Per due millenni gli ebrei sono stati assenti dalla scena politica internazionale.
Malgrado questa assenza sono riusciti a sopravvivere in quanto popolo, con una identità che è sostanzialmente rimasta la stessa sino al secolo appena trascorso, quando due eventi hanno segnato profondamente il loro destino: la Shoah (lo sterminio nazista) e la nascita dello Stato di Israele.
Se nella Shoah è stato sterminato un terzo dell'ebraismo mondiale, la rinascita dello Stato ebraico ha rappresentato la realizzazione degli ideali che il sionismo si era proposto sin dal suo formarsi alla fine dell'ottocento. Di più, l'augurio che Theodor Herzl rivolgeva agli ebrei "se lo vorrete non sarà un sogno" trovava concreta risposta dopo nemmeno cinquant'anni.
Una volta ricostituito lo Stato, la domanda se lo scopo del sionismo, considerato come uno strumento della storia ebraica, il cui uso non era ormai più necessario dopo il raggiungimento del fine per il quale era nato, fu alla base di un vasto dibattito che dura tuttora. E che permea ogni interpretazione intorno all'identità ebraica. In particolare intorno all'identità israeliana, oltre a quella ebraica in generale della diaspora.
Si deve parlare ancora di sionismo ? Opure è più corretto riferirsi al tempo presente definendolo post-sionista ?
A Gerusalemme, in una palazzina appena costruita nell'intellettuale quartiere tedesco, ha la sua sede l'Istituto Shalem, uno dei think-tank neo-conservatori più discussi e influenti di Israele. La cultura che ne scaturisce è quella che maggiormente anima il dibattito delle idee in seno alla società israeliana.
Per Ofir Haivrì, uno degli intellettuali di maggior rilievo dell'Istituto -in Italia per una serie di conferenze- è più corretto definire l'identità di Israele come neo-sionista. Questa definizione nasce, secondo Haivrì, dal rifiuto palestinese dello Stato ebraico, che ha contrassegnato con un conflitto tuttora aperto la storia del giovane Stato.
Si sentiva già post-sionista chi invece pensava che gli accordi di Oslo avrebbero portato ad una pace fra israeliani e palestinesi, e negli anni novanta,pur tra alterne vicende, Israele aveva incominciato a sentirsi un paese nornale, nel senso che poteva paragonarsi a qualunque altro stato, senza più vivere in modo drammatico la legittimazione della propria esistenza.
Post-sionista poteva voler dire il superamento del concetto stesso di sionista, da vivere come una eredità prestigiosa, sì, ma senza più alcuna implicazione con il presente. Ci fu persino chi, nello stupore di sentirsi addirittura anti-sionista, propose l'eliminazione della stella di Davide dalla bandiera, la modifica dell'inno nazionale cancellando quelle parti che potevano risultare non gradite ai concittadini non ebrei. L'ansia di adattare la nuova identità in armonia con gli ex nemici era tale che molti si sentivano pronti a qualunque concessione pur di dimostrare l'avvenuta mutazione.
Una posizione,quella dell'anti-sionismo, non nuova nella storia di Israele, influente soprattutto nei primi decenni del novecento, formata da religiosi ultra-ortodossi, comunisti e rivoluzionari dalle posizioni universalistiche, tutti ugualmente contrari ad uno Stato ebraico caratterizzato solo come tale, e non, ad esempio, binazionale. Posizioni screditate e spazzate via dalla distruzione dell'ebraismo europeo durante la seconda guerra mondiale. L'esistenza, già allora, di uno Stato ebraico sarebbe stata sicuramente la salvezza per i milioni di ebrei che invece si sono trovati senza un paese verso il quale trovare rifugio.
Il post-sionismo è stato invece accantonato anche grazie al voltafaccia di Arafat e alla seconda intifada con la guerra al terrorismo in corso, che hanno cancellato quelle che si sono purtroppo rivelate solo illusioni. I valori sionisti tradizionali sono rientrati fortemente sulla scena politica e culturale israeliana, a destra come a sinistra.
Per questi motivi Haivrì è portato a definire neo-sionista l'attuale identità israeliana, anche se può sembrare che dell'eredità di Herzl siano visibili solo le cerimonie ufficiali commemorative.
In realtà così non è. Grazie al sionismo si è riscostituito uno Stato che non esiteva più da duemila anni, nel quale milioni di emigranti da tutto il mondo si sono ritrovati a vivere una nuova vita parlando una lingua comune, l'ebraico, ritornato ad essere la lingua degli ebrei non solo in Israele.
Pur con i tanti problemi che il giovane Stato democratico deve affrontare, l'eredità di Theodor Herzl non è ancora pronta per essere archiviata. Comunque lo si voglia definire, è ancora il sionismo la chiave per comprendere l'identità di Israele.