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La Stampa Rassegna Stampa
13.07.2018 80 anni fa le leggi razziste contro gli ebrei
Commenti di Amedeo Osti Guerrazzi, Mirella Serri

Testata: La Stampa
Data: 13 luglio 2018
Pagina: 26
Autore: Amedeo Osti Guerrazzi - Mirella Serri
Titolo: «Ottant’anni fa le leggi razziali - Un documento scritto sotto dettatura del Duce»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/07/2018, a pag. 46, con il titolo "Ottant’anni fa le leggi razziali", l'analisi di Amedeo Osti Guerrazzi; con il titolo "Un documento scritto sotto dettatura del Duce", il commento di Mirella Serri.

Ecco gli articoli:

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Amedeo Osti Guerrazzi: "Ottant’anni fa le leggi razziali"

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Amedeo Osti Guerrazzi

È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti». È il 14 luglio del 1938, e sul Giornale d’Italia appare un articolo anonimo intitolato «Il fascismo e il problema della razza», meglio conosciuto come «Manifesto della razza». Il «Manifesto», poi ripreso da tutta la stampa italiana, è un «decalogo» che, al primo punto afferma che «le razze umane esistono». I punti successivi dichiarano che esiste una gerarchia tra le razze (concetto, quest’ultimo, «puramente biologico»), che esiste una «pura razza italiana», e che «è tempo che gli italiani si dichiarino francamente razzisti». Al punto 9 gli ebrei vengono descritti come «non appartenenti alla razza italiana» e si conclude con il decimo e ultimo punto secondo il quale «I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in alcun modo».
Tra i firmatari vi sono alcuni dei migliori scienziati italiani, tra i quali Guido Landra, Nicola Pende e Sabato Visco. Anche se sembra che solo Landra sia stato l’autore del testo, nessuno degli altri firmatari si oppone a questa serie di orrori scientifici. Con il loro prestigio, questi docenti universitari «certificano» una serie di affermazioni che nulla hanno a che vedere con la scienza.

Scienza opportunistica
È il primo passo degli scienziati italiani in favore del razzismo, voluto da Mussolini per suscitare odio nei confronti di una minoranza e per ottenere consenso attorno a una serie di provvedimenti che, nei mesi e negli anni successivi, escluderanno i cittadini ebrei di religione ebraica dalla società. I motivi che hanno spinto il dittatore a scatenare la campagna antiebraica sono noti: creare un nemico interno contro il quale mobilitare la società, a suo parere ormai troppo «imborghesita», e avvicinarsi ancora di più alla Germania nazista.
Una politica caratterizzata da uno straordinario cinismo voluta da Mussolini in persona, senza alcuna pressione dall’esterno. Il «Manifesto» ha un effetto molto forte sull’opinione pubblica. Il Regime fascista esprime apertamente per la prima volta la sua vocazione apertamente razzista e, soprattutto, dichiara che una minoranza è un corpo estraneo alla comunità nazionale.

Sconcerto
In un primissimo momento, gli italiani osservano queste leggi con un certo scetticismo. Un forte e radicato sentimento antiebraico in Italia non c’è. La comunità ebraica è piccola, perfettamente inserita nella società e nelle istituzioni. Come tutti, gli ebrei hanno partecipato alle guerre, hanno dato il loro contributo alla società, alla cultura e all’economia italiane, e molti hanno anche aderito al fascismo. Si tratta dunque di una trovata propagandistica che non avrà conseguenze?
E invece alle parole seguono, con ritmo incalzante, i fatti. In agosto gli ebrei sono costretti a dichiarare la propria «appartenenza razziale», cioè censiti. È una operazione che viene giustificata con la necessità di capire le esatte dimensioni del «problema ebraico», per analizzare «l’influenza» degli ebrei sulla società. È un modo per far capire all’opinione pubblica che gli ebrei sono troppi, e che il loro «potere» deve essere limitato.

Zelanti esecutori
A settembre segue l’esclusione degli ebrei dalle scuole e dalle università. A novembre le leggi razziali vere e proprie, con la cacciata dagli impieghi pubblici, dalle professioni, dal partito fascista, dall’esercito. Agli ebrei è anche vietato di sposarsi con gli «ariani», come gli italiani stanno scoprendo di essere.
Una serie di leggi, seguite da una propaganda incessante e pervasiva che, passo dopo passo, deve convincere gli italiani che gli ebrei sono una «razza» e che rappresentano un pericolo per la propria società. Le parole dell’odio, mascherate da argomenti razionali e oggettivi convincono una parte, forse neanche piccola, dell’opinione pubblica che è necessario difendersi contro una minoranza diversa, infida e mai realmente leale nei confronti del paese che li ha accolti. Mussolini ha buon gioco nel resuscitare gli antichi pregiudizi della tradizione cattolica, mentre una parte degli italiani è immediatamente pronta ad approfittare dei posti di lavoro lasciati liberi dai perseguitati.
La politica antiebraica iniziata nel 1938 non è senza conseguenze, e non soltanto per le vittime.

Sono molti, troppi gli italiani che, per far carriera, per mettersi in mostra davanti ai gerarchi in camicia nera si dichiarano razzisti, pubblicano articoli antiebraici, rompono i rapporti con amici e colleghi ebrei. Sono tanti, troppi, quelli che fanno il vuoto attorno ai conoscenti e ai vicini di casa ebrei. Ma soprattutto sono tanti, troppi quelli che, durante l’occupazione tedesca, nel 1943-1945, collaborano con i nazisti nella caccia all’ebreo, caccia che si conclude, sempre, ad Auschwitz.
Una politica nata nel 1938, per volontà di un dittatore, apparentemente innocua, apparentemente «giusta» e «necessaria» per «difendere gli italiani», si trasforma, nel corso degli anni, nell’armamentario politico e ideologico che porta allo sterminio.

Mirella Serri: "Un documento scritto sotto dettatura del Duce" 

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Mirella Serri

Maledette donne! Soprattutto se di colore: dopo la conquista dell’Etiopia, Mussolini era impaziente di ostacolare il «madamato». L’11 maggio 1936 emanò un decreto legge per colpire i soldati italiani che convivevano more uxorio con le signorine etiopi.

Contro i meticci
Chi fu l’intellettuale che più applaudì il provvedimento sostenendo che metteva gli italiani al riparo dalla nascita dei meticci, di quei «bastardi che sono una spaventosa peste per la civiltà spirituale e politica, economica e sociale»? Fu uno dei più noti giornalisti del Duce, Virginio Gayda: era così convinto delle ragioni della campagna razziale che ne sosteneva l’utilità per «inoculare» nei nostri militari un «fiero senso della superiorità della loro razza che non deve essere contaminata e avvilita».

Laureatosi all’Università di Torino, Gayda fu un brillante corrispondente di guerra de La Stampa. Era un vero asso della politica estera. Mussolini a metà degli anni Venti lo chiamò al timone de Il Giornale d’Italia e lui lo trasformò in un organo così autorevole che all’estero era considerato il portavoce ufficioso del regime.
Proprio su quel quotidiano, il 14 luglio 1938 Mussolini fece pubblicare «Il fascismo e i problemi della razza», ovvero il terribile «Manifesto degli scienziati razzisti». Ma come mai con tanti periodici a disposizione il capo del governo scelse la testata diretta da Gayda per lastricare la via italiana al razzismo? «L’autorevolezza della fonte garantiva che il messaggio mussoliniano avrebbe fatto il giro del mondo», osserva lo storico Mauro Canali che ha dedicato a Gayda e al razzismo importanti studi. «Mussolini non volle esporsi in prima persona ma accreditare la convinzione che il messaggio razzista elaborato dai maggiori scienziati venisse dalla pancia della nazione, che fosse un’esigenza del popolo italiano». Però fin da subito si cominciò a parlare della paternità di quel vergognoso manifesto.

L’intervento decisivo
Galeazzo Ciano annotò: «Mi dice che in realtà l’ha quasi completamente redatto lui». Giuseppe Bottai, a proposito della seduta del Gran Consiglio del 6 ottobre, in cui si stava discutendo della questione razziale, riportò che Mussolini aveva affermato: «Sono io, che praticamente l’ho dettato». Anche Gayda riconosceva l’intervento del Duce nella definizione di quel testo razzista che segnò tragicamente il destino degli ebrei italiani. Il giornalista morì nel 1944, a 58 anni, a Roma sotto un bombardamento mentre stava prendendo lezioni d’inglese da un’anziana signora. Forse, temendo le conseguenze di quanto aveva fatto, sperava di potersi riciclare. Come fecero poi gli scienziati firmatari del manifesto pesantemente rimaneggiato dal dittatore.

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