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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.07.2018 L'ebreo errante non si ferma
Barbara Notaro Dietrich intervista Ermanno Tedeschi

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 luglio 2018
Pagina: 6
Autore: Barbara Notaro Dietrich
Titolo: «L'ebreo errante non si ferma»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA, ed.torinese, a pag.6 con il titolo "L'ebreo errante non si ferma" il ritratto di Ermanno Tedeschi di Barbara Notaro Dietrich

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Barbara Notaro Dietrich                    Ermanno Tedeschi

Un ebreo errante. Ama definirsi così Ermanno Tedeschi. Ed errante lo è davvero. Per lavoro e inquietudine. Per curiosità, legami familiari e radici sparse per il mondo: una figlia a Parigi, un figlio a Milano, il cuore in Israele. Non ha una casa di proprietà, non l'ha mai avuta. Ha avuto quattro gallerie d'arte (Torino, Milano, Roma, Tel Aviv) e oggi ha uno studio che pare una casa, tappezzato dalle opere dei suoi artisti e dai suoi feticci sentimentali, i giocattoli. Inclusa una bambola che è stata di sua madre. E una bambola campeggia in una delle opere dell'israeliana Orna Ben Ami che sarà in mostra con una personale all'Archivio di Stato di Torino a settembre, curata da Tedeschi e che è già passata per Agrigento. «Una regione incredibile la Sicilia — dichiara entusiasta Tedeschi — Di recente ho portato a Palazzo Steri a Palermo Sher Avner, che sarà a ottobre al Museo della Scrittura di Torino. E un artista che lavora sui graffiti e si è ispirato anche a quelli del Palazzo che era il luogo dove imprigionavano gli eretici, ebrei inclusi. Avner si è studiato le mappe di Palermo e le ha messe in contrapposizione a quelle di Gerusalemme, due città che hanno storie molto simili». Ma è tutto il Sud, o meglio la sua energia ad entusiasmare Tedeschi: «La senti. Percepisci una voglia di fare enorme, come in Israele. Quando torno qui mi invece mi intristisco». Eppure Torino è la città di Tedeschi, dove è nato, dove ancora vive il padre, nella stessa casa che fu del nonno. «Certo è bella e mi ha dato tanto e ci torno volentieri, ma vado via altrettanto volentieri. Mi deprime la staticità che si sta creando, una sorta di resa che si percepisce». Fatta eccezione per Borgo Dora. Ricordo L'esposizione che ho portato a Matera si intitola «L'infanzia indimenticabile», perché c'è la memoria storica e quella personale, altrettanto importante, dove Tedeschi ha il suo studio: «Questo è appunto un borgo, una sorta di paese. I miei vicini sono un fotografo, un impresario edile, un venditore di oggetti vintage. Speriamo solo non diventi come San Salvario o il Quadrilatero. Ogni tanto vengono gli amici e capita quello che succedeva alle cene nelle mie gallerie». Incontri che nulla hanno a che vedere con il circo mediatico dell'arte. «Sinceramente non lo amo. Lo frequento ma alcuni atteggiamenti non mi appartengono. La socialità è altra cosa. L'arte va portata nelle cantine, negli ospedali, tra sassi». È anche per guesto se Tedeschi ha chiuso le sue gallerie: «E stato un insieme di elementi a farmi prendere quella decisione — spiega — da una parte lo stress che comportavano, dall'altra aver capito che si era chiusa un'epoca. Non le ho vendute ma semplicemente chiuse, ricomprando il mio magazzino». Di quell'esperienza resta un volume Work in progress, che dà ragione di dieci anni di vita professionale e non solo, perché l'appendice è scritta, e disegnata, dagli amici e da chi lo ha conosciuto e amato. Da quel momento, era il 2014, Tedeschi si è fatto curatore e non solo: «Ho lavorato e lavoro perla fondazione Meneghetti, poi per il museo della Scrittura di Cesare Verona e sono anche una sorta di manager di artisti, una start up vivente: li scovo, li faccio crescere e poi li lascio andare per il mondo». Ma non sceglie tutti quelli che si rivolgono a lui, «perché l'arte deve darmi gioia e serenità. Le mode non mi interessano, né quello che tira sul mercato. Era così anche quando avevo le gallerie». E tra tanti artisti che Tedeschi ha seguito, è particolarmente affezionato a Valerio Berruti, «non solo un grande artista ma una persona pulita, e Barbara Neirotti, «una mia creatura totale». Ora l'arte è la sua vita ma da piccolo Tedeschi sognava di fare il taxista: «In realtà a 12 anni volevo fare il neuropsichiatra infantile, insomma medico come papà. Poi la mia vita è cambiata. Non solo perché sono entrato nel Bené akiva (movimento religioso giovanile mondiale ndr) ma perché volevo andare a vivere in Israele. Mi sono iscritto ad Agraria. Poi le cose sono cambiate. Non ho rimpianti, soprattutto perché ora ho 4 nipoti magnifici e sono un nonno giovane». Eppure Israele è rimasta nel cuore e nel dna di Tedeschi: «Mi sento profondamente legato alla radice ebraica». Nella sua lunga e breve vita Tedeschi si è occupato anche di politica. «Di questa esperienza rammento la figura di Valerio Zanone. Era un altro mondo, altri ideali. Che nemmeno si ricordano più. Se manca la memoria, viene a mancare tutto. La storia si ripete. I barconi che arrivano in Italia e vengono respinti sono come le navi che tentavano di attraccare in Palestina. La mostra che ho portato a Matera, con 25 artisti israeliani e 25 italiani, si intitola «L'infanzia indimenticabile», perché c'è la memoria storica e quella personale, altrettanto importante per la vita di ognuno di noi». Altri grandi uomini hanno segnato la vita di Tedeschi, da Shimon Peres, «a 93 anni diceva di dover guardare al futuro», ad Arturo Schwarz, «è stato il mio maestro». E oggi? «Oggi il vero intellettuale come il vero politico non esiste più, senza contare che per noi l'Olocausto ha significato un'intera generazione di pensiero azzerata che solo ora si sta riprendendo». E quindi si va avanti, tentando non di cambiare il mondo, ma almeno di correggerlo.

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