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La Stampa Rassegna Stampa
24.07.2018 Tel Aviv, la frontiera più avanzata dei diritti Lgbt
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 24 luglio 2018
Pagina: 23
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «E' Tel Aviv la frontiera più avanzata dei diritti gay»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/07/2018, a pag. 23 con il titolo "E' Tel Aviv la frontiera più avanzata dei diritti gay", il commento di Elena Loewenthal.

Rimandiamo per approfondire alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=260&sez=120&id=71424

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Elena Loewenthal

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Raramente si è vista in Israele una mobilitazione come quella che domenica, cioè il primo giorno lavorativo della settimana, ha coinvolto in forme diverse praticamente tutto il Paese. Mentre l’universo ortodosso celebrava il digiuno del 9 di Av, forse il momento più triste del calendario ebraico in cui si ricorda la distruzione del Tempio di Gerusalemme (e che quest’anno era stato posticipato di un giorno perché non cadesse durante lo Shabbat), il resto del Paese si infuriava contro il governo per un emendamento alla legge sulla genitorialità surrogata che di fatto esclude questa possibilità per i padri gay, mentre lo stesso Netanyahu aveva poco prima assicurato i movimenti Lgbt sul fatto che il provvedimento sarebbe passato. Di fatto, soprattutto a Tel Aviv, le coppie di genitori omosessuali sono più che «normali», ma si costruiscono attraverso adozioni o diversi escamotage giuridici. L’emendamento non avrebbe fatto altro che fotografare la realtà.

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Tel Aviv, frontiera avanzata dei diritti gay, Tel Aviv che è una fra le città più gay friendly del mondo, dove il paesaggio urbano e umano contempla tutta la possibile gamma di situazioni di coppia e non, con o senza bambini, si è sentita profondamente tradita, e ha reagito portando alla propria causa grandi fette del Paese.

La protesta è culminata in quello che è stato un inedito, concettualmente rivoluzionario sciopero nazionale a favore dei gay, a cui hanno preso parte moltissimi lavoratori. E moltissimi datori di lavoro hanno deciso di non detrarre dallo stipendio la giornata di sciopero dei propri dipendenti, in questa occasione, per solidarietà. Domenica sera in piazza Rabin circa sessantamila persone si sono radunate per la manifestazione di protesta. Esponenti politici, compresi alcuni del Likud, ufficiali dell’esercito, il sindacato nazionale, e altre voci istituzionali non hanno fatto mancare la loro solidarietà alla protesta. E sui social network lo slogan «tutti hanno diritto a una famiglia» accompagnato dalla bandiera arcobaleno, ha spopolato su profili di gay, etero, uomini, donne. In altre parole, quella grossa fetta d’Israele estranea alle restrizioni degli schemi tradizionali, liberale e aperta, ha alzato la voce sdegnata dal passo falso del governo – e soprattutto di Netanyahu che si è rimangiato la parola data sull’emendamento, con un gesto di sudditanza all’ala ortodossa e conservatrice dello schieramento politico. Il tutto a pochi giorni dallo «scandalo» del rabbino conservative, cioè non ortodosso, fermato per avere celebrato un matrimonio – in Israele non esiste ancora il matrimonio civile, lo celebrano le diverse autorità religiose, e per l’ebraismo vige quello dell’ortodossia –, e all’indomani del national bill che se in realtà non dice nulla di nuovo su nazione, religione, identità, è stato visto da molti come l’apripista per una restrizione dei diritti delle varie minoranze che vivono nel Paese, gli arabi prima di tutti.

Dunque la protesta di domenica, che si è manifestata nelle forme più diverse, anche spontanee (per qualche tempo i manifestanti hanno anche bloccato la tangenziale di Tel Aviv) attesta una preoccupazione generale che ha al suo cuore la questione fondamentali dei diritti individuali in una società multiforme, fatta di tante identità diverse che devono poter convivere senza conflittualità, nel rispetto dei diritti. E naturalmente anche dei doveri.

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direttore@lastampa.it

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