Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/07/2018, a pag.21, con il titolo "Diritti delle donne gay e democrazia. La nuova rivoluzione che scuote la Tunisia" il commento di Rolla Scolari.
Rolla Scolari
Le rivoluzioni non si fanno soltanto in piazza. E il dibattito che in queste settimane scuote la Tunisia racconta come la rivolta che nel 2011 ha messo fine al decennale regime di Zine el-Abidine Ben Ali abbia aperto scenari inediti.
È accesa la discussione innescata nel Paese dal rapporto della Commissione delle libertà individuali e dell’uguaglianza, consegnato all’anziano presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, promotore dell’iniziativa.
La Commissione è stata istituita l’estate scorsa per lavorare a un documento relativo al miglioramento delle libertà individuali, per rendere la legislazione conforme alla Costituzione post-rivoluzionaria del 2014 e al diritto internazionale. Oltre duecento pagine che saranno usate dal presidente come linee guida di riforme legislative da proporre al parlamento. Qualcosa si potrebbe muovere già alla fine del mese.
Beji Caid Essebsi
Riunisce un gruppo di accademici, esperti di diritto costituzionale, pubblico e islamico, magistrati e attivisti, guidati dall’energica deputata Bochra Belhaj Hmida, avvocato e storica femminista tunisina.
Le misure proposte dal rapporto, che oggi divide il Paese, scardinano tabù appena sussurrati nel resto del mondo arabo-islamico: la riforma delle leggi sull’eredità - nel Corano la questione non lascia spazio a interpretazione: alla donna spetta la metà dell’uomo -; la riorganizzazione della dote della donna; la fine del divieto per i caffè di servire durante il mese del digiuno sacro di Ramadan; l’eliminazione del reato di omosessualità; l’abrogazione della pena di morte; l’idea che la protezione del sacro non debba limitare la libertà di coscienza; l’annullamento del crimine di blasfemia; la ridefinizione dei concetti di ordine pubblico e di morale; l’abolizione dell’articolo del Codice dello statuto personale che rende il marito capofamiglia.
L’opposizione
Le critiche sono arrivate subito dalle istituzioni islamiche, mentre le proposte mettono in difficoltà gli islamisti di Ennahda, in coalizione con il partito laico al potere, Nidaa Tounes. Per la Zaytouna, università e moschea, indebolito centro del sapere islamico tunisino, il rapporto «minaccia l’identità arabo-islamica del popolo tunisino, i suoi valori spirituali e morali», ma anche «la pace e l’armonia della società, destabilizza la sicurezza, la sovranità e l’unità nazionali».
Dall’altra parte, intellettuali, accademici, attivisti hanno siglato una petizione in sostegno del documento: «Afferma il diritto della società allo sviluppo, al progresso, la consacrazione dei valori di libertà, giustizia e uguaglianza». I lavori della Commissione sono considerati il proseguimento di una tradizione di riforme sociali inaugurata nel 1956 dall’ex presidente Habib Bourguiba, con quel Codice di statuto personale che, tra le altre cose, aboliva in anticipo sui tempi la poligamia.
La forza della realpolitik
I membri della Commissione, che hanno come obiettivo la riforma del sistema giuridico, consapevoli della sensibilità dei temi trattati, hanno fatto diverse proposte (di vario grado) sulle questioni più delicate. In un Paese in cui 70 persone sono state condannate per omosessualità nel 2017 (dato dell’Association Tunisienne de défense des libertés individuelles) la commissione ha proposto di cancellare il reato, o di eliminare almeno la condanna al carcere, per esempio.
Le sorti delle riforme sono ora nelle mani del presidente, che deciderà quali progetti di legge proporre alla discussione del Parlamento. Se l’opposizione di Ennahda alle proposte che toccano il diritto islamico è forte, occorre ricordare come, su un’altra questione altrettanto controversa, la realpolitik abbia prevalso nelle scelte degli islamisti, che l’anno scorso non si sono opposti al divieto di matrimonio tra una musulmana e un non musulmano, altro tabù nel mondo islamico.
Comunque vada, ci dice la femminista ed ex presidente dell’Association Tunisienne des femmes démocrates, Monia Ben Jemia, «la sola esistenza del rapporto potrebbe far cambiare tutto, non soltanto qui. Si tratta di rivendicazioni che avevamo prima del 2011, ma abbiamo potuto esprimerci e fare campagna soltanto dopo la rivoluzione».
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