Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/08/2018, a pag.8, con il titolo "Gaza, razzi e raid aerei, Israele avverte Hamas: operazione su vasta scala" la cronaca di Francesca Paci; con il titolo "A Sderot sotto la pioggia di missili: 'Abbiamo 15 secondi per non morire' ", il commento di Fabiana Magrì.
A destra: bambini di Sderot cercano un rifugio per sfuggire ai missili. Hanno 15 secondi di tempo
Ecco gli articoli:
Francesca Paci: "Gaza, razzi e raid aerei, Israele avverte Hamas: operazione su vasta scala"
Francesca Paci
Nonostante l’attivismo egiziano per fermare l’escalation delle ultime ore e i ripetuti annunci di un cessate il fuoco, la situazione a Gaza resta tesa. Ieri sera, durante la riunione del gabinetto di sicurezza presieduta dal premier Netanyahu nella base di Camp Rabin, i caccia israeliani hanno ripreso a bersagliare la Striscia (in serata è stato colpito un palazzo a Ovest di Gaza City) e le sirene anti-missile sono risuonate a Beer Sheva (per la prima volta dal conflitto del 2014) e nei kibbutz a ridosso della cittadina frontaliera di Sderot, dove si contano 4 feriti.
Mercoledì notte, per la terza volta nel solo mese di luglio, gli scontri iniziati a fine marzo con le manifestazioni palestinesi per la «Marcia del Ritorno», hanno rischiato di scivolare in una nuova guerra ad alta intensità. Colonne di fumo nero si levano dal confine blindato. E mentre dalla moschea al-Furqan di Gaza City al campo profughi di Jabalya si invoca vendetta per le 3 vittime dei raid (tra cui una donna incinta e la figlia) e i circa 30 feriti, l’esercito israeliano fa sapere di aver intercettato con il sistema di difesa Iron Dome 30 dei 150 razzi lanciati sul proprio territorio, di aver colpito oltre 140 postazioni di Hamas e di essere «più vicino che mai ad un’operazione su vasta scala a Gaza».
Il Gabinetto di Sicurezza israeliano, dopo varie ore di riunione per discutere della situazione, «ha dato istruzione alle forze della Difesa di Israele perché continuino ad usare la forza contro i terroristi », ha detto in una nota il portavoce dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu.
Il contesto è altamente infiammabile. Sullo sfondo della crisi c’è il lavoro di Egitto e Onu per una tregua di lungo termine tra Israele e le diverse fazioni palestinesi che nei giorni scorsi ha visto convergere a Gaza e poi al Cairo diversi leader di Hamas in esilio per discutere la riconciliazione nazionale, l’alleggerimento del blocco economico sulla Striscia, il cessate il fuoco con Israele. Una settimana fa il leader islamista Khalil Al-Hayya aveva parlato ad Al Jazeera di «uno stato molto avanzato» dei negoziati indiretti. Secondo alcuni portavoce di Hamas, tra cui Fawzi Barhoum, il proseguimento dell’escalation, interrotta da Hamas ieri pomeriggio, sarebbe dunque responsabilità israeliana, «un sabotaggio per colpire le trattative» e «mascherare con la guerra la perdita del proprio potere di deterrenza».
Se Israele ripete con le parole del ministro della difesa Lieberman che come sempre farà «il necessario» per fermare i missili, la strategia dei signori della Striscia è confusa. Dalla presa di Gaza contro i fratelli coltelli dell’Anp nel 2007, Hamas ha attribuito a Ramallah, a Israele, agli Usa e al disinteresse mondiale per la causa palestinese il proprio impasse politico senza riuscire però a recuperare consenso. Uno studio del Palestinian Center for Policy and Survey evidenzia che il 45% dei gaziani sogna di emigrare (in Cisgiordania il 19%), che il 60% vuole un accordo tra Hamas e l’arcinemico di Fatah Dahlan e che solo il 32% voterebbe oggi Hamas alle amministrative contro il 36% d’inizio 2018 (Hamas cresce invece in Cisgiordania, dal 26% al 30%).
«Hamas è alla disperazione, la vita a Gaza è intollerabile: la disoccupazione è cronica, l’acqua imbevibile, l’elettricità gira meno di 4 ore al giorno e non c’è via d’uscita per 2 milioni di abitanti» nota Hussein Ibish dell’Arab Gulf States Institute di Washington, aggiungendo che i palestinesi uccisi negli scontri per la «Marcia del Ritorno» (165 in 4 mesi) sono per Hamas «la prima buona notizia da tempo». Gli studiosi la chiamano la «social warfare strategy», la nuova e antica strategia della guerra sociale, l’arma della manipolazione dell’opinione pubblica internazionale, l’amplificazione delle contraddizioni nel fronte avverso e la mobilitazione delle proprie società contro nemici militarmente superiori. Un gioco pericoloso. Fonti a Gerusalemme danno il conflitto al 90%. A Gaza si scruta il cielo senza stelle, oltre il confine, gli israeliani dormono nei rifugi.
Fabiana Magrì: "A Sderot sotto la pioggia di missili: 'Abbiamo 15 secondi per non morire' "
Fabiana Magrì
Gaza: missili pronti al lancio verso Israele
«Abbiamo avuto una lunga nottata, ci siamo svegliati quattro volte per l’allarme. Non ho il mamad (rifugio in ebraico, ndr) in casa, vivo in un piccolo appartamento ma credo nelle statistiche e in Dio».
A Sderot, nell’afa del primo pomeriggio, Liran, 39 anni, impresario edile, sta visitando una pizzeria al taglio che forse acquisterà. Anche se gli abitanti si sforzano di dissimulare la paura, non si può dire che la vita continui a scorrere come se nulla fosse, in queste ore, nella città israeliana più vicina alla Striscia di Gaza. «La mia fidanzata era venuta a trovarmi, lei vive nel centro di Israele. Dopo il quarto allarme è scoppiata a piangere e se n’è andata». Le prime due troupe televisive locali sono arrivate con le telecamere. Si aspetta la fine della riunione di Gabinetto che deciderà le prossime mosse di Israele a Gaza. Sulla porta di un salone di parrucchiere c’è Isaac. Sta aspettando che faccia presa il colore sui capelli della sua cliente, intenta a sfogliare una rivista. Isaac, 35 anni, è nato a Sderot ma dopo il servizio militare si è trasferito in America. Un anno fa, con la moglie e i tre figli, ha fatto aliyah (ritorno, in ebraico) in Israele. «La situazione non è delle migliori - inizia a raccontare con una sorta di pudore - e speriamo finisca presto. Specialmente per i bambini. Quando suonano le sirene li portiamo nel mamad e cominciamo a cantare canzoncine per distrarli e fare in modo che non sentano i rumori. Speriamo se ne dimentichino. È dura».
In prima linea
Sderot è tra le comunità più colpite dai razzi lanciati dalla Striscia, in questi giorni come negli ultimi quindici anni. «Quello che cerchiamo di fare non è tanto convivere con questa situazione, perché non è possibile conviverci. Allo stesso tempo fa parte della tua realtà. Aspettiamo. Aspettiamo che qualcuno risolva il problema ma ormai è passato così tanto tempo». Isaac era bambino quando i primi razzi hanno cominciato a piovere dalla Striscia. In quegli anni non c’erano sirene d’allarme, non c’era Zeva Adom (Allarme Rosso, in ebraico) la app che segnala il pericolo vicino a te e non c’era Kippat Barzel, come in ebraico si chiama il sistema antimissile Iron Dome. Eppure a Zikim, il kibbutz a una manciata di chilometri dalla barriera di separazione con Gaza, «quindici anni fa eravamo più fatalisti, più calmi. Oggi ci sentiamo più deboli, abbiamo vissuto una regressione. Oggi siamo esausti». Sigal, 45 anni, è nata e cresciuta nel kibbutz. Vive con il marito francese Pascal, coltivatore di avocado, e le due figlie Mika (15 anni) e Alona (13 anni). A due passi hanno una bellissima spiaggia ma una volante della polizia blocca l’accesso alle dune per motivi di sicurezza. «Le mie figlie amano il mare ma andava bene anche la piscina. Poi, due settimane fa, Alona e io ci siamo trovate in acqua mentre hanno cominciato a suonare le sirene. Qui abbiamo solo quindici secondi per raggiungere il rifugio in sicurezza. Gridavo “Alona” ma lei non sentiva le sirene né la mia voce perché era sott’acqua. È stato tremendo. In piscina non andiamo più». Negli ultimi anni la comunità di Zikim è cresciuta, ci sono più abitazioni e più aziende agricole. Alcuni braccianti vengono quotidianamente dalla Striscia. «Anche oggi - racconta Pascal - dopo la notte di bombardamenti su Gaza, sono venuti per lavorare. È surreale, no?».
La compassione
Pascal e Sigal si definiscono pacifisti e spiegano la compassione che provano per gli abitanti di Gaza. «Al di là della Striscia le persone vivono la nostra stessa situazione, anzi peggio. Noi stiamo meglio, lo vedi. Loro non hanno rifugi, non hanno elettricità, niente. Il rumore delle bombe di Tzahal (acronimo ebraico che sta per esercito israeliano) è spaventoso, non è come sentire l’Iron Dome che fa esplodere i razzi in aria. E non voglio pensare ai bambini, a come dev’essere per loro. D’altro canto - continua Sigal - quando siamo attaccati da loro, è difficile. Cerchi qualcuno con cui prendertela, cerchi di provare rabbia solo verso i terroristi. Eppure, mi chiedo, perché tutti i palestinesi non si sollevano per dire “non vogliamo la guerra”? Poi - dice sconsolata - accetto anche questo perché capisco che possono fare poco contro Hamas, ne hanno paura. Eppure». Eppure la app continua a segnalare i razzi che da Gaza partono verso le comunità dei civili israeliani.
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