Riprendiamo da ITALIA OGGI del 25/08/2018, a pag.12, con il itolo "No al velo islamico alle bambine" il servizio di Roberto Giardina dal suo osservatorio berlinese.
Roberto Giardina
L' integrazione dei profughi islamici passa dal rispetto per le donne, e la difesa delle donne comincia da quando sono bambine. La conferenza stampa di Seyran Ates, l'unica imam di Berlino, giovedì si è svolta nella sede della Weiberwirtschaft, l'associazione dell'economia femminile, questa la traduzione letterale, sotto il rigido controllo di una dozzina di poliziotte.
L'ingresso era aperto solo a giornalisti regolarmente accreditati.
Misure di sicurezza eccezionali: la signora Ates, 55 anni, avvocato di origine curda, e cittadina tedesca, riceve continue minacce di morte da parte di fondamentalisti arabi.
Ha osato aprire la Ibn-Rushd Goethe Moschee, dove le donne vengono accolte e possono sedere dove vogliono, senza essere segregate. Questa è oggi Berlino, una volta metropoli multikulti, espressione che non si sarebbe dovuta usare.
Una bella illusione mai realizzata. Frau Ates ha presentato una petizione, con altre 43 personalità, per chiedere che sia vietato il Kopftuch, il velo islamico, per le ragazze fino ai 18 anni. Poi potranno decidere se coprirsi i capelli oppure no.
La richiesta rivolta al governo federale è stata votata dall'organizzazione Terre des Femmes, nel maggio scorso, con una maggioranza di due terzi: «Bisogna evitare che le ragazze già fin da bambine imparino a sottomettersi». Alcuni sono contrari per un malinteso rispetto della democrazia. I genitori dovrebbero essere liberi di educare i figli.
Den Kopf frei haben, è il titolo della petizione, mantenere libera la testa, un evidente doppio senso. «E un fenomeno crescente... aumentano le ragazze e le bambine con il capo coperto, perfino al Kindergarten, continua il testo, una evidente discriminazione e sessualizzazione delle minorenni.
«Il Kopftuch per le bambine dovrebbe essere vietato in pubblico, soprattutto nella scuole. Il velo islamico è una violazione dei diritti dell'infanzia», denuncia Christa Stolle, direttrice federale di Terre des Femmes. Una lotta difficile, ammette Frau Stolle: «In privato molti mi danno ragione, ma hanno poi timore di sostenere in pubblico le loro opinioni... si ha paura di venire giudicati razzisti ed estremisti di destra».
È il paradossale vicolo cieco in Germania: sotto il peso del passato, si finisce per non tutelare le donne, o definire le violenze contro i cittadini ebrei «mobbing religioso» pur di non usare il temuto termine «antisemitismo».
Frau Stolle denuncia che in internet è in corso una campagna con l'hashtag NichtOhneMeinKoptuch, non senza il mio velo, in cui vengono mostrati foto e video di bambine, a volte addirittura di un anno, coperte dal velo.
Sigrid Peter, vicepresidente della Federazione nazionale dei pediatri, denuncia a sua volta che le bambine islamiche, costrette in casa, rivelano gravi deficienze fisiche, una mobilità ridotta, e carenze vitaminiche: «Si calpestano i diritti dell'infanzia».
Susanne Schröter, direttrice del centro di ricerca Globaler Islam di Francoforte, ha dichiarato: «Appena vent'anni fa non vedevo nelle scuole nessuna ragazza con il capo coperto, ora sono in grande maggioranza tra le figlie degli immigrati. La sottomissione femminile comincia all'asilo infantile».
Da adulte le ragazze non sapranno più decidere liberamente, proveranno vergogna nel presentarsi in pubblico senza velo. E chi osa, viene insultata per strada, e minacciata dai familiari.
Frau Ates ha concluso: «Siamo innanzi a un Geschechtapartheid, un apartheid dei sessi. «Io non mi batto contro l'Islam, ha precisato, ma contro il patriarcato... il Kopftuch è la bandiera del movimento islamico... ma i politici preferiscono non prendere sul serio il problema, e guardano da un'altra parte, per paura di venir definiti di destra»
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