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La Repubblica Rassegna Stampa
01.08.2018 Troppo comodo difendere gli ebrei morti nella Shoah e demonizzare quelli vivi di Israele
E' quello che fa Repubblica; analisi di Daniel E. Slotnik

Testata: La Repubblica
Data: 01 agosto 2018
Pagina: 19
Autore: Daniel E. Slotnik
Titolo: «Herman che riuscì a fuggire da Auschwitz»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 01/08/2018, a pag.19, con il titolo "Herman che riuscì a fuggire da Auschwitz" il commento di Daniel E. Slotnik.

Repubblica è sempre pronta a pubblicare buoni articoli sulla Shoah, ma quando si tratta di Israele è in prima fila nel diffondere disinformazione e ostilità contro lo Stato ebraico. Troppo comodo, davvero troppo comodo difendere gli ebrei solo da morti e contribuire a demonizzare quelli che, vivi, non fanno altro che difendersi dalle aggressioni del terrorismo islamico.

Ecco l'articolo:

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Daniel E. Slotnik

Il suo migliore amico non lo lasciò indietro. Un cittadino polacco rischiò la vita per farlo uscire dal campo di nascosto. E una giovane donna, incontrata per caso, lo aiutò a trovare un rifugio sicuro fino alla fine della guerra – e diventò l’amore della sua vita. Ad Auschwitz furono deportati almeno 1,3 milioni di persone. Quasi tutti, 1,1 milioni, vi morirono. Meno di 200 riuscirono a fuggire e sopravvissero. Herman Shine apparteneva a questi ultimi. Anzi, ha vissuto fino a diventare l’ultimo sopravvissuto fuggito da Auschwitz: è morto il 23 giugno, a 95 anni, a casa sua in California. «Sono vivo grazie non a uno, ma a una decina di miracoli», raccontò nel 2009 a proposito della sua fuga incredibile. Era nato a Berlino nel 1922 come Mendel Scheingesicht. Appena adolescente, nel settembre 1939, poco dopo l’invasione della Polonia da parte di Hitler, fu portato nel lager di Sachsenhausen, 32 chilometri a nord di Berlino, insieme ad altri ebrei, tra i quali l’amico Max Drimmer. Il trattamento fu brutale.

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Herman Shine

«Le SS si aggiravano tra noi con fruste, bastoni, sbarre di acciaio... ci picchiavano per qualsiasi motivo». Nel 1942, i due amici dovettero affrontare un viaggio di cinque giorni ad Auschwitz in un vagone ferroviario per il bestiame stipato all’inverosimile. All’arrivo al campo, i prigionieri furono divisi: alcuni erano destinati ai lavori forzati, altri alle camere a gas. Drimmer si intrufolò nella stessa fila di Shine, senza sapere dove sarebbero stati mandati. Finirono a Monowitz, un campo di lavoro noto anche come Auschwitz III. Shine lavorò in un sotto-campo denominato Gleiwitz. «Se mantenevi un discreto stato di salute, riuscivi a guadagnarti una probabilità di sopravvivenza per un altro giorno ancora», ha raccontato Shine. Un giorno, a Gleiwitz, intravide un gruppo di donne che pulivano i campi. Shine strinse amicizia con una di loro, Marianne Schlesinger, che gli raccontò che, sebbene fosse costretta a lavorare per i tedeschi, le era consentito abitare nella casa di famiglia fuori dal campo perché era solo mezza ebrea. La giovane gli passò l’indirizzo di casa, nella speranza che un giorno lui riuscisse a spingersi fino a lì. In quello stesso periodo, un civile polacco che lavorava a Monowitz, Józef Wrona, conobbe Drimmer. Al quale, nel ‘44, raccontò di aver sentito alcuni ufficiali delle SS manifestare l’intenzione di sterminare tutti i lavoranti di Monowitz. Wrona escogitò un piano per far uscire Drimmer dal campo di concentramento. Il rischio era enorme. I polacchi che davano ospitalità agli ebrei fuggiti potevano essere uccisi insieme a tutti i loro familiari. Wrona accettò di includere anche Shine nel piano. Costruì un angusto nascondiglio presso un cantiere vicino a Monowitz e, durante una pausa pranzo, Shine e Drimmer vi si intrufolarono. Rimasero lì più di un giorno, Wrona tornò all’imbrunire portando abiti civili. Più tardi i due giovani uscirono allo scoperto, indossando tute da lavoro e cappelli per nascondere le teste rasate. Si fecero strada attraverso il filo spinato aprendosi un varco nel punto in cui Wrona aveva tagliato un’apertura. Shine e Drimmer strisciarono attraverso la siepe, liberi per la prima volta in cinque anni, e si allontanarono senza essere visti. Quando Wrona li raggiunse, lo seguirono fino a casa sua, 14 chilometri a sud. Lungo il tragitto, i tre furono fermati da un soldato tedesco che, dopo aver rivolto a Wrona alcune domande, li fece procedere pensando che si trattasse di operai polacchi. Arrivati a destinazione, Wrona nascose i fuggitivi in un fienile e portò loro da mangiare. Ma ad un certo punto Drimmer scrisse una lettera a un’amica di nome Herza Zowe. In seguito al fermo di quest’ultima, le autorità tedesche scoprì la lettera e si precipitarono con i cani a casa di Wrona per perquisirla. Cercarono ovunque, anche nel fienile, ma non controllarono un mezzanino in alto dove Shine e Drimmer si erano schiacciati al suolo terrorizzati. Shine capì che dovevano andar via. Ricordava a memoria l’indirizzo di Marianne e disse a Drimmer che a potevano nascondersi da lei. Drimmer gli rispose: «Tu sei pazzo. Come pensi che potremmo prendere un treno? O dobbiamo percorrere cento chilometri a piedi, in tempo di guerra e senza documenti?». Shine rispose: «Che altro ci resta da fare?». E così i due si misero in cammino, riuscendo a raggiungere la casa di Schlesinger a Gleiwitz, dove si nascosero fino a quando non arrivarono gli Alleati, nel 1945. L’anno seguente, Shine sposò Schlesinger e Drimmer sposò Zowe in una doppia cerimonia celebrata a Berlino. Le due coppie emigrarono negli Usa nel 1947 stabilendosi vicino San Francisco. Shine e Drimmer sono rimasti amici fino alla morte di quest’ultimo, nel 2012. «Abbiamo vissuto le nostre vite insieme» ha raccontato Shine. «Siamo venuti in questo grande Paese e qui ci siamo creati una seconda esistenza».

(Traduzione di Anna Bissanti)

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