Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/07/2018, a pag. 3, con il titolo "Il memoir della dama d’Iran che fa ballare le ragazze a capo scoperto", l'analisi di Annina Vallarino.
Masih Alinejad
Londra. My Stealthy Freedom è la pagina social della giornalista che l’Iran non riesce a zittire: Masih Alinejad. Un milione di follower per tante battaglie, l’ultima in difesa di Maedeh Hojabri, una ragazza di diciotto anni arrestata per aver pubblicato su Instagram alcuni video in cui balla, senza velo, musica pop, in camera sua. E le femministe occidentali? Non dicono molto. “Se ti dichiari femminista, devi sostenere i diritti delle donne in tutto il mondo e non solo dove non rischi niente”: Masih Alinejad non ha dubbi quando, nel suo memoir “The Wind in my Hair: my fight for freedom in modern Iran” (non ancora pubblicato in Italia), parla di tutti quei politici europei che, sollecitati da lei a prendere posizione a favore delle donne iraniane durante le loro visite ufficiali in Iran, l’hanno delusa. Non c’è accondiscendenza per la tedesca verde Claudia Roth, per il governo femminista svedese (così si dichiara ufficialmente) o l’italiana Federica Mogherini e il loro “no, grazie” alla richiesta scritta per email da Masih di non indossare il velo durante i loro viaggi, o per lo meno di non indossarlo in maniera ortodossa, in solidarietà con le donne iraniane (dalla rivoluzione islamica del 1979 tornate a una vita di pochissimi diritti, e molti doveri, fra cui appunto quello dell’assoluto decoro). Temevano di rovinare le missioni politiche di tutt’altra portata, questa è la motivazione. Alinejad è furibonda: “Le donne iraniane mettono a rischio ogni giorno la loro libertà sfidando le leggi del velo obbligatorio, ed ecco una politica del Green Party, Roth, ignorare la voce della gente comune, per non disturbare i politici iraniani. Penso che molte donne si siano sentite tradite”. L’unica a non tradire la causa, e a non far finta di credere che il velo sia solo un velo, è stata la parlamentare europea Marietje Schaake che, in visita nel giugno 2015, si è mostrata sì copertissima ma con il mezzo capo e il collo scoperti, sconvolgendo la leadership islamica islamica e facendo discutere i media di tutto il mondo sulla legittimità o no di non seguire i codici di comportamento del paese ospitante – come se si trattasse solo di tradizioni e non di violazioni del diritti umani. Da quando aveva sette anni – l’età in cui il velo diventa obbligatorio – Alinejad ha avuto il coraggio di affrontare prima la famiglia, poverissima e devotissima al regime, poi le autorità e la polizia morale islamica (ricorda quando sua madre, analfabeta, le diceva: “Il buio ti può divorare solo se tu lasci che la paura ti entri dentro. Quindi apri i tuoi occhi il più possibile e affrontalo”). A diciannove anni è stata incarcerata per atti sovversivi: un circolo letterario di letture proibite. In carcere, ancora non ufficialmente sposata, ha scoperto di essere incinta, e una volta fuori, rilasciata da un giudice che le disse di avere abbastanza prove per un’esecuzione, non ha più smesso di lottare dovendo anche sopportare la perdita della custodia del figlio dopo il divorzio voluto dal marito (così vuole la legge), e finendo, quando già era una giornalista affermata, in esilio. Nel 2014, Alinejad pubblicò su Facebook una foto che la mostrava con la sua criniera di riccioli mentre saltellava per una via di New York: il post fu condiviso da migliaia di persone, molte donne iraniane risposero mettendo le loro foto clandestine senza hijab. Così sono nati My Stealthy Freedom e l’hashtag WhiteWednesday (se sei per la libertà, ogni mercoledì sera esci con il velo bianco). La violazione di un diritto Ogni giorno Masih Alinejad riceve centinaia di foto e pubblica sui social queste storie di vita quotidiana in Iran, potentissime. In questi giorni sta accadendo qualcosa di speciale: decine di video di donne iraniane che ballano, #dancing_isn’t_a_crime. Con o senza velo, dentro casa o isolate in qualche via o parco, le donne ballano in solidarietà con la diciottenne Maedeh Hojabri. Alinejad aveva capito da tempo che il velo coercitivo è il più chiaro simbolo di oppressione femminile: “Se non puoi decidere come coprire il tuo capo, non hai nemmeno potere su quello che va dentro la tua testa”. E’ per questo che il silenzio di liberal, femministe, progressisti occidentali la fa arrabbiare. Si oppongono al divieto francese al burkini, in nome di una libertà di scelta, ma non combattono il velo obbligatorio in Iran? Alinejad non ha dubbi: il femminismo occidentale usa due pesi e due misure, un double standard che non può che nuocere alle donne con pochi o senza diritti.
Ayaan Hirsi Ali
E’ la stessa idea che ha animato le iniziative, i libri e la vita di Ayaan Hirsi Ali, che condanna la tendenza tutta liberal di dividere il mondo fra figlie e figliastre, e il #metoo vale soltanto per alcune e contro alcuni, e così si perde l’occasione di trasformare la battaglia in uno strumento globale, intraculturale, valido per tutti. Hirsi Ali è la fondatrice di AHA, una fondazione in difesa dei diritti delle donne, e si chiede come mai in occidente non riusciamo a parlare di mutilazione genitale, delitti d’onore e matrimoni forzati (violenze perpetuate anche da noi) con la stessa veemenza con cui giustamente parliamo di abusi sessuali e potere. Forse i nostri liberal, le nostre sinistre hanno così tanto timore di confondersi con i razzisti, gli islamofobici da rinunciare a dare voce a questioni importanti. Le voci esiliate di Alinejad e Hirsi Ali ci dicono proprio questo, quanto sarebbe salutare depoliticizzare alcune questioni, e riportarle a quello che sono: difesa di diritti umani. Rispettare il velo coercitivo non è rispettare una tradizione ma rispettare una violazione di un diritto umano. Una settimana fa su My Stealthy Freedom Alinejad ha pubblicato un video in cui cammina per una via di New York a capo scoperto, dietro di lei passa una donna con un chador nero e subito dopo un’altra in canottiera e minigonna (dopotutto è estate). Nel video, Masih dice che è esattamente questo quello che vorrebbe per il suo paese: la libertà per le donne di poter scegliere cosa indossare e di essere pari agli uomini, in diritti e doveri. Vale come promessa per il futuro, per le bambine che ora a sette anni iniziano a mettersi il velo, e che magari troveranno la forza di essere da grandi ciò che desiderano, a capo scoperto.
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