Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/08/2018, a pag. III, l'analisi "Tamimi e i bambini martiri palestinesi" tratta dal Jerusalem Post.
Malki Roth, assassinata a 16 anni da terroristi arabi palestinesi nel 2001
La mia dolcissima figlia Malki, piena di empatia e generosità verso gli altri, sempre con un sorriso sulle labbra, aveva 15 anni quando fu assassinata nella strage della pizzeria Sbarro, in questi stessi giorni di 17 anni fa”, scrive Arnold Roth. “L’esperienza di perderla, di cercare di riequilibrare la mia vita e quella della mia famiglia, e di cercare di dare un senso alle reazioni degli altri, ha forgiato in gran parte ciò che penso riguardo al terrorismo. Sappiamo chi ha progettato lo spietato massacro alla pizzeria Sbarro. Non è stata Ahed Tamimi (che nasceva proprio in quell’anno). Ma quando il suo clan, i Tamimi del villaggio di Nabi Saleh, si riunisce per celebrare il massacro, come sappiamo che fa regolarmente, lei partecipa entusiasta ai festeggiamenti. In un villaggio dove quasi tutti sono imparentati fra loro e si sposano fra loro, Ahed è parente stretta, in vario modo, di Ahlam Tamimi, uno dei diretti responsabili della carneficina in cui è stata trucidata mia figlia.
Ahed Tamimi
Ahlam ora vive libera in Giordania. Sui social network, nei suoi interventi pubblici e (per cinque anni) nel suo programma televisivo, ha continuato a esortare gli altri a seguire il suo esempio. Quando Ahlam sposò Nizar Tamimi, un altro assassino originario dello stesso villaggio, pochi mesi dopo che entrambi erano stati scarcerati nel quadro del ricatto di Hamas per la liberazione dell’ostaggio israeliano Gilad Shalit, l’undicenne Ahed era lì a ballare e a rimirare in adorazione la sposa. I genitori di Ahed hanno fatto della propaganda violenta contro Israele una professione. Hanno plasmato e addestrato la piccola Ahed, sfruttando il suo aspetto accattivante, e l’hanno spinta in tutta una serie di messinscene conflittuali con i soldati israeliani sin da quando aveva 10 anni, deliberatamente mettendola quasi ogni settimana, per anni, in situazioni di concreto pericolo. Sebbene tutto quello che avevano per le mani erano le immagini in gran parte sceneggiate della piccola, patetica Ahed che levava i pugni contro soldati israeliani (che la sopportavano, guardandosi bene dal reagire), troppi giornalisti e capiredattori hanno proposto e continuano a proporre assurdi paragoni con Giovanna d’Arco e Malala Yousafzai. Il giorno in cui Ahed prese a schiaffi, calci e sputi due soldati, sua madre le puntò addosso una delle sue telecamere dicendole di parlare al mondo. E lei eseguì, con un messaggio rabbioso in cui esortava alla violenza contro Israele e a nuovi attentati suicidi (come quello che ha ucciso mia figlia). L’agghiacciante realtà che quel messaggio riflette era, e continua a essere, disconosciuta. L’uso dei bambini arabi palestinesi come armi per mano della loro stessa società, persino delle loro stesse famiglie, è così incomprensibile per gli estranei che molti preferiscono chiudere gli occhi e negare questa realtà, anche solo per questo motivo. E negare ciò che Ahed simboleggia: la totale immedesimazione con gli spietati assassini del suo clan famigliare, con l’odio deflagrante, con un orrendo fanatismo che induce le persone a spingere in prima linea i loro bambini innocenti”.
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