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Italia Oggi Rassegna Stampa
08.08.2018 Shoah: un film sulla Svizzera che respinse 20.000 ebrei, avviandoli verso i lager
Commento di Roberto Giardina

Testata: Italia Oggi
Data: 08 agosto 2018
Pagina: 12
Autore: Roberto Giardina
Titolo: «Barriera svizzera gli per ebrei»
Riprendiamo da ITALIA OGGI del 08/08/2018, a pag.12, con il titolo "Barriera svizzera gli per ebrei" il commento di Roberto Giardina.

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Robero Giardina

Nei film gialli e nelle commedie italiane la realtà quotidiana mi appare deformata, non sempre ma quasi. Gli immigrati sono buoni e saggi, e i professori di liceo o i commissari vivono in attici con vista su San Pietro. In Germania, la serie Tatort (da tat, fatto, e ort, luogo, come dire il luogo del delitto), da oltre quarant'anni appuntamento da non perdere alla domenica sera per milioni di telespettatori, non sempre ma spesso racconta fatti ispirati alla vita quotidiana, senza retorica, e senza lieto fine obbligato. A volte i cattivi la fanno franca. La scorsa domenica è andato in onda il Tatort ambientato a Lucerna Die Musik stirbt zuletzt, la musica muore per ultima, del regista Dani Levy, che ricorda la «colpa» della sua Svizzera, che respinse migliaia di ebrei in fuga dalla Germania nazista, condannandoli di fatto a morte. Si sa, o si dovrebbe sapere, ma si preferisce non ricordare. Levy ha voluto girare il film in un unico piano sequenza di 90 minuti, cioè senza montare varie riprese. Una sfida ad Alfred Hitchcock che nel 1948 girò Nodo alla gola tutto di seguito, ma allora i mezzi tecnici permettevano riprese al massimo di dieci minuti, e fu costretto a barare. Una maestria tecnica di Levy che guasta un po' il ritmo. Non importa.

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Un fotogramma del film

Non conta chi sia l'assassino, ma la storia. L'anziano miliardario svizzero Walter Loving finanzia un concerto della Jewish Orchestra di Buenos Aires (in realtà la Jewish Orchestra di Monaco), biglietto peri vip da 10 mila franchi, il ricavato di venti milioni andrà a Israele. Ma un flautista viene avvelenato, e sua sorella pianista racconta al pubblico il passato di Loving: durante la guerra si faceva pagare per far accogliere ebrei in Svizzera, ma i suoi nonni furono ugualmente respinti e morirono in una camera a gas. Sua madre si uccise dopo aver denunciato nel 1978 Loving, o fu uccisa. Il miliardario seduto in prima fila si alza: «Sono colpevole», ammette. Ma ha preso soldi per corrompere i funzionari e falsificare documenti. «Non sempre è andata bene, la mia percentuale era del 30%». Dopo una lunga esitazione, gli spettatori si alzano in piedi e lo applaudono. La Svizzera si autoassolve. Fine. Nel film viene citato il rapporto Bergier pubblicato nel 2002, dopo forti pressioni internazionali. La Svizzera avrebbe voluto continuare a tacere: durante la guerra al confine furono respinti oltre 20 mila ebrei tedeschi, ma «mediatori» come il Loving della finzione tv riuscivano a far entrare chi fosse in grado di pagare. Gli storici svizzeri spiegano, o giustificano, la chiusura delle frontiere con la paura di un'invasione da parte della Germania nazista, e con il timore di una perdita di identità nazionale a causa della presenza di troppi stranieri (o ebrei?). Ma non era verosimile che Hitler nel `43 e nel `44, quando la guerra andava male su tutti i fronti, potesse decidere di affrontare una pericolosa guerriglia tra le montagne elvetiche. E poi, se si aveva paura del Führer, perché si accoglievano gli ebrei benestanti? Il futurologo Robert Jungk (1913-1994) mi raccontò di essere riuscito a entrare in Svizzera, senza un franco in tasca, ma si salvò perché un medico amico lo dichiarò pazzo e lo fece ricoverare in manicomio, evitando l'espulsione.

Nel libro di Stefan Keller Die Rückkehr, il ritorno, si racconta la storia di Josef Spring. Ebreo berlinese, nel novembre del 1943 si rifugiò in Svizzera a sedici anni con il fratello: fu consegnato ai nazisti, lui si salvò, il fratello morì ad Auschwitz. Spring emigrò in Australia, fece fortuna, nel 2000 tornò in Svizzera, e a un tratto volle ricordare. Fino a quel momento, aveva voluto dimenticare, spiegò. E denunciò la Svizzera chiedendo i danni. «Non volevo soldi, ma dimostrare il torto subito». Alla fine, ottenne centomila franchi «per benevolenza», la Svizzera non aveva colpe, sentenziò il giudice: non era tenuta ad accogliere gli ebrei «perché non erano perseguitati politici». «Ho vinto, e in realtà ho perso», commentò Spring (il libro è stato tradotto in italiano nel 2010 da Dadò Editore con il titolo Dalla Svizzera ad Auschwitz). Anche questa storia meriterebbe un film. Il krimi di domenica, comunque, sarà servito molto più di un saggio storico a spiegare il passato a spettatori tedeschi e svizzeri nati dopo la guerra.

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