Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/06/2018, a pag. 1 con il titolo "Prima gli iraniani!", l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Ieri è stato il secondo giorno di sciopero generale dei bazaar in molte città dell’Iran – inclusa la capitale Teheran – contro il governo e contro il potere religioso dei mullah. E’ stato uno sciopero molto duro, ci sono stati scontri con la polizia, negozi danneggiati, veicoli dati alle fiamme. Dopo l’uscita con onore dal Mondiale di calcio della Nazionale iraniana avvenuta lunedì contro il Portogallo, il clima nel paese è di nuovo quello di fine dicembre e inizio gennaio, quando focolai di protesta si accesero in 75 città del paese, ma risparmiarono la capitale Teheran.
Proteste in Iran nel dicembre 2017
Le proteste furono spente con la forza bruta, la polizia uccise una trentina circa di manifestanti. La differenza con quella prima ondata è che questa volta scende in piazza anche un segmento diverso della società iraniana, a manifestare non ci sono più soltanto i mostazafin, i “senza scarpe”, i forgotten man di Mashaad, la città molto conservatrice al confine con l’Afghanistan dove l’inflazione troppo alta fece scoppiare le prime proteste. Adesso ci sono anche i bazaari, i commercianti di Teheran, che prediligono il quieto vivere e si muovono soltanto se la situazione sta virando verso l’insostenibile. Non tutti i commercianti sono d’accordo. Ieri una folla di qualche centinaio di persone girava per il Gran bazaar della capitale costringendo i negozianti ancora aperti a chiudere. Dopo è passata la polizia a rompere le finestre di tutti i negozi chiusi, senza fare distinzioni. Nel 2009, quando gli studenti e i giovani dei quartieri bene di Teheran nord formarono l’Onda verde e scesero in piazza si parlò di una protesta libertaria incapace di raccogliere il consenso di tutto il resto della nazione. Ora le condizioni economiche mordono: negli ultimi sei mesi la moneta, il rial, ha perso il cinquanta per cento del suo valore e questa settimana c’è stato un crollo brusco – tra sabato e domenica il tasso di cambio è passato da 75 mila a 90 mila rial contro un dollaro, prima di calmarsi un po’ – e il ritorno delle sanzioni economiche americane minaccia di peggiorare ancora di più la situazione. Ieri il dipartimento di stato ha invitato tutto il mondo a non importare più petrolio iraniano a partire dal 4 novembre. Gli slogan della gente non riguardano l’economia in senso stretto, sono politici, sono contro il fatto – evidente a tutti – che il governo iraniano insegue aspirazioni e sogni da potenza internazionale, investe quantità enormi di denaro nei paesi del medio oriente e trascura i suoi cittadini. “Lasciate la Siria da sola e pensate a noi”, gridava ieri una piccola folla sotto le finestre del Parlamento. Nelle strade si è sentito anche l’impensabile slogan “Mar - gbar al Falastin!”, “morte alla Palestina”, come reazione esasperata degli iraniani che vedono il governo spendere molto per finanziare gruppi come Hamas, Hezbollah e il Jihad islamico in guerra contro Israele, senza preoccuparsi troppo dell’economia domestica. Alcuni analisti dicono che i pasdaran potrebbero approfittare della situazione per incolpare e poi spodestare il presidente Hassan Rohani. L’ambizione internazionale causa un’emorragia di risorse. Secondo la rivista americana Bloomberg, il regime iraniano ha speso sei miliardi di dollari finora per appoggiare il presidente siriano Bashar el Assad. Ieri un sito che monitora lo spostamento delle petroliere (TankerTrackers) ha rivelato che una singola petroliera iraniana ha trasportato quasi cinque milioni di barili di greggio dall’Iran alla Siria negli ultimi 315 giorni, per sostenere il governo siriano. Figurarsi come si sentono molti cittadini di fronte a questi dati. Prima gli iraniani.
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