Riprendiamo dalla STAMPA di oggi,30/08/2018, a pag,14, due servizi di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Siria,la battaglia di Idlib è cominciata, navi di Mosca per difendere Assad
La battaglia di Idlib è cominciata. I rapporti che arrivano all’Intelligence occidentale segnalano già i primi scontri, l’antipasto di quella che sarà la più grande campagna di tutta la guerra civile siriana. Le forze in campo sono enormi, senza precedenti neanche ad Aleppo e nella Ghouta orientale. I governativi hanno schierato fra i 100 e i 150 mila uomini, una volta e mezza il contingente che ad aprile spazzò via i ribelli alla periferia di Damasco. Come allora le milizie sciite tengono un profilo basso, ma reparti d’élite di Hezbollah e consiglieri militari iraniani sono presenti lungo tutto il fronte. Sull’altro lato gli insorti possono contare su almeno 60 mila uomini, divisi però come non mai. Da una parte c’è il gruppo jihadista Hayat alTahir al-Sham (Hts), con legami, anche se negati, con Al-Qaeda. Dall’altra una miriade di formazioni raccolte sotto la bandiera di Jaysh al-Khor, l’Esercito libero siriano, che ormai risponde in tutto e per tutto alla Turchia. Le operazioni hanno subito una accelerazione. L’attacco era previsto a metà settembre. I siriani sono ancora impegnati nella caccia ai combattenti dell’Isis nel deserto sud-orientale, hanno appena concluso la campagna a Daraa e Quneitra. Ma le immagini di colonne di mezzi lunghe decine di chilometri hanno fatto capire che Bashar al-Assad e la Russia hanno fretta. Vladimir Putin non ha aspettato il vertice del 7 settembre, quando vedrà a Teheran il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’iraniano Hassan Rohani. Ha schierato «la più grande flotta russa mai vista» sulla costa siriana, per proteggere le truppe di terra da eventuali raid missilistici occidentali in caso di attacchi chimici. E ha spostato a ridosso del fronte moderni sistemi anti-aerei Tor. Il timore chimico Con una barriera di navi e batterie anti-aeree, Mosca valuta di poter contenere una eventuale reazione di Usa, Francia e Gran Bretagna. Il ministero della Difesa russo ha messo le mani avanti e accusato i ribelli di preparare «una messinscena» per fingere un attacco chimico e indurre Washington e Parigi a reagire. Ma la preoccupazione è che qualche ufficiale siriano finisca per ordinare bombardamenti con il cloro per stanare i ribelli dai loro bunker in mezzo alle case. Anche se i governativi hanno una potenza di fuoco schiacciante, espugnare Idlib non sarà facile. La città, mezzo milione di abitanti compresi gli sfollati, è la roccaforte del gruppo jihadista Hts e il capo Mohammed Joulani ha annunciato che combatterà «fino all’ultimo uomo». Se si sommano la provincia di Idlib e alcune frange di quelle di Aleppo e Hama ancora in mano agli insorti, oltre tre milioni di persone saranno coinvolte. Si rischia un disastro umanitario, combattimenti urbani senza riguardo per i civili, un massacro. Ma anche «una nuova ondata di profughi verso l’Ue, dove potrebbero infiltrarsi reduci dell’Isis», come ha puntualizzato un diplomatico europeo all’Onu. Per questo le capitali occidentali hanno messo in guardia Assad e Putin. Mosca e Damasco sono però convinte di poter andare avanti. Gli alleati dei ribelli sono tiepidi. La Turchia, nel marasma economico per le sanzioni americane, non può opporsi alla Russia. L’amministrazione americana è divisa. Secondo il portale Al-Monitor i contatti con Mosca sono continui e l’unica linea rossa è sull’uso di armi chimiche. L’incontro segreto Il quotidiano libanese Al-Akhbar, vicino a Hezbollah, sostiene che emissari americani hanno incontrato a Damasco a giugno il generale Ali Mamlouk, capo dei servizi siriani. Con due richieste in cambio del via libera alla riconquista di Idlib: ritiro delle forze iraniane dalla Siria; consegna del database sui terroristi di AlQaeda e Isis, tutti i nomi di quelli catturati, uccisi o fuggiti. Washington vuole proteggere i ribelli moderati e i volontari dei Caschi Bianchi, ma non può permettersi che Idlib si trasformi in una base jihadista. L’inviato speciale per la lotta all’Isis, Brett McGurk è stato netto: «Idlib è il più grande santuario di Al-Qaeda dopo l’Afghanistan». La Russia vede quindi una finestra di opportunità: «Liquidare tutti i terroristi» in una operazione rapida e brutale, senza offrire contropartite, cioè spingere l’Iran «fuori dalla Siria». —
Putin con Iran e Turchia, vertice della triplice alleanza
La “triplice alleanza” fra Russia, Turchia e Iran farà il suo debutto a Teheran, il 7 settembre, in una capitale iraniana scossa dalla crisi economica e politica, con il presidente Hassan Rohani in difficoltà e due ministri, compreso quello dell’Economia Masoud Karbasian, costretti a dimettersi dalla pressione degli oltranzisti in Parlamento. Ieri la Guida Suprema Ali Khamenei ha esortato il governo a «lavorare giorno e notte» per risollevare le condizioni economiche e ha paventato il ritiro dall’accordo sul nucleare, già denunciato dagli Stati Uniti, se non risponderà più «agli interessi nazionali». Il summit con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin era destinato a definire la futura «sistemazione» della Siria, in particolare nel Nord-Ovest, dove Ankara ha imposto un suo protettorato. Il trio discuterà certo i dettagli dell’offensiva nella provincia di Idlib. Ma i colloqui sono destinati ad allargarsi ai temi economici. Tutti e tre i Paesi soffrono per le sanzioni americani, hanno visto la loro moneta svalutarsi e l’inflazione crescere. L’Iran è quello più in difficoltà. L’inflazione ha superato il 10% e la disoccupazione è al 12,5%. L’export di petrolio è calato del 10% a giugno mentre ad agosto dovrebbe fermarsi a 2,1 milioni di barili al giorno, contro i 3,1 di aprile.
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