Di che cosa discutono gli israeliani
Commento di Angelo Pezzana
Benjamin Netanyahu
Come reagisce la politica israeliana dopo quasi sei mesi di attacchi da parte di Hamas e il lancio di 200 razzi in un solo giorno questa settimana? Paradossalmente è il governo guidato da Bibi Netanyahu a dimostrarsi il più possibilista a una soluzione, lasciando spazio più alla diplomazia che non alle misure forti, limitando la difesa al confine con la Striscia al respingimento dei tentativi di penetrazione dei terroristi. L’identità delle vittime dimostra chiaramente come i dimostranti, miliziani o cittadini comuni, fossero attori di un piano di attacco pianificato a tavolino. Lo slogan ‘marcia del ritorno’ si è dimostrato per quello che era, propaganda confezionata per emozionare una opinione pubblica internazionale sempre pronta ad accogliere qualunque menzogna purchè abbia il timbro palestinista. Ma non tutti condividono la paziente strategia del primo ministro, sia all’interno del governo che all’opposizione. Miri Regev, la giovane ministra di cultura e sport, dichiara che è giunto il tempo di eliminare i leader di Hamas, con una serie di omicidi mirati. Contrario alla linea governativa anche Avi Gabbay, leader dell’Unione Sionista (l’ex partito socialista), per il quale Israele ha un forte esercito di difesa ma è guidato da politici deboli, accusando Netanyahu e il Ministro della Difesa Avigdor Lieberman di lasciar decidere ad Hamas quando iniziare e quando interrompere le violenze. Chiede misure più decise anche Yair Lapid, del partito Yesh Atid (c’è un futuro), ma dirette contro Hamas piuttosto che criticare il governo, che invece dovrebbe garantire la sicurezza totale dei propri cittadini. Ritorna invece sulla scena politica Tzipi Livni, dopo una lunga carriera politica di incarichi prestigiosi, con una lunga intervista sul Jerusalem Post, promovendosi a leader dell’intero mondo ebraico, l’unico spazio lasciato libero dai successi ottenuti - sia in politica interna che estera – da Netanyahu. Con l’Iran è riuscito a impedire agli ayatollah di proseguire l’acquisizione dell’arma nucleare, dopo il via libera di Obama e dell’Unione Europea, grazie alla riammissione delle sanzioni economiche voluta da Donald Trump e con l’appoggio politico di Putin, un capolavoro diplomatico. In quanto ministro degli esteri, Bibi sta visitando molti paesi nel mondo, allacciando nuovi rapporti in tutti i continenti. All’interno, vola l’economia della stessa Israele, dopo la certificazione di Standard & Poor.
Tzipi Livni
Di spazi liberi in cui sfidare la leadership di Bibi è difficile trovarne, nemmeno le polemiche sulla cosiddetta ‘Legge della Nazione’, che hanno suscitato più polemiche fra gli intellettuali che non fra la gente comune, che vi ha riconosciuto, giustamente, un richiamo resosi indispensabile oggi a quanto contenuto nella “Dichiarazione di Indipendenza” proclamata da Ben Gurion il 14 maggio 1948, che si sono rivelate uno strumento inadatto a suscitare interesse. L’unico campo estraneo ai successi raccolti da Bibi sono state le relazioni con gli ebrei della Diaspora, un tema che non lo ha mai appassionato. Sarà per questa sua mancata vena polemica, se entro pochi mesi supererà il record di capo del governo che apparteneva a David Ben Gurion. Tzipi Livni, invece, vede in quel rapporto l’ occasione per conquistare alle prossime elezioni voti sufficienti sul suo nome per succedere a Bibi. Che di grane da affrontare ne ha sicuramente molte, ma c’è da giurare che gli israeliani torneranno a votarlo ancora, grazie al suo buon governo in quanto a economia, sicurezza e politica estera.
Angelo Pezzana