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La Stampa Rassegna Stampa
03.09.2018 Libia: i terroristi assediano Tripoli, Italia e Usa pronti a intervenire
Servizi di Giordano Stabile, Francesco Semprini, Grazia Longo

Testata: La Stampa
Data: 03 settembre 2018
Pagina: 2
Autore: Giordano Stabile - Francesco Semprini - Grazia Longo
Titolo: «Sarraj sotto assedio. I ribelli puntano al centro di Tripoli - 'Gli Usa con il governo di unità per portare stabilità nel Paese' - L’Italia non sta a guardare. Pronta una task force per difendere il premier»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/09/2018, a pag.2-3 con i titoli "Sarraj sotto assedio. I ribelli puntano al centro di Tripoli", 'Gli Usa con il governo di unità per portare stabilità nel Paese', "L’Italia non sta a guardare. Pronta una task force per difendere il premier",  i servizi di Giordano Stabile, Francesco Semprini, Grazia Longo.

Ecco gli articoli:

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Fayez al Sarraj

Giordano Stabile: "Sarraj sotto assedio. I ribelli puntano al centro di Tripoli"

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Giordano Stabile

Il premier libico Fayez al Sarraj è sotto assedio a Tripoli, dopo una settimana di scontri che hanno portato le milizie ribelli sempre più vicine ai centri del potere. Ieri sera il consiglio presidenziale libico, guidato dallo stesso al Sarraj, ha proclamato lo stato di emergenza. Il governo non controlla la parte meridionale della città, l’aeroporto è chiuso perché a portata dei razzi degli insorti, e non è più scontata la fedeltà dei combattenti di Misurata, un alleato strategico del governo di «accordo nazionale» che doveva condurre alla pacificazione del Paese. L’ex ingegnere, il volto moderato della Libia post-Gheddafi, può contare ancora sull’appoggio dell’Italia, mentre gli altri alleati occidentali sono più defilati e la Francia, nei fatti, ostile. Roma ha confermato che la sua ambasciata resta aperta, nonostante il colpo di mortaio, o razzo, che ieri ha colpito l’hotel dove alloggia parte del personale.

La Settima Brigata
Sabato Stati Uniti ed Europa avevano chiesto alle milizie di moderarsi ma ieri Abdel Rahim Al-Kani, comandante della cosiddetta Settima Brigata, una formazione con base nella cittadina di Tarhouna, 60 chilometri a Sud di Tripoli, ha annunciato l’assalto decisivo. Al-Kani ha dichiarato che «continuerà a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata». Le sue forze, ha precisato, «sono posizionate lungo la strada per l’aeroporto» e si apprestano ad attaccare il quartiere di Abu Selim, la porta di accesso al centro storico. Se prende Abu Salim il comandante ribelle potrebbe piombare sulla zona dei ministeri, fino alla base navale di Bu Sitta, l’estremo fortino del governo.

I soldi degli aiuti
Al-Kani ha già minacciato di «ripulire» la città dalle milizie rivali, accusate di essere «l’Isis dei soldi pubblici», perché si accaparrano la maggior parte dei fondi pubblici che derivano dagli introiti petroliferi, ma anche i finanziamenti che arrivano dall’Unione europea. Il capo della Shura degli anziani, Mohamed al-Mubshir, una figura rispettata, ha lanciato il tentativo di mediazione per arrivare a un cessate il fuoco. A disinnescare la battaglia lavora soprattutto però la diplomazia italiana. La nostra ambasciata ha comunicato, su Twitter, che resterà aperta: «Continuiamo a sostenere l’amata popolazione di Tripoli in questo difficile momento», anche se i rischi sono sempre più alti perché l’ambasciatore Giuseppe Perrone è inviso al grande avversario di Al Sarraj, il generale Khalifa Haftar.

La strategia di Haftar
Haftar sta corteggiando il comandante di Tarhouna da mesi, così come i capi di una altra potente tribù, i Warfalla. La rivolta si sta trasformando in un confronto fra milizie pro o contro Al Sarraj. Tutti inviano rinforzi dalle aree limitrofe alla capitale. Al Sarraj può contare su pochi alleati certi: le Brigate rivoluzionarie di Tripoli, guidate dal signore della guerra Haithem al-Tajouri, la «Rada» di Abdul Rauf Kara, boss dell’aeroporto Mitiga, la Brigata Abu Selim agli ordini del controverso Abdul Ghani al-Kikli, e la Brigata Nawassi. Più defilata è la Brigata 301 di Misurata, un alleato strategico. Sabato il premier ha inviato proprio a Misurata il generale Mohammed Al-Haddad, capo delle forze armate governative a Tripoli, per chiedere ai leader locali di inviare rinforzi. Il generale avrebbe avuto uno scontro con quelli restii a impegnarsi. Nella serata di sabato la sua macchina è stata ritrovata vuota alla periferia della città. Nessuno ha rivendicato il sequestro: forse è stato ucciso. Un altro brutto segnale.

Francesco Semprini: 'Gli Usa con il governo di unità per portare stabilità nel Paese'

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Francesco Semprini

«Le attività militari americane in Libia hanno l’obiettivo di fornire le condizioni di sicurezza necessarie per promuovere il processo di riconciliazione e stabilizzazione del Paese, in coordinamento con il governo di accordo nazionale». A parlare è il maggiore Karl J. Wiest, ufficiale dell’Areonautica militare degli Stati Uniti e portavoce di Africom, il comando americano che opera in Africa e che dal 2016 conduce operazioni mirate nel Paese maghrebino.

Karl J. Wiest

Quale contributo forniscono i militari americani in Libia?
«Lo Us Africa Command, con le sue attività sul campo, sostiene gli sforzi diplomatici americani portati avanti dallo Us Libya External Office e volti a promuovere il processo di riconciliazione del Paese. Il tutto nell’ambito del cammino di stabilizzazione portato avanti dalle Nazioni Unite».
Può spiegare nel dettaglio a quali attività si riferisce?
«Sono quattro i nostri principali obiettivi in Libia. Neutralizzare i gruppi terroristici che costituiscono una minaccia agli interessi americani o che puntano a destabilizzare la Libia e la regione. Impedire lo scoppio di una guerra civile. Sostenere il processo di riconciliazione in favore di un governo unitario centrale. Fornire assistenza per fermare i flussi di migranti illegali in transito dalla Libia e diretti verso l’Europa».
Al momento esiste una precisa minaccia terroristica in Libia?
«Dopo la cacciata dello Stato islamico da Sirte, le cellule Isis libiche si sono raggruppate in ordine sparso e senza un reale coordinamento. Non sembrano pertanto in grado di compiere attentati su vasta scala, piuttosto azioni contenute e circoscritte. Al contempo però Al Qaeda nel Maghreb [Aqim], pur cercando di mantenere un profilo basso, continua a utilizzare canali e risorse illeciti per movimentare jihadisti e armi. Al contempo cerca di trovare seguito ed esercitare influenza tra i diversi gruppi estremisti della Libia. Africom conferma i suoi sforzi nel perseguire tali formazioni, sempre in coordinamento con i partner libici».
Come?
«Solo nel 2018 abbiamo condotto, in coordinamento con il governo di accordo nazionale [Gna], quattro raid aerei chirurgici contro cellule terroristiche in Libia. Due con l’obiettivo di neutralizzare postazioni dell’Isis e due su covi di Aqim. Uno di questi raid, quello del 24 marzo scorso, ha portato all’uccisione di due leader qaedisti tra cui Musa Abu Dawud, [esponete di spicco della vecchia guardia dell’organizzazione]. Dawud era colui che addestrava i miliziani jihadisti a compiere attentati in tutta la regione. Garantiva supporto logistico, finanziamenti e armi ad Aqim consentendo al gruppo di compiere attacchi su obiettivi americani e occidentali in Libia e nel resto della regione».
Africom conduce anche altre attività sul campo?
«In coordinamento con il Gna, le forze americane conducono operazioni antiterrorismo per indebolire la capacità delle organizzazioni terroristiche a reclutare, addestrare e organizzare attentati. Da regolamento, non ci è consentito fornire numeri sul personale militare americano che opera all’interno della Libia per ovvi motivi di sicurezza operativi. Posso però dire che abbiamo una presenza limitata e sparsa sul terreno. Un piccolo gruppo di forze Usa si muovono fuori e dentro il territorio per scambiare informazioni con le forze locali».
Con quale obiettivo?
«Ribadiamo che, in ultima istanza, l’obiettivo è sempre quello di continuare a lavorare con i nostri partner e sostenere la comunità internazionale a consolidare un approccio ampio e onnicomprensivo al raggiungimento della stabilità e di un accordo politico in Libia».

Grazia Longo: "L’Italia non sta a guardare. Pronta una task force per difendere il premier"

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Grazia Longo

Una task force italiana in difesa di Fayez al Sarraj, sempre più accerchiato dalle milizie rivali a sostegno di Khalifa Haftar, grazie alla collaborazione tra il ministero della Difesa, quello degli Esteri e l’Aise, l’agenzia dei servizi segreti esteri. Al momento i nostri soldati dei gruppi speciali non sono schierati in Libia e l’attività principale per monitorare il pericolo di un rovesciamento del governo di unità nazionale di Al Sarraj, sostenuto dall’Onu, viene svolta dalla nostra intelligence.
Ma, considerato l’allarme crescente, si sta valutando l’opportunità di un intervento da parte dei corpi speciali. È ancora prematuro stabilire se questi verranno coinvolti in una missione sul territorio libico, ma il tema sarà posto anche all’attenzione del Cofs, il Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali.
E intanto, oggi pomeriggio, a Palazzo Chigi è previsto un summit per fare il punto della situazione. Parteciperanno il presidente del consiglio Giuseppe Conte, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, il titolare della Farnesina Enzo Moavero Milanesi e il numero uno dell’Aise Alberto Manenti (in via di sostituzione). I corpi speciali che potrebbero essere coinvolti in un’operazione in Libia sono il Gruppo di intervento speciale dei carabinieri, il 9° Reggimento d’assalto paracadutisti «Col Moschin», il Gruppo operativo incursori del comsubin e il 17° Stormo incursori dell’Aeronautica militare.
Al momento tuttavia, ribadiscono fonti della Difesa e degli Esteri, non è stato ancora stabilito un dispiegamento delle nostre forze militari d’élite e il dossier Libia resta sostanzialmente in mano all’intelligence. Non è neppure escluso, del resto, un nostro impegno sul fronte libico dal punto di vista sociale e sanitario. Nel frattempo la linea di Roma è orientata verso l’intesa con le altre forze internazionali che hanno condannato gli attentati a Tripoli. Il nostro governo, insieme a Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, sabato scorso, ha diffuso un comunicato congiunto in cui viene «condannata fermamente la continua escalation di violenza a Tripoli e nei suoi dintorni, che ha causato molte vittime e che continua a mettere in pericolo la vita di civili innocenti».
La cooperazione tra le forze internazionali è tuttavia uno spaccato più complesso di quanto possa apparire. Un conto, infatti, sono le dichiarazioni ufficiali, un altro la trama politico-economica che viene tessuta sullo sfondo. Non a caso i nostri 007, in sinergia con il ministero della Difesa, sono impegnati anche a scandagliare le reali intenzioni della Francia. Si cerca cioè di capire quali siano gli effettivi interessi del governo Macron. «È in atto un tentativo di decontestualizzare gli attentati dal ruolo di Haftar - spiegano dalla Difesa - mentre è sempre più evidente che le milizie ribelli lo sostengono a piene mani».
Gli scontri a Tripoli e il tentativo di destabilizzare il governo di unità nazionale continuano a restare prioritari nell’agenda del nostro esecutivo. La nostra leadership nella questione libica è stata peraltro riconosciuta anche dal presidente degli Usa Donald Trump, durante la visita americana del premier Giuseppe Conte. E a sostenere l’ipotesi di uno schieramento militare c’è l’allarme Isis: con la caduta di Al Sarraj e l’assenza di una stabilità politica, la Libia potrebbe diventare il fulcro del terrorismo islamico, alimentato anche dai trafficanti di esseri umani.

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