Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/07/2018, a pag. I, con il titolo "Chi tocca l'islam 'muore' " il commento di Giulio Meotti.
Giulio Meotti
La vita di Georges Bensoussan cambia il 10 ottobre 2015. Il celebre storico francese, direttore editoriale del Mémorial de la Shoah e fra i massimi studiosi di antisemitismo e medio oriente (i suoi libri sono pubblicati in Italia da Einaudi), è ospite della trasmissione radiofonica Répliques su France 2. Si parla di fallimento dell’integrazione nelle banlieue, le periferie francesi, su cui Bensoussan ha curato il libro Les Territoires perdus de la République: “Non ci sarà alcuna integrazione fino a quando non ci saremo liberati di questo antisemitismo atavico”, dice Bensoussan. “Il sociologo algerino Smain Laacher, con grande coraggio, ha detto che nelle famiglie arabe in Francia, è risaputo ma nessuno vuole dirlo, l’antisemitismo arriva con il latte materno”. Da quel momento, la carriera di Bensoussan subisce una feroce battuta d’arresto. Il Movimento contro il razzismo e per l’amicizia fra i popoli, che sull’islam aveva già fatto processare Oriana Fallaci per La rabbia e l’orgoglio, il malpensante Éric Zemmour e Michel Houellebecq, annuncia subito che trascinerà Bensoussan in tribunale per istigazione all’odio razziale: “Il Memoriale è un patrimonio comune che nasce dall’orrore dello sterminio degli ebrei” denuncia il Mrap. “E’ scandaloso e atroce che Georges Bensoussan, che ne è responsabile editoriale, abbia usato parole antiarabe e razziste in un servizio pubblico. Chiediamo anche ai responsabili del Memoriale di prendere le distanze dal suo direttore editoriale che ha promosso un razzismo biologico dei più abietti”. Ma Bensoussan non è un autoesiliato di rango come Oriana Fallaci, non ha la vis polemica di Zemmour né il blasone mediatico di Houellebecq. E’ un obiettivo “facile”, uno storico serio dal carattere schivo, mite. Condurlo al massacro sarà un gioco da ragazzi. Come in una favola di La Fontaine, era soltanto necessario decidere: appeso o bruciato vivo? Bensoussan è trascinato in ben due gradi di giudizio. E’ nato anche un libro attorno al suo caso, Autopsie d’un déni d’antisémitisme, con le testimonianze di grandi storici come Pierre Nora, dello scrittore algerino Boualem Sansal e del regista Jacques Tarnero. E’ stato creato pure un comitato di sostegno, animato da Barbara Lefebvre. Ad aprile, quando Bensoussan si presenta in appello, in quell’aula di Parigi regna una “atmosfera kafkiana”, come la definisce il settimanale Marianne, uno dei pochi grandi media francesi che si schierano a fianco dell’imputato.
Georges Bensoussan
La petizione portata avanti da Nora denuncia il trattamento inflitto allo storico, gettato nel fango come un razzista volgare. Mediapart, il giornale online di Edwy Plenel, l’intellettuale della gauche islamofila e della soumission ideo - logica, guida la grancassa mediatica contro Bensoussan. Al primo piano del Palais de Justice a Parigi, l’aula è minuscola, appena quindici posti. Ma più di cento persone si sono affollate alla porta, un’ora prima dell’udienza. Erano stati appena uccisi il colonnello Arnaud Beltrame e la sopravvissuta alla Shoah Mireille Knoll (insieme con altri dodici ebrei assassinati, l’antisemitismo spicciolo quotidiano, l’esodo interno delle comunità ebraiche, la fuga a migliaia in Israele). Il clima è teso. Diverse sagome femminili velate aspettano fuori dall’aula. Un’affluenza attesa, dopo tutto, visto che il processo d’appello di Bensoussan è emblematico. Fra gli accusatori dello storico c’è anche la Lega dei diritti dell’uomo, rappresentata da Michel Tubiana, l’ex presidente. Vale la pena ricordare che la Lega fu creata nel 1898 per difendere il capitano ebreo accusato di tradimento Dreyfus. Dall’altra parte, il sostegno di Bensoussan, come al tempo di Dreyfus, è minimo. Il giornalista Philippe Val, l’avvocato Noëlle Lenoir (già ministro degli Affari europei), lo storico belga Joel Kotek, si presentano a dargli man forte. L’avvocato Michel Laval smantellerà brillantemente punto per punto l’“impostura giudiziaria” su cui è costruito tutto il caso. “Sono considerato alla stregua di Xavier Vallat, l’uomo dello statuto degli ebrei sotto Vichy” dice Bensoussan in aula. Lo storico ebreo francese di origine marocchina diventa il “Vallat dei musulmani”, come il commissario alle Questions Juives durante la Seconda Guerra mondiale. I musulmani sono i nuovi ebrei, i perseguitati, i censiti, gli stigmatizzati, i ghettizzati. L’avvocato Noëlle Lenoir, ex giudice costituzionale, assume un tono doloroso: “Esprimo la mia ribellione e la mia costernazione nello scoprire che nella Francia del XXI secolo, un intellettuale può essere portato davanti a un tribunale penale per una citazione sociologica. Questo processo è un altro passo in una strategia di intimidazione rivolta a tutti coloro che denunciano l’ascesa più allarmante di una nuova forma di antisemitismo in Francia e di orribili crimini commessi nel suo nome”. L’ultimo discorso di Bensoussan, alla fine dell’udienza, è tragico: “Sono francese in tutte le fibre della mia anima. Se dovessi pensare di lasciare questo paese un giorno, sarebbe una totale sconfitta morale. ‘Una strana sconfitta’, ha scritto Marc Bloch. Non deve succedere”. In aula spicca la presenza di Alain Finkielkraut, venuto a testimoniare a favore di Bensoussan. Di fronte al giudice, Fabienne Siredey-Garnier, c’è anche Lila Charef, a capo del dipartimento legale del Collettivo contro l’islamofobia, che indossava il velo islamico. Questo gruppo è un’emanazione della Fratellanza musulmana, che non fa mistero di voler islamizzare i paesi europei e imbavagliare ogni critica sul mondo islamico. “Le associazioni antirazziste non sono più in lotta contro il razzismo, il loro obiettivo è di vietare il pensiero, è quello di sottrarre la realtà alle indagini e alle critiche”, dice Finkielkraut, che si è dimesso dalla Lega contro l’antisemitismo per aver trascinato Bensoussan in giudizio. “Sono sorpreso di essere qui perché la questione non è se Bensoussan è colpevole: la questione è se ha detto la verità!”.
Al primo processo ha parlato Michel Sibony, docente in pensione, ecumenico di rango, membro dell’Unione ebraica francese per la pace, che ha accusato Bensoussan di “un discorso degno di Drumont” (un famoso ideologo antisemita degli inizi del XX secolo). Dall’Algeria arriva la lettera di sostegno a Bensoussan inviata dallo scrittore Boualem Sansal: “Io stesso ho denunciato la cultura dell’odio instillata nelle famiglie arabe. Dire che l’antisemitismo è all’interno della cultura è semplicemente ripetere ciò che è scritto nel Corano e insegnato in moschea”. “La negazione della realtà è un cancro”, scrive anche Elisabeth Badinter sul caso Bensoussan. Il Consiglio superiore dell’audiovisivo invia un “avvertimento” a France Culture, affermando che “alcune osservazioni di Bensoussan avrebbero potuto incoraggiare comportamenti discriminatori”. Il Consiglio castiga anche l’autore del programma, Alain Finkielkraut, reo di non aver “in nessun momento contribuito al controllo dell’emittente”. Processato, esecrato, adesso Bensoussan è diventato anche una persona non grata allo stesso Mémorial de la Shoah. Lo storico ha inviato una lettera a Danielle Khayat, magistrato in pensione che ha scritto articoli in sua difesa, rivelandole quanto sta avvenendo. Ne siamo venuti a conoscenza. “E’ stata una vergogna assoluta: la serratura era già stata cambiata”. Bensoussan si riferisce al fatto che, dopo che gli avevano comunicato che non poteva più entrare in ufficio a partire dal 2 luglio, che avrebbe dovuto restituire il badge, e che gli avrebbero fatto avere a casa le sue cose, invece ha potuto andare a recuperare le sue cose nel suo ufficio. “Poi dopo alcune ore, sotto semi-sorveglianza, ho potuto ordinare, scegliere, gettare, tenere, riempire otto casse di documenti e di libri. Insomma, la cacciata di un delinquente al quale si concedeva la grazia di alcune ore per recuperare i propri effetti. Dopo 25 anni di lavoro, 65 numeri della Revue de l’histoire de la Shoah, 40 libri pubblicati in coedizione, la creazione del servizio di formazione… La gestione di un delinquente con metodi dispotici e coperto dai suoi superiori gerarchici in nome dell’ordine, il conformismo di fronte alla doxa (islam e islamofobia come ossessioni del pensiero corretto), le élite ebraiche auto-istituitesi che non rappresentano più che se stesse e finite in questa negazione della giustizia, in questo crimine contro la vita intellettuale la cui missione era la storia della Shoah”. Bensoussan oggi non può più entrare al Mémorial, che non lo ha mai difeso in questi due anni. Quando gli hanno offerto di pagargli le spese del processo, Bensoussan si è rifiutato. Per due anni, il Mémorial non gli ha consentito neppure di lavorare in Francia (ha potuto svolgere attività soltanto all’estero). In un articolo per il mensile Causeur, Jacques Tarnero ha scritto: “Queste azioni legali fanno parte della panoplia di mezzi da parte degli islamisti per biasimare e mettere a tacere, dopo aver seminato il terrore. Come non riconoscere questi nemici mentre allo stesso tempo è la loro ideologia a ispirare i dilettanti della morte? Se un giorno uno storico esaminerà le ragioni di questa strana sconfitta degli anni Duemila, dovrà guardare gli archivi di questo processo”. Bensoussan esce pulito dall’azione giudiziaria, ma i suoi oppositori, i taglialingue, hanno ottenuto una vittoria di peso: aver decretato lo storico come infrequentabile sotto il peso dell’accusa di razzismo, facendo in modo che ci si allontanasse da lui, che soltanto pochi parlassero. Così si è fabbricato un mostro morale per ostracizzarlo meglio, per zittirlo. E con esso abbiamo assistito all’ascesa di una nuova grande intolleranza, una nuova parola diabolica inventata per permettere al cieco di rimanere cieco: islamofobia.
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