesi) sta facendo uno sforzo per evitare la manifestazione di antisemitismo al proprio interno. Alcuni suoi esponenti estremisti, infatti, hanno abbandonato il partito. Non è corretto definirlo un partito antisemita, d'altra parte continuano a esserci  esponenti  antisemiti fra i socialdemocratici, il partito che finora ha governato la Svezia".

Ecco gli articoli:

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Stefan Lofven (socialdemocratico), Jimmie Akesson (nazionalista sovranista)

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "L’utopia in crisi"

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Giulio Meotti

Roma. Il 30 agosto la Svezia ha ospitato il primo festival musicale al mondo “per sole donne”. L’ingresso a Göteborg era proibito agli uomini. Una “safe zone” riservata a donne, trans e persone “non binarie”. L’idea era venuta un anno fa alla comica Emma Knyckare, dopo che il festival di Bravalla era terminato con numerose denunce di violenze sessuali. E molti di quei casi avevano coinvolto dei rifugiati. Adesso la Svezia si prepara alle “più importanti elezioni della storia”, come scrive enfaticamente il Financial Times, e il “concerto per sole donne” illustra bene la crisi di quella “superpo - tenza morale”, come la definisce il New York Times. In questi anni, la Svezia è andata fiera del suo profilo umanitario, essendo il paese che percentualmente ha accolto più migranti e speso di più per loro in rapporto al pil. Per la prima volta dal 1917, il Partito socialdemocratico, che ha formato governi in 80 dei 101 anni dall’introduzione della democrazia, rischia di essere scalzato. Ma l’attuale crisi non è soltanto politica, con l’ascesa dei Democratici svedesi, destra pesante. E’ soprattutto una crisi di identità. “La Svezia sta diventando come il resto dell’Europa”, ha detto malinconico l’ex primo ministro Carl Bildt In un paese di dieci milioni di abitanti, nel 2017 ci sono state 320 sparatorie e dozzine di assalti con granate, con 110 omicidi e 7,226 stupri, un aumento del dieci per cento rispetto al 2016 (molotov sono state lanciate anche contro le sinagoghe). Come riporta il Times, il 36 per cento delle donne svedesi ammette di non sentirsi al sicuro di notte. Il crimine aumenta nelle “aree di esclusione sociale”, che alcuni chiamano “no-go”. Per ammissione della polizia, ce ne sono 55. Fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile la recente headline della Bbc: “Il problema della Svezia con le bombe a mano”. A Malmö, dove un quinto della popolazione di 340 mila persone è minorenne, per strada girano gang armate, la cui stragrande maggioranza è di origine immigrata. “Abbiamo toccato il fondo: la gente usa mitragliatrici e bombe a mano, vogliono uccidere”, ha detto Zoran Markovic, l’ex capo della polizia a Rosengard, dove la nuova stazione di polizia è stata fortificata. Il vecchio edificio era stato crivellato in una sparatoria. La situazione è drasticamente peggiorata negli ultimi due anni. La scuola principale di Rosengard, che ha alunni di duecento etnie, è stata chiusa a causa della tensione sociale. Rinkeby, a venti minuti dal centro di Stoccolma, è una delle zone più colpite dalla criminalità. I paramedici e i pompieri chiedono la scorta della polizia per operare là. Al calare della sera, le bande dominano le strade, tanto che il magistrato incaricato di sconfiggere il crimine organizzato, Lise Tamm, ha definito Rinkeby una war zone. Eppure, in Svezia è un tabù stabilire un collegamento tra immigrati e criminalità, secondo Tino Sanandaji, l’economista svedese di origine iranico-curda che ha scritto “Mass Challenge”, best seller su come il paese non è riuscito ad integrare i nuovi arrivati. La critica dell’immigrazione è stata prerogativa della destra per così tanto tempo che il libro di Sanandaji è stato inserito nella lista nera di alcune biblioteche pubbliche, nonostante le lodi degli esperti. “Gli attacchi avrebbero terminato la mia carriera se fossi stato uno svedese bianco etnico”, ha detto l’economista. I numeri di Sanandaji sono impressionanti: il 58 per cento del welfare va agli immigrati; il 45 per cento dei bambini con bassi punteggi a scuola sono immigrati; gli immigrati guadagnano il 40 per cento in meno degli svedesi; la maggior parte delle persone accusate di omicidio, stupro e rapina sono immigrati di prima o seconda generazione e “la Svezia ha il maggiore aumento delle disuguaglianze di qualsiasi paese dell’Ocse”. Paulina Neuding, una giornalista svedese di fama internazionale, è stata accusata di xenofobia per aver collegato l’aumento dei crimini antisemiti e sessuali alla migrazione di massa. Neuding, nata da una famiglia ebrea emigrata dalla Polonia comunista al tempo delle persecuzioni, ha detto che la Svezia sta vivendo una “crisi di violenza sessuale”. “La Svezia è passata dall’essere un paese a bassa criminalità ad avere tassi di omicidi significativamente superiori alla media dell’Europa occidentale” ha scritto Neuding su Politico. “I disordini sociali, le auto bruciate, gli attacchi ai soccorritori e i disordini, sono un fenomeno ricorrente. Le sparatorie nel paese sono diventate così comuni che non fanno più titolo, a meno che non siano spettacolari o abbiano delle vittime. Le notizie sugli attacchi vengono velocemente sostituite con titoli su eventi sportivi e celebrità, poiché i lettori sono diventati desensibilizzati alla violenza”. Sanandaji ha ben sintetizzato la fine di quella utopia: “La Svezia ha avuto successo ad abolire la tradizionale società per classe, ma i politici stanno creando una sottoclasse etnica”.

LA STAMPA - Monica Perosino: "I sovranisti nella patria dello Stato sociale. Gli ex neonazi puntano a prendersi la Svezia"

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Monica Perosino

Jimmie Åkesson ci crede ancora, forse come mai prima d’ora. «Voglio essere il primo ministro della Svezia, voglio ribaltare il potere costituito, voglio cambiare il Paese». Il leader dei Democratici svedesi, il partito populista di destra che aspira a diventare il secondo del Riksdag, ha riverniciato l’immagine della formazione neonazista e l’ha trasformata in un partito sovranista anti-migranti. L’operazione ha funzionato: gli Sverigedemokraterna galleggiavano sulla soglia di sbarramento (4%) nel 2010, oggi sono proiettati a conquistare il 19%, ma potrebbero arrivare oltre.

Domenica prossima 7,3 milioni di elettori decideranno quale strada imboccherà il Paese, e sebbene i sondaggi facciano pensare a un nuovo – debole – governo di minoranza a guida socialdemocratica, la svolta sarà comunque storica: l’ondata sovranista che ha invaso l’Europa rischia di arrivare fino a Stoccolma e incrinare il regno incontrastato della rosa rossa di Stefan Löfven, che potrebbe registrare il peggior risultato di sempre (-10% rispetto alle ultime elezioni).
«Quando pensiamo alla Svezia la associamo alla socialdemocrazia – dice il politologo Patrik Öhberg -. Ma sembra che questa epoca stia per finire, siamo diventati un Paese come qualsiasi altro, e il bastione della socialdemocrazia sta per diventare un cumulo di macerie». Se si eccettuano i governi di Pedro Sanchez in Spagna e di Antonio Costa in Portogallo (anche se nessuno dei due ha vinto le elezioni), il declino in Europa dei socialisti sembrerebbe inarrestabile. E, sebbene sia altamente improbabile che questo sarà il turno di Åkesson gli effetti della propaganda anti migranti e della «Sweden First» hanno avuto effetti anche sulla politica del premier socialdemocratico Löfven, che è stato costretto, come già lo era stata Merkel, a un passo indietro nell’accoglienza. La Svezia nel 2015 era il Paese «che non chiude le porte a nessuno» (accolse 135.000 migranti), tra il 2017 e il 2018 è diventato il Paese che accoglie, ma ogni tanto sospende Schengen e aumenta i rimpatri.

I temi della campagna
I socialdemocratici sono stati al potere per la maggior parte degli ultimi 100 anni, e senza interruzioni il primo partito per numero di voti. Coerentemente, la forza politica del «padre» della socialdemocrazia moderna, Olof Palme, ha concentrato la campagna sull’aumento del Welfare e, meno coerentemente, ha tentato di compiacere l’elettorato di centro con la promessa di una restrizione alle politiche storicamente liberali in materia di asilo. Come Jimmie Åkesson voglia cambiare il Paese è invece meno definito: se si eccettua la volontà di una Swexit, tutta la divisiva campagna elettorale (e il programma di governo) ruota attorno alle politiche anti migranti «per una Svezia agli svedesi». Il risultato è ancora una volta lo stato sociale, in questo caso destinato solo agli svedesi. Ma il suo sogno gialloblu potrebbe dover aspettare: tutti i principali partiti si sono rifiutati di pensare ad alleanze di governo con i Democratici svedesi, per le sue radici nei movimenti neonazisti. Ciò significa che il giorno delle elezioni potrebbe essere solo l’inizio di un periodo di grande instabilità politica, con un governo di minoranza debole e lo spettro di elezioni anticipate, in un momento in cui gli analisti prevedono una probabile flessione dell’economia durante il prossimo mandato.

Il nodo Swexit
L’allarme lo lancia l’ex premier (Moderati), Carl Bildt, sullo «Svenska Dagbladet»: «Mi spiace vedere che il nodo più importante di queste elezioni non sia stato preso sufficientemente sul serio: la proposta più pericolosa dei Democratici svedesi è il referendum per chiedere l’uscita della Svezia dalla Ue. E di questo che dovremmo tutti essere molto, molto preoccupati».

LA REPUBBLICA - Andrea Tarquini: " 'La Svezia è in mano ai migranti' così la paura fa volare i sovranisti"

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Andrea Tarquini

La Svezia, paese guida del Nord, modello di welfare, solidarietà, pace sociale e competitività economica al top si avvia alle politiche del 9 settembre in un clima di tensione sociale, dopo una campagna elettorale dominata dai temi della sicurezza. Gli SverigeDemokraterna, i sovranisti antimigranti ed euroscettici locali, hanno il vento in poppa. Dai poster ovunque il loro 39enne leader Jimmie Akesson, la sua compagna Louise Erixon e i loro altri capi ti invitano sorridenti, tutti rigorosamente giovani e vestiti casual, a sceglierli per cambiare, fermare la «marea musulmana» e il crimine. In periferia come nei quartieri centrali di Stoccolma, ragazze e donne per la prima volta hanno paura di far jogging da sole nei parchi. I furti in appartamento, spesso di giorno, da fatto ignoto sono divenuti frequenti. A Malmö, terza città del paese, ogni notte gang straniere di narcotrafficanti si danno battaglia con kalashnikov e bombe a mano, troppo pochi e male armati sono i poliziotti per fermarli. Uno spettro s’aggira per la Svezia, lo spettro del vento ungherese e della nuova Italia, evoca una morte annunciata per il "Modell Sverige", il modello svedese. Li incontri dappertutto, gli attivisti volontari degli SverigeDemokraterna (SD) che nei sondaggi oscillano tra il ruolo di terzo e primo partito. «Abilissimi, sui social media hanno già vinto, hanno da soli tanta audience quanta tutti gli altri partiti insieme», spiega il professor Magnus Ranstorp, alto consigliere della Säpo, la polizia segreta. «Cavalcano ogni paura della gente, dai migranti agli stupri, dal crimine, ai tagli, alle zone autoghettizzate». Come fa in Svezia ogni partito in campagna elettorale, erigono chioschi in piazza e discutono con la gente. Eccoci a Odenplan. Karin, volontaria Sd col figlio accanto, narra cosa si sente dire. «Non tremano solo le donne, anche i ragazzi sono bersagli di bande di picchiatori. Rubano, spacciano droga, loro sono 160mila e noi svedesi 10 milioni, ma loro compiono 60 stupri su cento. Non ci sentiamo più a casa». I socialdemocratici dell’incolore premier Stefan Löfvén, da 101 anni primo partito svedese, rischiano grosso. Lo hanno capito tardi. «La gente teme migranti e crescenti disuguaglianze sociali, noi abbiamo taciuto», afferma Göran Persson, ex capo di governo che fu il Tony Blair del Nord. «Dovevamo lavorare meglio su immigrazione e integrazione», nota la ministra delle Pari opportunità Lena Hallengren, «gli Sd tra espulsioni e misure contro l’eguaglianza di genere ci porterebbero indietro di 60 anni. Lottiamo per l’Europa». Difficile, senza leader carismatici. «Finché governo rossoverde e conservatori e moderati che gli danno appoggio esterno sapranno solo isolare gli Sd, li rafforzeranno. Temo persino nuove elezioni e governi deboli, ci scopriamo non più diversi dagli altri europei», nota Ranstorp. E cita dossier della Säpo: «Il rischio islamista, specie i salafisti, è reale». Percorrendo Stoccolma in Tunnelbana da un capo all’altro, ecco nel quartiere borghese di Liljeholmen, un altro chiosco sovranista. Un anziano militante spiega a una classe di liceali etnicamente mista: «Tranquilli, non vogliamo espellere chi di voi non è bianco, solo i nuovi arrivati divenuti criminali». Atmosfera paradossale: un paese del boom — piú crescita e meno debiti che in Germania, ricchezza fatta da export di eccellenze — in preda alla paura. Lo dice il signor Inge, responsabile di quartiere del partito Sd che tiene il chiosco a Medborgarplatsen, cuore di quella Sodermalm che è la zona di tendenza della vita giovanile e dell’industria musicale. Anche qui, nella Stoccolma più alternativa, SD è presente. «Troppi giudici liberano subito i migranti arrestati in flagrante, la polizia è demotivata. Svaligiano case di giorno quando la gente è al lavoro. Chi va in ferie vicino a campi-raccolta o quartieri-ghetto è invitato dagli agenti a coprire le targhe, altrimenti con una ricerca online può venire scoperto l’indirizzo dove andare a rubare. Gli immigrati poi costano tanto da mettere in crisi welfare scuola e sanità». L’ex patria del consenso è spaccata dall’immigrazione. Viségrad, Salvini, Marine Le Pen sperano in "Jimmie" come nuovo forte alleato, L’Europa (per chiunque tifi) attende il 9 settembre col fiato sospeso, la Svezia felix è ricordo di ieri.

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