Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/09/2018, a pag.12 due servizi su Idlib assediata, la cronaca di Giordano Stabile e il commento del direttore Maurizio Molinari.
Idlib
Giordano Stabile: " Idlib assediata spera nell’aiuto di Erdogan"
Giordano Stabile
«Ya, Turkia. Forza Turchia, sei la nazione dei credenti, salvaci tu». I cartelli sollevati ieri dai manifestanti nelle piazze di Idlib erano soprattutto un appello a Recep Tayyp Erdogan, il presidente turco che aspira alla leadership del mondo musulmano. «Salvaci tu», perché tra l’armata siriana, con le sue milizie ausiliarie sciite, e i tre milioni di sunniti ammassati nella provincia settentrionale della Siria c’è soltanto una sottile linea di trincee e qualche migliaio di combattenti sempre più demoralizzati. L’offensiva rischia di dilagare come una marea inarrestabile e la gente di Idlib è scesa nella strade, in maniera più o meno spontanea, per denunciare le atrocità passate e future del regime, Assad, l’Iran ed Hezbollah. Ma soprattutto per chiedere aiuto alla Turchia, lo Stato che più ha appoggiato la rivolta nei primi anni della guerra civile, e che ora si barcamena fra l’appoggio a ribelli «moderati» e la nuova alleanza con la Russia, e con lo stesso Iran. Anche con il massimo del realismo e del cinismo politico Erdogan non può lasciare che Idlib venga espugnata senza fare nulla. Ne va del suo consenso interno e infatti giovedì, in un comizio ad Ankara, ha rivelato che «stiamo lavorando assieme a russi e iraniani per impedire che si ripeta a Idlib la catastrofe accaduta ad Aleppo, siamo anche in contatto con gli americani». Una mediazione che è diventata frenetica ieri, dopo la visita a sorpresa di giovedì ad Ankara del ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif, con i funzionari turchi che hanno incontrato colleghi russi, iraniani e delegazioni di tutti i ribelli, compresi quelli di Hayat al-Tahrir al-Sham, l’ex Al Qaeda siriana che controlla il capoluogo e gran parte della provincia contesa. Ankara vorrebbe che il gruppo jihadista «si sciogliesse» e disperdesse ma resta il nodo della leadership e dei combattenti stranieri. Uccisi in battaglia o giustiziati Mohammed al-Joulani, il capo degli islamisti, è un ex comandante di Al Qaeda in Iraq, rispedito in Siria da AlBaghdadi nel 2013 per trasformare la rivoluzione sunnita in una jihad. Non vuole arrendersi. Ai suoi ordini, oltre agli oltranzisti di tutta la Siria, ci sono migliaia di combattenti stranieri, uzbeki, caucasici, uiguri, che hanno l’alternativa fra morire in battaglia o essere eliminati dopo essersi arresi. Molti si sono già spostati lungo la linea del fronte a Sud, nella zona di Jizr al-Shughour, dove si pensa arriverà la prima spallata dei governativi. Ieri i ribelli jihadisti hanno fatto saltare i ponti in due piccole località poco più a Sud, per ostacolare i possibili spostamenti delle truppe di Bashar al-Assad. Sono i primi assaggi della grande battaglia. Erdogan però ci vuole almeno provare, prendere tempo, fino al vertice di Teheran del 7 settembre che chiarirà molte cose, soprattutto i reali rapporti di forza fra Russia, Turchia e Iran. Diciassette navi e sommergibili russi, appoggiati da 30 aerei, compresi bombardieri strategici Tu-160 cominceranno questa mattina all’alba una esercitazione di una settimana davanti alle coste siriane. Teheran continua a spostare missili verso l’Iraq e la Siria. Ankara risponde con colonne di blindati che si dirigono verso le sue zone di influenza nella provincia di Idlib. Muscoli mostrati agli avversari occidentali ma anche agli «amici»
Maurizio Molinari: " Siria, il brutale doppio volto della battaglia di Idlib"
Maurizio Molinari
La battaglia di Idlib ha due aspetti che si sovrappongono. Da un lato c’è l’assalto dei reparti del regime di Bashar Assad, sostenuti da unità speciali ed aviazione russa, all’ultima roccaforte jihadista dove si trovano almeno 10 mila miliziani di Al Qaeda, Isis ed altri gruppi sanguinari. Dall’altro c’è il disegno dello stesso regime di Assad, sostenuto da Hezbollah e altre milizie sciite filoiraniane, di sottomettere il cuore della rivolta popolare sunnita ovvero una provincia dove si concentrano secondo l’Onu circa tre milioni di persone. Nel primo caso è una campagna militare anti-jihadista, nel secondo rischia di essere una mega operazione di pulizia etnica da parte di sciiti ed alawiti - l’entità a cui appartengono gli Assad - contro i sunniti. Con la conseguente minaccia di una catastrofe umanitaria nel Mediterraneo. Questo spiega perché ciò che sta maturando a Idlib riassume le contraddizioni della guerra civile siriana: a combattere i jihadisti è un regime sanguinario che punta a sottomettere brutalmente i sunniti, ovvero la maggioranza della popolazione, per aiutare l’Iran degli ayatollah ad estendere la sua influenza sul Medio Oriente. È il doppio volto di un conflitto brutale che ha già trasformato la Siria in un deserto di macerie.
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