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Trump e Putin
Putin vuole liberarsi dalla scomoda compagnia sia di Teheran, sia di Ankara nel Medio Oriente. Per questo motivo, nulla ha eccepito sulle misure restrittive decise da Trump contro la Turchia, la cui economia sia avvia a una fase molto critica, forse vicina al collasso; né a quelle, già avviate da tempo e ultimamente rinforzate, sempre di Trump contro l’Iran, la cui economia è, allo stesso modo di quella turca, in gravissima difficoltà, acuita, sul piano politico, dalle rivolte che si susseguano in varie parti del paese, spesso trascurate dai giornali occidentali. Naturalmente, non v’è alcun accordo tra Trump e Putin a questo riguardo, ma egualmente l’azione del presidente americano giova agli interessi della Russia in una regione nella quale Mosca intende consolidarsi come unica potenza egemone. In realtà, Turchia e Iran avevano già da tempo superato le loro possibilità economiche nell’avventura mediorientale: errore che fanno tutte le dittature, che antepongono i loro obiettivi ideologici a qualsiasi considerazione di natura economica. La reazione popolare in Iran e sperabilmente anche in Turchia è la cartina di tornasole degli avvenimenti in corso. Come scrisse Thomas Paine in Common Sense (1776), riferendosi all’atteggiamento del popolo verso i propri sfruttatori, “[…] se riuscite ancora a scambiare una stretta di mano con gli assassini, allora non siete degni dell’appellativo di marito, padre, amico e amante […]”. Il popolo iraniano e quello turco sono sulla strada di negare quella stretta di mano. Questi eventi non possono che favorire la posizione di Israele. Seguendo ognuno il proprio percorso politico, Putin e Trump convergono nel dare una mano a Israele nel pericoloso groviglio mediorientale. Il discorso prenderà una piega diversa nel momento in cui sia Teheran, sia Ankara dovranno abbandonare il campo a favore della Russia e inevitabilmente l’egemonia russa in Medio Oriente verrà a confliggere con gli interessi degli alleati sauditi di Washington nella regione. Ma questo è un profilo politico-strategico tutto ancora da avverarsi. Intanto, il fatto stesso che gli iraniani, sotto la richiesta di Putin, si siano allontanati dal Golan, anche se di pochi chilometri, è la conferma che Putin detta legge nella regione. Può essere un fatto puramente simbolico, ma egualmente significativo in prospettiva. Inoltre, Putin non ha condannato i raid israeliani a Gaza, né tantomeno ha espresso considerazioni su ciò che sta avvenendo su quel fronte tra Hamas e Israele. Anche questo ha un significato non trascurabile. I numerosi incontri tra Netanyahu e Putin stanno dando i loro frutti. Putin non ha alcuna intenzione di mettere a rischio l’esistenza di Israele, perché quest’evento altererebbe radicalmente la geografia politica del Medio Oriente, rafforzerebbe l’influenza degli sciiti filo-iraniani nella regione e metterebbe a rischio tutto il piano politico di Putin in quell’area. Il Medio Oriente diventerebbe una polveriera peggiore di quella attuale e ne risulterebbe un quadro geopolitico ingestibile sia da parte della Russia, sia degli Stati Uniti. L’Unione Europea non è in grado di esprimere una politica realistica sugli avvenimenti mediorientali. Ciò è conseguenza dell’incapacità di formulare una politica internazionale coerente, anche in considerazione degli interessi dei singoli paesi, soprattutto della Francia e parzialmente della Germania. I suoi atteggiamenti di condanna sono esclusivamente diretti contro Israele, ma ciò non influisce sull’evoluzione della situazione del Medio Oriente. La Nato è silente, perché il suo percorso va verso la fine dell’Alleanza. Ma la fine della Nato non potrà che avere conseguenze negative sull’esistenza stessa dell’Unione Europea. Tornando al discorso sul Medio Oriente, Israele vive un periodo in cui le vicende dell’area impongono un’attenzione massima. Netanyahu e il suo governo stanno agendo con grande intelligenza. Si sono assicurati il sostegno contemporaneo di Stati Uniti e Russia, fatto mai accaduto nella storia dello Stato ebraico. In fondo, a ben considerare la situazione, Washington combatte Turchia e Iran con le sanzioni economiche, e Mosca conduce una politica regionale intesa a scalzare progressivamente i due paesi islamici dal terreno mediorientale a proprio vantaggio.
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