IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Dal 26 agosto al 1° settembre 2018
Un antisemita tutt'altro che inconscio
Jeremy Corbyn: 'Sto facendo qualcosa!'
Lo sguardo corrucciato, una canizie che lo intristisce più di quanto non debba, una falsa magrezza che lascia immaginare che il corpo gli sia di ingombro, accessorio inevitabile e insieme superfluo. Jeremy Corbyn, vissuto da molti come nuovo donatore di sangue ad una sinistra esangue, non è che l’ennesimo portabandiera di un’ideologia dai buoni propositi e dai pessimi esiti, ormai sfinita e tuttavia aggrappata a miti che, invece d’essere rinnegati, vengono di volta in volta recuperati, goffa nelle menzogne e ancora più incauta nel proclamare deliranti Weltanschauung. Se fino a qualche anno fa il comunismo era, secondo una precisa definizione di una liberal come Susan Sontag, “il fascismo che ha avuto successo”, ora nemmeno più quello.
E’ rimasto lo smarrimento accompagnato da una nostalgia limacciosa e pugni levati contro il cielo impietoso per pacifisti bellicosi, malati di cecità intermittente che consente loro di ripararsi al caldo di certezze dove vi sono i buoni e i cattivi, i padroni e gli schiavi e tutt’attorno il nebbioso complotto di poteri altrettanto misteriosi. I gesti, le pose, la silhouette di Corbyn lasciano l’impronta di un orrore ribadito da falsi miti e da insolenti bugie, una nonchalance sicura, altezzosa, certa che passerà indenne attraverso la Storia e le storie. E’ una lenta tragedia di generazioni che si passano il testimone. Alcuni si svegliano in età matura, altri restano catturati in un sogno di morte, e si nutrono solo dei fantasmi di quel vaneggiamento. Pochi o nessuno riesce a dare senso a quel che ha visto o meglio ancora, a quel che ha immaginato: un mondo perfetto e crudele più di quanto non sia quello che abitiamo, caos pianificato di un gulag dove le idee vengono guardate a vista e se indisciplinate, passate per le armi. Quel che poteva e dove essere una vasta officina dove elaborare principi sacri – libertà, fraternità, uguaglianza, rispetto, riconoscimento dell’altro, diritto ad esprimersi e a essere felici – è da tempo un calderone che produce, nella migliore delle ipotesi, una pozione ipnotica e, nella peggiore, una sostanza tossica di cui l’antisemitismo costituisce un elemento essenziale. La foto che più rappresenta Corbyn – e insieme lo condanna – lo ritrae nel gesto di deporre una serto di fiori sulle tombe dei massacratori di Monaco del 1972 che costò la vita di undici atleti israeliani. Eccolo lì, avvolto nella sua cupezza e circondato da altrettanto lugubri compagni di strada. Ed ecco qui noi a guardarlo senza riuscire a immaginarlo neppure sfiorato da un brivido o da una ripulsa o, chessò, da un dubbio mentre se ne sta a favore della camera, ritto, le mani a reggere la corona infiorata con fare luttuosamente compiaciuto. Lungo tutta l’estate il Partito Laburista inglese è stato scosso da controversie e da liti dopo che il vertice voleva espungere dal codice di condotta sull’antisemitismo ogni riferimento all’odio contro Israele per altro accusato di “praticare una politica razzista”. Qualcuno s’era infuriato e tra costoro Margaret Hodge, settantatrenne parlamentare laburista e nata al Cairo da rifugiati ebrei tedeschi.
Jeremy Corbyn
Dal suo scranno nell’augusta House of Commons, Hodge ha usato toni incandescenti contro il capo del suo partito che ha detto, scandendo bene le parole, “ha scelto di trasformare il Labour in uno spazio ostile nei confronti degli ebrei” accusandolo di essere responsabile della consacrazione dell’antisemitismo. Quando è iniziato tutto questo? Come è potuto sopravvivere? Il j’accuse di Hodge, fiera figlia di immigrati scampati alla Shoah, ha detto proprio questo: compagno Corbyn, tu consacri l’antisemitismo. Cioè lo nobiliti, lo diffondi, lo rendi digeribile e avveleni il mondo. Gli è che Corbyn era tutt’altro che nuovo a queste sortite. Già nel 2010, ad esempio, durante un comizio davanti al 2 di Palace Gleen ai bordi del Parco di Kensington, sede londinese dell’ambasciata israeliana, aveva eccitato la piccola e isterica folla di accoliti di accoliti: “Sono stato a Gaza tre mesi fa. Ho visto il danno psicologico di un’intera generazione, tenuta prigioniera tanto a lungo quanto durò l’assedio di Leningrado e di Stalingrado”. Sei mesi dopo, alla Camera dei Comuni, lo stesso personaggio che aveva osato equiparare lo Stato Ebraico al potere nazista aveva graziosamente ospitato un evento per il Giorno della Memoria dell’Olocausto. Ora che la fogna è saltata e il liquame ha sommerso la sinistra albionica, sono arrivate le immancabili e rituali scuse per “il dolore provocato” alla comunità ebraica e bla e bla e bla. Poi un giornale pubblica la foto nel cimitero tunisino e l’omaggio ai boia di Monaco. Un giornalista s’è preso la briga di controllare di persona dove e di chi fossero le tombe. Nessun dubbio: Corbyn si era inginocchiato davanti ai resti di quelle canaglie. La reazione difensiva dell’apostolo della nuova sinistra si è nutrita di goffi tentativi per mascherare la propria presenza all’interno del recinto funebre. Vengono fuori questioni affidate alle misurazioni incerte e alla memoria annebbiata: no, eravamo a pochi passi ma non lì davanti; macché, ho reso onore ai caduti in guerra; no che non sapevo chi fossero coloro che mi avevano accompagnato.
Nemmeno la più franca anche se sempre ributtante impudenza di coloro che vanno a Predappio. Ho cercato, per pura curiosità e impura malizia, se e come un giornale come il nostrano Manifesto ne avesse dato conto. Può essere che mi sbagli, che abbia condotto una ricerca affrettata e dunque monca eppure non ho trovato una sola riga né sulle esternazioni corbyniane che paragonavano Israele al Terzo Reich né sull’omaggio floreale ai carnefici palestinesi. Niente. Ho invece letto una tutt’altro che soffocata laude a un leader che cercherebbe “di ricostruire il Labour su basi neo-socialiste”. Insomma, siamo ancora a quel sole dell’avvenire che, forse perché fissato troppo a lungo, ha accecato i suoi cultori. Tutto questo per dire che sarebbe forse ora di smetterla di parlare di antisemitismo inconscio o inconsapevole o d’altre castronerie del genere. La sinistra, e non solo quella d’Oltremanica, ha un problema vasto e indomato. Ricordo che anni addietro Fausto Bertinotti dovette ammettere che – cito a memoria - “tra di noi l’antisionismo ha sfondato il muro dell’antisemitismo” senza però che quella dichiarazione abbia poi avuto alcun esito o acceso un qualche dibattito o riflessione ponderata e duratura. Decenni di menzogne, diffamazioni, odio incandescente continuano a saziare un sentimento tutt’altro che inconsapevole. Una vergogna di cui proprio non riescono a vergognarsi.
Daniele Scalise