Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/08/2018, a pag.25, con il titolo "Conan Doyle nei panni di Holmes per salvare un 'Dreyfuss' scozzese" il commento di Mario Baudino.
Mario Baudino
Conan Doyle si trasformò per due volte nel suo popolarissimo detective, mettendo mano a casi reali, e in prima persona. Ebbe successo nel dimostrare l’inconsistenza delle accuse contro George Edalij, un giovane avvocato di origine parsi condannato per la mutilazione di un cavallo e una serie di minacce anonime, ma ne ebbe molto meno, anzi ne trasse qualche dispiacere, quando si dedicò al cosiddetto caso Dreyfuss scozzese, vistoso esempio di malagiustizia ai danni di un immigrato ebreo tedesco.
Il capitano francese accusato di tradimento nel 1898 divenne l’emblema di una mostruosità giuridica nata dalla xenofobia e dal razzismo: e uno scrittore, Emile Zola, fu il capofila di un movimento d’opinione in sua difesa. Il suo J’accuse, come venne titolato un memorabile articolo che denunciava il sopruso, rimane memorabile.
Oscar Slater
Un perfetto colpevole
Quello di Conan Doyle lo è un po’ meno, anche se fa comunque parte, magari in posizione defilata, della mitologia holmesiana perché lo scrittore lo ripeté idealmente in un libro del 1912, The Case of Oscar Slater, dove smontava le prove dell’accusa contro Oscar Slater, ebreo tedesco espatriato cui era stato cucito addosso un barbaro omicidio, e rifletteva sul fatto che «uno straniero, e dall’aspetto straniero e diverso» era perfetto come colpevole per un polizia frettolosa e razzista.
Quel libro è però solo l’inizio di una storia. Ora una giornalista del New York Times, Margalit Fox, ha ricostruito l’intera vicenda, con molta attenzione alle dinamiche attraverso le quali si costruisce un colpevole sulla base di pregiudizi etnici e moralisti, in Conan Doyle for the Defence (Random House) appena uscito negli Stati Uniti e in Gran Bretagna
Oscar Slater viveva di espedienti ai margini della società, aveva fama di giocatore, era legato (forse) a un prostituta - o comunque una donna che venne fatta apparire come tale. Ce n’era abbastanza per trasformarlo in un mostro quando, nel 1908, venne assassinata, pochi giorni prima di Natale nella sua casa di Glasgow, l’ottantaduenne Marion Gilchrist. La donna era ricca, si pensò a un omicidio per rapina, e sulla base di labili indizi la polizia mise le mani sul povero Slater, che abitava poco distante e aveva appena impegnato una spilla simile, ma non identica, a quella che secondo la domestica dell’uccisa era stata rubata.
Arthur Conan Doyle
Finale cupo
Il caso volle inoltre che dopo l’omicidio il sospettato si fosse trasferito, in apparenza in tutta fretta, negli Stati Uniti. Fu subito catturato, ebbe un processo sommario e venne condannato a morte per impiccagione, anche se la pena dovette essere commutata nell’ergastolo sulla spinta di un forte movimento d’opinione in suo favore, con pubbliche manifestazioni e assedio del tribunale.
Slater non si arrese. Dalla galera riuscì in modo rocambolesco a chiedere l’aiuto dello scrittore, facendo uscire un messaggio nascosto nella dentiera di un compagno di cella che aveva ottenuto la libertà sulla parola, e Conan Doyle si impegnò in una battaglia lunga diciotto anni, continuando a indagare e coprendo in parte anche le spese legali dell’ergastolano nella lunga battaglia per ottenere la revisione del suo processo.
Non fu però lui - almeno, non in prima persona - a determinare la vittoria. Nel 1927 la sentenza venne infatti cancellata, ma sulla spinta di una ricostruzione del caso proposta da un giornalista scozzese, William Park (The Truth About Oscar Slate si intitolava il pamphlet). Si aprirono finalmente le porte del carcere: Slater venne risarcito con seimila sterline, che rappresentavano una bella sommetta, e Conan Doyle ci restò male, perché il prigioniero finalmente libero non gli dimostrò molta gratitudine, né si offrì (i soldi sono sempre soldi) di ripagargli almeno in parte le spese sostenute.
Finale cupo. È vero che tutto sommato la giustizia aveva, se non trionfato, corretto un errore, e che lo scrittore poteva essere quantomeno soddisfatto di aver visto giusto - del resto non gli serviva altra gloria - ma l’orizzonte era molto più minaccioso di quanto immaginassero i protagonisti. Oscar Slater, dopo essere stato internato come cittadino germanico allo scoppio della guerra, morì nel ’49, a 78 anni, triste e amareggiato; nel necrologio venne descritto - chissà perché - come «assassino perdonato» e amico di Conan Doyle. Ma c’è di più.
La Fox ha scoperto che cosa accadde «dopo», quando ormai la vicenda sembrava arrivata all’ultima pagina. C’è ancora un capitolo, a tinte davvero fosche. In Germania erano rimaste due sorelle, Phemie e Malchin, che negli anni della battaglia legale erano state presenti almeno per lettera, e di cui tutti si erano poi dimenticati. Ora sappiamo che la tragedia della famiglia Slater andò oltre le già cupe intuizioni di Conan Doyle. Le due donne vennero rastrellate dai nazisti, nel ’42. Morirono l’una a Treblinka, l’altra a Terezin.
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