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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Perchè il terrorismo non ha distrutto Israele
Cominciamo col dire che il governo Sharon non è caduto ma è soltanto entrato in crisi.

Infatti, malgrado l'uscita dei laburisti dalla coalizione di governo, alla prima votazione di bilancio ha avuto 67 voti su 120. Una buona maggioranza che lancia a Sharon un chiaro messaggio. Se vuoi un governo i voti li hai. Basta non guardare più a sinistra.

Ma l'impressione qui a Gerusalemme è che l'uscita dal governo di Peres, Ben Eliezer e compagni non fosse proprio nei programmi di Ariel Sharon. Al quale un governo likud-laburisti andava benissimo. Peres agli esteri e Ben Eliezer alla difesa, gli garantivano l'immagine fuori Israele, erano un contrappeso alla sua fama di falco.

Ma Sharon non aveva fatto i conti con le primarie del partito laburista che si svolgeranno il 13 novembre. I sondaggi danno in testa Amram Mitzna, il popolare sindaco di Haifa, che in tutti questi mesi ha lavorato per scalzare la posizione di Ben Eliezer alla guida del partito. Riuscendoci, perchè fare il ministro della difesa in tempo di intifada significa prendere decisoni che alla base più radicale della sinistra quasi sempre non sono piaciute. A Ben Eliezer, per riconquistare il terreno perduto, rimaneva una sola soluzione. Un gesto forte che gli consentisse di ripresentarsi al suo elettorato con qualche possibilità di risalita. Ecco allora le dimissioni, che non hanno nessuna altra spiegazione.

Con Sharon in fondo andava d'accordo, come anche Peres, anche lui dimissionario come tutta la compagine laburista di governo. Anche il dissenso sul bilancio, che prevede finanziamenti ai religiosi e agli insediamenti in misura elevata rispetto al resto della popolazione, non era poi quel grande ostacolo. Anzi, un compromesso decoroso stava per essere trovato. Ma le primarie erano diventate un incubo per Ben Eliezer. Da qui le dimissioni e la conseguente crisi di governo. Voluta soprattutto dal gruppo parlamentare laburista, mentre i ministri in carica l'avrebbero evitata volentieri. Tranne Ben Eliezer nessuno la voleva, nè a destra nè a sinistra.

L'unità sostanziale degli israeliani, espressa nel governo di coalizione, ha retto bene durante la seconda intifada.

Gli israeliani sono più preoccupati della crisi economica che ha investito il paese del terrorismo.

Anche perchè Arafat ancora una volta ha sbagliato i suoi conti.

Spargendo il terrore in tutta Israele, il capo dell'OLP contava di minare alla base il senso di identità e appartenenza degli israeliani. Loro amano la vita, deve aver pensato il Raiss, portando ovunque morte e terrore, getteranno la spugna.

Invece è accaduto il contrario. Si sono persino calmate le acque burrascose fa destra e sinistra, una lacerazione profonda che divide da sempre il popolo d'Israele. Tant'è che oggi la lotta all'ultimo voto è più un problema interno ai singoli schieramenti che non fra opposti partiti politici.

Ma se Ben Eliezer deve fare i conti con il rivale Mitzna, Sharon dovrà guardarsi da Bibi Netaniahu, che non aspetta altro che riconquistare la guida del paese.

Non che gli isaeliani siano diventati indifferenti al terrorismo, ma dopo due anni di attentati hanno imparato a reagire.

Rispondendo con una voglia assoluta di normalità. Le strade sono piene di gente, anche quelle che sono state al centro degli attentati più gravi. La gente va a fare la spesa, i negozi se non sono pieni come un tempo è più per il poco denaro che circola che non per la paura dei terroristi suicidi. I bar sono affollati così come i ristoranti.

Arafat credeva che gli israeliani non sarebbero stati capaci di pagare il prezzo del terrorismo. Che sarebbero scesi in piazza per far cadere il governo incapace di proteggerli. E'avvenuto l'opposto. Sull'ondata del terrorismo, e proprio grazie ad Arafat, gli israeliani hanno eletto Sharon a primo ministro. La sinistra è entrata in una crisi gravissima dopo che il progetto di pace, così fortemente voluto da Barak (ma anche dalla maggioranza del paese) era stato respinto da Arafat. Che così, suo malgrado, ha unito ancora una volta di pìù gli israeliani.

Dal 1948 (guerra di indipendenza) sono morti più di 23.000 soldati per difendere lo Stato ebraico dagli aggressori arabi. Un numero enorme se si pensa che Israele ha oggi sei milioni di abitanti. Barak disse una volta che il numero dei soldati morti per mano araba era eguale al ritmo delle uccisioni in un metà giornata ad Auschwitz. Non era cinismo, ma la spiegazione di come un popolo si aggrappa a tutte le motivazioni possibili per sostenere la propria volontà di sopravvivenza. E come sia pronto a pagare a qualunque costo il prezzo della propria indipendenza.

Grazie alla azione preventiva di Zahal, l'esercito di difesa israeliano, oggi si bloccano il 95% degli attentati terroristici. Non è il 100%, è vero. La guerra non è ancora vinta.

Ma la lota al terrorismo palestinese ha minato più Arafat e la sua leadership che non l'unità dela popolo israeliano.

Arafat, grazie al compiacente sostegno europeo, è ancora in sella e può essere che nell'immediato futuro non ci sarà una sua sostituzione.

Ma oggi anche i palestinesi hanno capito che è lui, insieme a tutti i gruppi terroristici, ad esserel'ostacolo più grande alla pace. Oltre tutto si è confermato un pessimo stratega. Quel po' di simpatia che da Israele gli era arrivata dopo la stretta di mano con Rabin si è sciolta come neve al sole. Era un bugiardo e lo si è visto quando ha respinto gli accordi di Camp David.

Il paese che si proponeva di distruggere è più forte e unito che mai, malgrado le bombe, gli autobus che esplodono, i terroristi ceh si fanno saltare in aria.

Israele è malgrado tutto ciò pronto per la pace. Ma devono esserlo anche i suoi nemici."

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