'I mistici di Mile End', di Sigal Samuel Recensione di Susanna Nirenstein
Testata: La Repubblica Data: 19 luglio 2018 Pagina: 29 Autore: Susanna Nirenstein Titolo: «Gruppo di famiglia in un interno canadese»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 19/07/2018, a pag.29, con il titolo "Gruppo di famiglia in un interno canadese" la recensione di Susanna Nirenstein.
Susanna Nirenstein
“I mistici di Mile End” di Sigal Samuel, scrittrice, commediografa e studiosa di ebraismo La geometria narrativa interna a I mistici di Mile End di Sigal Samuel, una giovane ebrea canadese al suo esordio, è un cerchio tracciato con intelligenza tra i desideri, le fantasie (o dovremmo chiamarle allucinazioni?), i disastri dei personaggi di una famiglia disfunzionale. Ossessionata dalla religione o viceversa da laicismo e scientismo, ma comunque piena di interrogativi sulla Kabalah e il suo Albero della Vita, figura chiave del misticismo ebraico. L’avvicinamento o l’allontanamento dal sacro, nel romanzo, muove ognuno dei personaggi, ne determina la stabilità, il rapporto con gli altri, con la vita e con la morte. Sigal Samuel, commediografa, collaboratrice assidua di The Atlantic, del Forward, del Daily Beast, conosce bene il terreno spinoso della mistica ebraica. Non solo suo padre è stato professore di Kabalah all’università di Montreal, ma il suo bis bis nonno, un ebreo indiano di Mumbai, era un famoso kabalista.
La copertina (Keller ed.)
Cresciuta tra testi tanto ardui e comunque in una famiglia modernamente ortodossa, a Sigal, che ama ancora la tradizione ma non si dice religiosa, non risulta difficile immaginarsi dei destini toccati dal desiderio della scintilla e della conoscenza divina, anche se all’inizio, quando l’io narrante è il dodicenne Lev, il più piccolo della famiglia Meyer, niente fa presumere che l’atmosfera si scalderà così tanto. E comunque, al posto di Sigal Samuel, non avremmo usato la voce del ragazzino nell’incipit del libro, un teenager soprattutto sofferente dei rapporti insoddisfacenti col padre David e la sorella Samara, detta anche Samy, dopo la morte improvvisa, in un incidente, della mamma Miriam, religiosa, dolce, allegra, scomparsa troppo presto lasciando alle spalle una casa interamente smarrita. Fin da subito comunque entriamo nella materia del contendere: Lev è attratto e respinto dal laicismo forsennato del genitore, fortemente incuriosito dalla strada intrapresa dalla sorella che si sta preparando, di nascosto al padre, al bat-mitzvah, la cerimonia di ingresso ebraica nella maggiore età. Ma è quando a parlare è il personaggio di David, che le righe si fanno incandescenti.
Sigal Samuel
Ribelle all’impostazione materialista dei suoi, si è rivolto all’ambiente ortodosso dove ha incontrato la sua Miriam, ma nella maturità è diventato refrattario perfino alla parola fede, preso da Kafka piuttosto che da Nietzsche, e questo nonostante in ambito accademico insegni religione. Eppure, dopo un attacco di cuore, dopo il contatto con la morte, ascoltando nei giorni seguenti i mormorii dei suoi battiti fallaci, inizia in modo allucinatorio a sentire dentro di sé l’aprirsi dei sentieri della Kabalah e a illudersi di poterli percorrere spingendo al massimo il ritmo per ascoltare la voce di Dio. È la sua fine a lasciare mille interrogativi a Samy, diventata ora l’io narrante: quella scomparsa la travolge. Dopo il bat-mitzvah disapprovato dal padre disattento, non crede più. Ma ora, mentre vive la sua relazione amorosa con una giovane donna, legge i testi scritti ultimamente dal babbo sull’Albero della vita: la sua esistenza quotidiana, l’università prima, il lavoro dopo, sono fragili, insensati, i dettami della Kabalah invece rappresentano un vortice che le ridona il significato di cui va in cerca. Sigal Samuel è brava a introdurci in un universo così inconsueto senza folklorizzarlo minimamente, popolandolo anche di personaggi secondari che brillano di luce propria, riuscendo piuttosto a normalizzarlo, a calarlo nel cuore di una famiglia scollata ma accessibile, contemporanea. E i possibili vicini della porta accanto a Mile End — il quartiere di Montreal dove convivono hassid, hipster e gente qualsiasi e dove la Samuel ambienta il romanzo — sono l’ultima voce narrante del libro, e ci fanno vedere che tutto, nel nostro mondo, è davvero possibile.
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