Riprendiamo oggi, 26/06/2018, dal MANIFESTO, a pag. 12, con il titolo "La rivoluzione del 1979 e la forza politica delle iraniane", l'intervista di Farian Sabahi a Jamileh Kadivar.
La tecnica di Farian Sabahi è ben nota a chi si occupa di informazione sul Medio Oriente e ai dissidenti persiani: presentare una parte della dissidenza accettata dal regime degli ayatollah in modo da far apparire l'Iran teocratico come non troppo liberticida. La realtà, però, è differente. Farian Sabahi quando collaborava con La Stampa manipolò un'intervista a Abraham B. Yehoshua, il quale smentì con una lettera pubblicata sul quotidiano torinese. In quella circostanza Sabahi fu allontanata dalla Stampa.
Poi ha cominciato a collaborare al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore - evidentemente gode di buone entrature - propagandando l'immagine di un Iran moderato che è lontanissima dalla realtà: un "Iran-washing" con cui cerca di ripulire il regime degli ayatollah dai crimini che quotidianamente compie. Oggi la vediamo scrivere sul Manifesto: il posto più indicato per le sue idee. Informazione Corretta ha già denunciato più volte l'attività di Sabahi.
Per avere maggiori informazioni sul lavoro da lei svolto in Italia, è utile sentire l'opinione dell'opposizione iraniana in esilio nel nostro Paese.
Oggi Sabahi intervista Jamileh Kadivar, sorella e moglie di due ayatollah inseriti pienamente nel regime di Teheran. E' quindi ovvio che le risposte siano di pieno sostegno alla dittatura clericale iraniana. Le domande di Sabahi sono studiate per far dire all'intervistata che l'Iran è un Paese in cui le donne non vengono discriminate, ma anzi sono tutelate. Il solito sistema subdolo che ben conosciamo: domande all'apparenza critiche, che però in realtà rendono accettabili e convincenti le risposte.
Ecco il pezzo:
Farian Sabahi
Jamileh Kadivar
«Quando è scoppiata la rivoluzione avevo quattordici anni, partecipai alle proteste ma non votai nel referendum che sancì l'istituzione della Repubblica islamica. Non misi la scheda nell'urna, ma partecipai come osservatrice in un seggio elettorale». Esordisce con questo ricordo Jamileh Kadivar, ospite del Taobuk di Taormina per discutere della Rivoluzione del 1979 e del potere politico delle donne. Esponente del movimento d'opposizione Onda verde che nel 2009 dovette soccombere ai brogli e alla repressione, aveva militato a fianco di Mehdi Karrubi, ancora agli arresti domiciliari come Mir Hossein Musavi e Zahra Rahnavard. Jamileh è stata consulente per le questioni mediatiche di Khatami, membro nella giunta municipale di Teheran e deputata. Suo fratello è l'hayatollah Mohsen Kadivar (allievo del Grande Ayatollah Montazeri) e il marito è Ayatollah Mohajerani (già ministro della Cultura con il presidente Khatami eletto nel 1997): una famiglia impegnata sul fronte riformatore.
Ali Khamenei
Quanto sono importanti le questioni di genere in Iran? Avevano una valenza politica nella monarchia e ancor più oggi nella Repubblica islamica a causa delle pressioni occidentali e del velo obbligatorio, diventato simbolo politico: difenderlo è un modo per dire no alle interferenze straniere.
Quanto potere politico hanno le iraniane? Ne hanno più oggi che al tempo dello scià, perché il potere politico è la capacità di accedere, influenzare, controllare, cambiare e creare nuovi discorsi politici. Il potere non è limitato alla semplice presenza nelle istituzioni, che non sono la sola fonte di potere, ma si estende alla società civile. Lei è laureata in Scienze politiche e ha insegnato all'Università di Teheran, dove due matricole su tre sono donne.
Come giudica il modo in cui la stampa occidentale scrive delle iraniane? Utilizzando i dati forniti dai gruppi d'opposizione e da gente che abita fuori dal paese e non ha informazioni aggiornate, passa l'immagine di vittime inermi di un sistema teocratico che non fa che opprimerle. Questo stereotipo è in parte dovuto al velo obbligatorio, e in parte alla volontà di ignorare i progressi compiuti dal 1979 ad oggi.
Quali tasselli mancano al lettore occidentale per comprendere «l'universo femminile» iraniano? La propaganda contro l'Iran omette il fatto che in questi quattro decenni le iraniane hanno migliorato le proprie condizioni di vita da sole, senza aiuti stranieri. Oggi le iraniane sono presenti in molteplici settori, anche in politica. Gli ostacoli sono tanti, ma non hanno perso la speranza nel futuro. E non è stato l'Ayatollah Khomeini a relegare le donne al ruolo di casalinghe, tant'è che dichiarò: «Le signore hanno il diritto di interferire in politica, è loro dovere e responsabilità». Detto questo, l'accesso delle donne all'arena politica ha portato allo scontro tra due diverse fazioni: per i tradizionalisti la donna è solo moglie e madre; i riformisti non colgono invece alcuna contraddizione tra il ruolo in famiglia e le attività sociopolitiche, portano a esempio le prime musulmane che combatterono a fianco del profeta Maometto, e ricordano che le iraniane hanno partecipato alla Rivoluzione del 1979 e dato il loro contributo nella guerra scatenata da Saddam Hussein nel 1980. Come in altri casi, con gli uomini al fronte, le donne furono costrette ad assumere ruoli in diversi ambiti.
L'Iran è al 177esimo posto nel report delle Nazioni Unite «Women in Politics»: le deputate sono soltanto 17 (su 290)... Il potere politico non sta solo nelle istituzioni ma anche nella società civile, tant'è che le donne sono sempre presenti nelle dimostrazioni di protesta. Poco alla volta la presenza femminile nelle istituzioni è diventata la norma. Era stato Khatami a infrangere il tabù, scegliendo cinque donne consulenti. Nel 2009 Ahmadinejad aveva optato per tre ministre. L'attuale presidente Rohani ha due vice presidenti, un'assistente e una donna ambasciatore. Nei prossimi tre anni un terzo delle posizioni manageriali dell'esecutivo dovrà essere occupato al femminile. Le quote rose sono una forma di discriminazione positiva che può funzionare.
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