Washington/Mosca andata e ritorno, con fermata a Gerusalemme 29/07/2018
Washington/Mosca andata e ritorno, con fermata a Gerusalemme Analisi di Antonio Donno
A prima vista, Trump e Putin sono impegnati, in modi ovviamente diversi, a salvaguardare Israele nello scenario devastato del Medio Oriente. Quel che ha fatto Trump nei mesi passati, a favore di Israele, è sotto gli occhi di tutti. Quello che Putin potrà fare è ancora sottotraccia. Tuttavia, un fatto è certo ed è di importanza cruciale: Putin non ha mai condannato le incursioni aeree israeliane in Siria, sia contro le postazioni siriane, sia soprattutto contro quelle iraniane o degli hezbollah. Putin ammette che Gerusalemme debba difendere i suoi interessi vitali anche fuori dai suoi confini e in particolare in una situazione geopolitica come quella siriana controllata dal condominio russo-iraniano. Il silenzio russo in queste circostanze non può che mettere in allarme Teheran, che sa bene che la conclusione della questione siriana metterà a confronto i russi e gli iraniani: ambedue le parti non possono continuare a regolare insieme le questioni della regione in tempo di pace, perché i fondamenti ideologici di ispirazione sciita saranno incompatibili, come già ora è evidente, con il mondo sunnita in fortissimo allarme. Il legame attuale tra i sauditi e gli americani non è contrastato dai russi, segno che questi ultimi non intendono creare un ulteriore motivo di crisi nell’area. I buoni rapporti tra Washington e Riad, e con il resto della parte sunnita, è un fatto che non allarma Mosca, il cui obiettivo è di non dare spazio alle milizie filo-iraniane, che, in caso di contrasto tra russi e americani, tenderebbero a porsi dalla parte di Mosca, aggravando il fardello di un’alleanza che già adesso comincia a essere scomoda per Putin. Tra l’altro, la storia ci insegna che è impossibile il controllo condiviso di una regione da parte di due dittature. Con l’accoglienza nel proprio territorio dei Caschi bianchi minacciati di morte da parte siriana e iraniana, Israele è venuto incontro alle preoccupazioni di Putin, che non avrebbe potuto tollerare un’iniziativa di estrema gravità contraria agli interessi di Mosca. È molto probabile che la mossa di Netanyahu sia avvenuta dopo un colloquio con Trump e lo stesso Putin. Non si tratta di aspetti marginali della questione. Netanyahu sta coltivando da tempo e con estrema attenzione i rapporti con Putin, che allo stato attuale sono più cogenti per Israele rispetto a quelli con Washington. A tutto questo occorre aggiungere la collocazione delle forze in campo nello Yemen. In questo settore cruciale della penisola arabica sta emergendo un aspetto del conflitto molto interessante. La coalizione degli Stati della penisola sta svolgendo un’operazione militare (definita “Golden Victory”), ma ancora non incisiva come si dovrebbe, per ricacciare fuori dallo Yemen le milizie Houthi, foraggiate dall’Iran, e le stesse formazioni hezbollah. Nonostante qualche incomprensione tra gli alleati, la coalizione dei paesi arabi sunniti (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Marocco, Bahrain, Egitto, Kuwait, Sudan, Giordania e varie milizie di mercenari), sostenuta dal punto di vista dell’intelligence e della logistica da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, opera, di fatto, contro l’Iran, la cui ambizione è di mettere piede nella penisola arabica. Per i paesi arabi di quella regione sarebbe un pericolo mortale. Ma l’aspetto più interessante è che la Russia non è interessata a sostenere le formazioni pro-iraniane in Yemen, sia perché non può tollerare la pericolosa presenza di Teheran in un’area strategicamente fondamentale tra il Golfo Persico (o Golfo Arabico) e il Mar Rosso, sia perché non intende pestare i piedi soprattutto a Washington, e indirettamente a quella coalizione che ha assunto un atteggiamento non più espressamente ostile nei confronti di Israele. In definitiva, quest’alleanza che lotta contro l’Iran e la sua pericolosa espansione nel Medio Oriente, a partire dallo Yemen, potrebbe essere il preludio per una definitiva resa dei conti in Libano. Soluzione possibile, anche se non all’ordine del giorno. Israele, a sua volta, mantiene contatti riservati con i regnanti del Golfo, al fine di rinsaldare un collegamento indispensabile per i suoi piani. D’altro canto, occorre dire che per quei paesi è fondamentale l’amicizia degli Stati Uniti, per le ragioni sopra dette, e, di conseguenza, anche un positivo rapporto con Gerusalemme, principale asset di Washington nel Medio Oriente.