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Un’altra occupazione “Un romanziere puro, ma con un’apertura al mondo che hanno solo i grandi giornalisti”. Con queste parole il critico letterario James Douglas Graham Wood, si è espresso sul New Yorker a proposito di Joshua Cohen, una delle voci più promettenti della letteratura americana contemporanea. Apprezzato dalla critica internazionale per i suoi saggi pubblicati fra gli altri sul “New York Times”, “Haper’s Magazine”, The Jewish Daily Forward”, per il romanzo “Book of Numbers oltre che per le storie brevi “Four New Messages”, Cohen esordisce nel mercato editoriale italiano grazie alla casa editrice Codice che propone nella brillante traduzione di Claudia Durastanti il suo secondo romanzo “Un’altra occupazione” apparso in America nel 2017 col titolo “Moving Kings”. Traduttore dall’ebraico e dal tedesco Cohen, che in un’intervista ha riflettuto sull’importanza della sua esperienza di traduttore, è convinto che “Per scrivere bisogna essere un camaleonte: cambiare la propria pelle, nascondersi e sapere dove farlo”. Il romanzo che prende avvio con la figura di David King, di origini ebraiche e titolare di un’impresa di traslochi a New York, è in realtà la storia di una famiglia che nel corso del XX secolo si divide in due rami: uno si trasferisce negli Stati Uniti e l’altro in Israele. E’ proprio da Israele che giungono al termine del servizio militare Yoav, figlio di una cugina di David, e Uri un compagno di leva per trascorrere un anno sabbatico in America lavorando per la ditta di traslochi King. Se Yoav e Uri, come molti giovani israeliani desiderano allontanarsi per un po’ di tempo da Israele e dimenticare le esperienze vissute, David che non disdegna mai manodopera a basso costo accoglie di buon grado i due ragazzi nella sua ditta. A Yaov, il primo ad arrivare, David, un uomo dai modi tutt’altro che pacati, fumatore incallito e saltuariamente dedito alle droghe, non nasconde le inevitabili difficoltà di adattamento nel nuovo paese perché …”L’America non è il paese delle opportunità, soprattutto per chi è ebreo. Qui in America, un vero ebreo come te dovrà rispondere a una sfida che appartiene soltanto a lui”. In effetti il lavoro da traslocatori è duro non solo per la fatica fisica di trasportare mobili da un alloggio all’altro ma anche perché nel giro di poco tempo David li introduce a un lato più oscuro del suo lavoro di traslocatore: lo sfratto delle persone che non hanno pagato l’affitto oppure non riescono a far fronte al mutuo. Frequentando i quartieri più miseri della città Yoav e Uri vedono ripetere gesti e azioni molto simili a quelli che facevano durante il periodo di leva e che li riportano inevitabilmente agli anni dell’esercito quando irrompevano nelle case dei palestinesi o impedivano alle persone sospette di transitare. Numerosi flashback catapultano il lettore sul campo di battaglia per ripercorrere attraverso il filo dei ricordi di Yoav e Uri i momenti in cui hanno rischiato la vita: “…Lo Zelda, il cingolato blindato, era sotto i colpi di arma da fuoco. Erano finiti in trappola mentre andavano a dare supporto ai paracadutisti, lungo il tragitto malandato tra Jabalia e Shujaiyeh…Le granate fioccavano ovunque, lo Zelda era brandelli in fiamme. Uri aveva tirato Yoav fuori di peso attraverso il portello, non sarebbe uscito da solo. Il riparo era un misero ingresso e a un certo punto Uri si era messo a colpire la porta con forza per mandarla giù e lo aveva trasportato dentro, il che avrebbe potuto far detonare un ordigno esplosivo improvvisato….” Tuttavia col tempo, attraverso le difficili esperienze del lavoro di traslocatori, i giovani israeliani cominciano a comprendere meglio se stessi e a sentirsi più autonomi dalla famiglia e dal paese di origine per pensare in maniera diversa e più adulta al loro futuro. Un’occasione di crescita e di emancipazione dalla famiglia oltre che un dovere civile imprescindibile, il servizio militare in Israele è anche un’esperienza impossibile da cancellare e ogni giovane reagisce a modo suo: Yoav non vuole essere l’ebreo da compatire o l’israeliano da condannare mentre Uri che vuole gettarsi tutto alle spalle si sente rispondere da un rabbino cui aveva chiesto consiglio: “ …non puoi smettere di essere soldato, proprio come non puoi smettere di essere ebreo. Sono entrambe condizioni permanenti per la vita…Sei nato soldato perché sei nato ebreo”. Oltre a porre l’accento sull’identità di una persona e su quanto influiscano gli eventi esterni nella formazione psicologica di un individuo, Cohen si sofferma ad analizzare senza ipocrisie la crisi economica che ha attraversato l’America nel 2008, con le sue storie di corruzione, miseria e precarietà che hanno accomunato le vite di molti americani. “Un’altra occupazione” è anche una storia di migrazione: quella del popolo ebraico che Cohen sceglie di esprimere attraverso i personaggi del libro, costantemente in movimento da un luogo all’altro oltre che per il mestiere che fanno, e quella diretta in America, da sempre terra di accoglienza. La guerra di Gaza del 2014, la crisi americana del 2008, il rapporto fra ebrei askenaziti ed ebrei sefarditi, il mondo del lavoro e degli affari sono alcuni dei temi che l’autore affronta in un romanzo coinvolgente e dall’impronta corale in cui intreccia molte vicende, raccontando in dettaglio eventi, luoghi e fatti di cronaca anche dei personaggi secondari. Un appunto che si può fare a questo libro è di aver taciuto l’aspetto del terrorismo palestinese che induce i soldati israeliani a comportamenti a volte duri e inspiegabili, ma necessari quando si tratta di salvaguardare la vita di civili innocenti. Con uno stile essenziale, a tratti frammentario e striato di nonsense, Cohen ci restituisce un perfetto mosaico narrativo da leggere con attenzione per cogliere gli innumerevoli spunti di riflessione che offre.
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