Un Iron Wall per Israele
Analisi di Antonio Donno
Il sistema antimissile di difesa Iron Dome
Non si conosce nulla del piano di Trump per la sistemazione definitiva del conflitto israelo-palestinese. Tuttavia, le iniziative prese finora dal presidente americano hanno un significato ben preciso. La dichiarazione di Gerusalemme come capitale di Israele e lo spostamento dell’Ambasciata americana nella città non devono essere considerati atti isolati di pura simpatia per lo Stato ebraico, per quanto da quel momento nessun’altra iniziativa sia stata presa da Washington. È da mettere in conto che probabilmente l’Amministrazione americana tenda a lasciar marcire la situazione, nonostante i recenti fatti di Gaza, che peraltro confermano la grave mancanza di prospettive politiche per i palestinesi, acuita dal fatto che gli sviluppi politico-militari dell’intera regione hanno relegato ai margini la questione israelo-palestinese. In un recente articolo sul “Jerusalem Post” (6 luglio), Gideon Saar, riprendendo i contenuti di un suo discorso all’annuale conferenza dell’Israel Victory Project of the Middle East Forum, ha sottolineato la necessità per Israele di porre fine agli accordi di Oslo. Come ha da tempo scritto Efraim Karsh, quegli accordi sono stati una vera e propria iattura per Israele, perché hanno stabilito in modo ufficiale che “la pace e la sicurezza – scrive Saar – saranno raggiunte per mezzo di due Stati tra il Mediterraneo e il Giordano”.
Gideon Saar
Da qui il ripetersi del ritornello, a livello internazionale, che la soluzione non potrà essere che la creazione di due Stati. Ma la storia ha dimostrato inequivocabilmente che la soluzione dei due Stati è di fatto rifiutata da parte araba e che gli accordi di Oslo erano per i palestinesi un prezioso passo in avanti per un riconoscimento internazionale, e nient’altro. Infatti, ben dopo quegli accordi, quando prima Ehud Barack (2000), poi Ehud Olmert (2008) hanno offerto questa soluzione, Arafat si è tirato indietro. I fatti della storia, come diceva Renzo De Felice, parlano da soli. Non v’è bisogno di interpretazioni. Così, è per questo motivo che è inconcepibile che Trump possa ripetere per l’ennesima volta la proposta dei due Stati; a meno che il presidente americano non ritenga che l’attuale gravissima situazione politica dei palestinesi, dovuta anche alla marginalità della questione nel contesto di un Medio Oriente in ebollizione, li costringa di fatto ad accettare questa soluzione. Ma Hamas, a Gaza, mai accetterà il compromesso e un contrasto con l’Autorità Palestinese potrebbe portare a una seconda guerra civile tra i palestinesi. In questo caso, il conflitto tra le due anime aggraverebbe l’esplosiva situazione mediorientale. Ecco perché sarebbe un atto controproducente per Trump riproporre una soluzione ormai priva di fondamento politico, inaridita nel tempo dal rifiuto stesso da parte palestinese. Da parte israeliana, scrive Saar, occorre mettere in piedi un “Iron Wall”, come un tempo aveva detto Ze’ev Jabotinsky. In realtà, Netanyahu sta facendo questo, e con il consenso di Trump. Come scrive ancora Saar, “il paradigma della vittoria pone – proprio come l’“Iron Wall” – che un accordo possa essere possibile nel futuro, ma soltanto dopo che la vittoria di Israele sarà chiara e assoluta. In altre parole, quando si verifica un’assenza di alternative da parte di coloro che non vogliono il compromesso (per esempio, i palestinesi)”. Netanyahu punta a quest’esito, anche perché – come si è detto – Israele usufruisce di una situazione generale della regione, che certo è sempre gravida di incognite, ma che si prospetta oggi più favorevole, o meno sfavorevole. Se i palestinesi ancor oggi puntano non alla fine del conflitto con Israele, ma alla fine dell’esistenza di Israele, i loro conti si dimostrano sempre più fuori dalla realtà. Netanyahu è ben consapevole del vuoto di prospettive per i palestinesi e proprio per questo rende sempre più alto l’“Iron Wall” di Israele. Da questo punto di vista, il favore di cui l’AP gode a livello internazionale è una scatola vuota, perché, al di là delle divisioni interne al mondo palestinese, la soluzione dei due Stati sarebbe per il popolo palestinese un tradimento delle vecchie chimere dei decenni trascorsi. Paradossalmente, su questo argomento Israele non può essere che d’accordo con il suo nemico.
Antonio Donno