IC7 - Il commento di Claudia De Benedetti
Dal 15 al 21 luglio 2018
Tishà beAv
Oggi cade il digiuno di Tishà beAv, il più triste e luttuoso del calendario ebraico. Una regola fondamentale dell’ebraismo prevede che il Sabato, lo Shabbat, sia sacro, debba essere celebrato in maniera lieta e cancelli ogni lutto. Negli anni come questo, in cui il 9 - Tishà in ebraico - di Av cade di sabato il digiuno viene perciò posticipato al giorno successivo, cioè al 10 di Av. Per 26 ore, dal tramonto del sole di ieri fino alla comparsa delle prime tre stelle di oggi, gli ebrei digiunano, non bevono né mangiano nulla, non indossano calzature in cuoio, non hanno rapporti coniugali, siedono in terra, applicano gran parte delle regole previste per Yom Kippur, il giorno del digiuno di espiazione.
L'Arco di Tito, a Roma
Secondo la tradizione il 9 di Av è avvenuta la distruzione dei due templi di Gerusalemme nel 586 a.e.v. ad opera dei Babilonesi e nel 70 per mano dei romani guidati da Tito. Altri eventi tragici sono ricordati in questa giornata: la caduta della città di Beitar dopo una strenua lotta contro le truppe romane, episodio che, di fatto, sancì la fine della resistenza ebraica nel II secondo secolo ed infine la cacciata degli ebrei dalla Spagna. C’è poi un episodio biblico che viene ricordato: il divieto all’ingresso in terra d‘Israele della generazione uscita dall’Egitto a causa della sfiducia nell’aiuto divino e nella bontà della terra promessa, una sfiducia dimostrata fidandosi delle spie inviate ad esplorare la terra di Canaan e tornate terrorizzate “come insetti” di fronte ai “giganti” che la abitavano. Il lutto è quindi per la perdita della patria, che è il luogo assegnato da Dio al popolo ebraico, e per il proprio culto.
Il digiuno del 9 di Av non è dunque semplicemente una testimonianza del legame storico fra il popolo ebraico e Gerusalemme. Come molti altri aspetti del culto ebraico, per esempio la preghiera, detta tre volte ogni giorno e dopo ogni pasto, per la ricostruzione di Gerusalemme, l’invocazione alla fine del rito pasquale, numerosi salmi, esso dice che senza Gerusalemme, e il suo completo e pacifico possesso, l’ebraismo è incompleto, carente, incapace di seguire la sua legge. Nella giornata di oggi passato e presente s’identificano totalmente. L’ebraismo di oggi e Israele non possono e non devono prescindere dalla tradizione a noi tramandata dalla Torà, dall’intera storia ebraica in tutta la sua plurimillenaria esistenza e dalla situazione mediorientale attuale. La perennità di questa tradizione, testimoniata anche dal legame di nuovi lutti successivamente attribuiti alla stessa data, parla alla coscienza ebraica di una continuità storica del proprio destino e, innanzitutto, dell’imprescindibile legame con Gerusalemme.
Il Muro occidentale, a Gerusalemme
L’ebraismo non distingue tra ricordo storico nazionale e ricorrenza religiosa, perché la divinità viene incontrata collettivamente dal popolo e nella storia, che si tratti di un dono di libertà che salva o della punizione terribile che Dio commina. Chi pensa di staccare il popolo ebraico dalla sua tradizione religiosa, dalla Torà, come purtroppo e troppo spesso avviene di questi tempi, ma anche chi cerca di staccare le tradizioni religiose dal destino del popolo, come avviene tristemente per alcune frange ultraortodosse di charedim, non solo mette a rischio la sopravvivenza di entrambi ma dimostra di non aver capito nulla neppure di quello che, fra questi due principi, dice di amare. Gerusalemme è una e indivisibile, con il suo tempio distrutto, con il suo ricordo, con la sua indiscussa volontà di ritornarvi, Gerusalemme ha unito e unisce il popolo ebraico di ogni generazione proprio perché nelle Bibbia è definita come “donata”. Anche da un punto di vista totalmente laico, questa memoria ha un significato profondo. E’ come se ad Atene si celebrasse una giornata di lutto per le Termopili o a Roma per l’assedio di Roma di Porsenna: cose che si studiano a scuola o si vedono nei film, ma che non sono oggetto di memoria viva e di passione reale. Invece in queste ore entrando nei luoghi in cui l’ebraismo è vivo si comprende che il lutto è reale, condiviso, ancora bruciante. Ciò testimonia, naturalmente, dell’attaccamento del popolo ebraico alla Terra d’Israele e a Gerusalemme, un attaccamento personale, emotivo, conservato per millenni, che né le oppressioni romane, né quelle Babilonesi, né quelle musulmane e cristiane sono riuscite a eliminare.
Gerusalemme ha un suo cuore pulsante straordinario, un’anima concreta, un’identità indistruttibile. Chiunque pensi al labirinto politico mediorientale deve tener conto di questo fatto. E l’odio di sé di alcuni, la faziosità e il disprezzo per il popolo che motivano le loro azioni, sono certamente una buona ragione per mantenere viva questa ricorrenza e cercare di ricordarla per riflettere sull’oggi.
Claudia De Benedetti
Presidente Sochnut Italia – Agenzia Ebraica per Israele