Turchia alle urne. Riprendiamo oggi 21/06/2018, due servizi accurati che aiutano a capire l'atmosfera in cui si troverà il regime dittatoriale di Erdogan.
Italia Oggi-Roberto Giardina: "Il futuro di Erdogan è a Berlino"
Robero Giardina
Il destino di Erdogan in gioco a Berlino? La prossima domenica si vota in Turchia, ma il risultato potrebbe essere deciso dai turchi residenti all'estero, e in particolare in Germania. La capitale tedesca, con circa 300 mila residenti emigrati dal Bosforo, è, di fatto, la più grande città turca sul continente, con più abitanti della parte europea di Istanbul. La legge non consente di votare per lettera, e bisogna recarsi dunque in uno dei tredici consolati, e il voto all'estero, aperto il 7 giugno, si è chiuso martedì. Solo nell'ultima domenica hanno esercitato il loro diritto in oltre centomila. In totale avevano votato in 588 mila sul milione 447.585 aventi diritto, circa il 40%, troppo poco. In totale i turchi residenti all'estero sono il 5% del totale, in gran parte in Germania e il loro voto potrebbe essere decisivo. In occasione del referendum dell'aprile 2017 aveva votato il 48,8% e, con sorpresa degli analisti, ben il 67% a favore dell'uomo forte di Ankara. Una percentuale importante, dato che Erdogan finì per prevalere con un margine ristretto. Ora, la partecipazione più bassa dovrebbe lasciar pensare che i suoi fan sono delusi, ma è facile sbagliarsi. Superficialmente si supponeva che i turchi residenti da tre generazioni in Germania, e in gran parte integrati, sarebbero stati contrari alla riforma costituzionale che attribuiva troppi poteri al presidente. Invece i deutschtürken si sono comportati in modo schizofrenico: da una parte godono e apprezzano i diritti democratici accordati dalla Costituzione tedesca, poi quando sono chiamati a decidere sul futuro del loro paese votano in modo reazionario. Una contraddizione apparente. Erdogan ha risvegliato l'orgoglio nazionalistico. Il presidente che sfida il mondo, che conduce una politica spregiudicata in Siria e contro l'Iran, muovendosi con abilità tra Putin e Trump, piace ai suoi connazionali, soprattutto a quelli delle classi meno fortunate. Una buona parte degli emigrati in Europa proviene dall'Anatolia. I turchi di Germania sembrano bene integrati, dieci deputati di origine turca siedono al Bundestag, hanno successo scrittori turchi che scrivono in tedesco e il regista Fatih Akin con La sposa turca ha vinto la Berlinale. Ma adesso sembra prevalere l'estremismo. I giovani attaccano i coetanei ebrei per strada e a scuola, e i turchi hanno partecipato alla grande manifestazione contro Israele davanti al Bundestag. Erdogan ha cercato invano di venire in Germania per la sua campagna elettorale, e ha protestato con veemenza contro il divieto antidemocratico, ma probabilmente ciò ha fatto aumentare i voti a suo favore, come in Austria, dopo la decisione del premier Sebastian Kurz di espellere sette imam che nelle moschee predicavano odio contro i cristiani. «E una guerra di religione», ha denunciato Erdogan, che è un abilissimo populista. Erdogan, che ha 64 anni, e da quindici è al potere, resta preoccupato. Lo Spiegel ha parlato con una ventina di stretti collaboratori che hanno rilasciato anonimamente dichiarazioni pessimiste. L'esito del voto domenica appare sempre meno certo, e ci si prepara al peggio. Che cosa avverrà dopo? Le previsioni sono scontate. In caso di vittoria ci si dovrà attendere un intervento ancora più deciso in Siria. Se Erdogan verrà sconfitto, la Turchia potrebbe precipitare in una crisi drammatica. Nessuno pare in grado di prendere il posto del sultano e di assicurare stabilità al paese.
La Stampa-Marta Ottaviani: " Con Erdogan ora siamo tutti più poveri "
Marta Ottaviani
C’è chi già pensa al peggio, chi è rassegnato, chi si mette una mano sul portafoglio. La grande novità a quattro giorni da un election day già definito storico - si voterà -, è che dopo tanto tempo in Turchia c’è chi spera. Forse spera (e brinda) un po’ troppo. Che «il Reis», il presidente in carica Recep Tayyip Erdogan, possa al massimo concedere un secondo turno il prossimo 8 luglio, sembra il più razionale dei dati di fatto. Ma il popolo turco vive di emozioni e se da una parte l’opposizione, seppur ancora divisa, sembra per la prima volta determinata a rappresentare un’alternativa concreta agli islamici sempre meno moderati dell’Akp, dall’altra parte il presidente Erdogan non ammalia più come una volta. Più ricchi, più poveri Se quindi il capo di Stato non vincerà al primo turno, ma andrà al ballottaggio, sarà in parte merito di questa opposizione rinata, ma in buona dose demerito suo. O meglio, della situazione economica del Paese. L’economia turca, almeno stando ai darti sul Pil, continua a crescere. I dati del primo trimestre 2018 hanno segnalato un aumento del prodotto interno lordo del 7,4%, ma l’inflazione è tornata a due cifre e soprattutto il cambio su euro e dollaro è fuori controllo da parecchi mesi. «Si tratta di un problema molto grosso – spiega l’analista economico del quotidiano Birgun, Mustafa Erdemol -. Riguarda gli imprenditori, perché l’export turco è ad alta intensità di importazione quindi riescono a fare margini, ma molto meno su quello che vendono. I consumatori, poi, complice anche l’inflazione, vedono il potere di acquisto del loro stipendio diminuito. Tutto questo in una città, Istanbul, che negli ultimi cinque è diventata sempre più cara». A giugno, l’agenzia Standard & Poor’s, a sorpresa, ha ridotto il suo rating del debito sovrano della Turchia ponendolo nel cosiddetto «junk territory» (territorio spazzatura). Il ministro delle Finanze, Mehmet Simsek, ha reagito duramente, bollando la mossa come un modo per favorire gli speculatori e influire sul risultato elettorale. Campagna a senso unico E mentre Istanbul sembra diventata un città di saldi perenni, dove tutti i negozi offrono merce scontata e il traffico è reso ancora più caotico per le decine di cantieri aperti in città (stanno costruendo l’ennesima linea di metropolitana), la campagna elettorale continua, in modo palesemente sbilanciato. Ovunque è pieno di manifesti con la faccia del presidente Erdogan e scritte come «La Grande Turchia ha bisogno di un grande leader». Alcuni ricordano anche il periodo in cui è stato sindaco di Istanbul, a sottolineare i progressi compiuti dalla megalopoli sul Bosforo. Ma dall’altra parte sono determinati, se non a vincere, almeno a fargliela seriamente sudare. Muharrem Ince, il candidato del Chp, il Partito laico e repubblicano, è più agguerrito del previsto e ha dimostrato di avere una certa predisposizione a stare in mezzo alla gente, cosa che per un leader turco è fondamentale. Il leader curdo, Selahattin Demirtas, sta confermando tutto il suo carisma nonostante si trovi in carcere e abbia fatto una campagna elettorale completamente virtuale, con messaggi scritti a mano e postati dai suoi avvocati e video registrati in cella con lo smartphone sempre dai suoi legali. Infine, Meral Aksener, la prima candidata donna alla presidenza della Repubblica turca, è attestata in modo positivo nei sondaggi, nonostante abbia fondato un nuovo partito appena sei mesi fa. Che Erdogan questa volta passi al primo turno è molto difficile. Fino all’ultima speranza Intanto, nella Istanbul più europea ci credono, a costo di bruschi risvegli dopo un bel sogno. «Stavolta lo mandiamo a casa – afferma convinto un venditore ambulante di frutta a Okmeydani, quartiere dove vivono molti curdi e dove hanno trovato casa anche parecchi rifugiati siriani -. La gente è stanca e adesso sta venendo fuori che economicamente navighiamo sul nulla. I conti a fine mese iniziano a non tornare. L’era Erdogan è finita». C’è poi chi ne fa una questione molto più ideologica. «Prevedo un’affluenza molto alta – spiega Zeynep, fa volantinaggio per pagarsi parte degli studi –. Questa volta gli si rivoltano contro i giovani che lui dice di amare tanto». Il più equilibrato di tutti, sembra il tassista, categoria che in almeno Turchia, fiuta in anticipo le tendenze nel Paese: «Ho sempre votato Erdogan. Questa volta non lo voto, perché mi ha stancato. Ma vince lui. Affluenza record tra gli elettori all’estero per il voto presidenziale e parlamentare, che in Turchia si svolgerà domenica. Secondo il Consiglio elettorale di Ankara, la partecipazione ha raggiunto il 48,8% nelle 123 rappresentanze istituite in 60 Paesi. Alle urne, aperte fino a martedì sera, si sono recati 1.486.532 aventi diritto, sugli oltre 3 milioni totali. In molti hanno votato in Belgio e Svizzera, dove l’affluenza ha superato il 55%; in Germania, dove gli aventi diritto erano la metà del totale estero, si è fermata al 49,7%. L’affluenza all’estero è storicamente inferiore a quella in Turchia. Al referendum costituzionale sul presidenzialismo dello scorso anno, quando aveva votato il 47,9% degli elettori, il «sì» sostenuto da Erdogan aveva trionfato con percentuali superiori al risicato e contestato 51,4% totale.
Affluenza record all'estero: 1,5 milioni alle urne
Affluenza record tra gli elettori all’estero per il voto presidenziale e parlamentare, che in Turchia si svolgerà domenica. Secondo il Consiglio elettorale di Ankara, la partecipazione ha raggiunto il 48,8% nelle 123 rappresentanze istituite in 60 Paesi. Alle urne, aperte fino a martedì sera, si sono recati 1.486.532 aventi diritto, sugli oltre 3 milioni totali. In molti hanno votato in Belgio e Svizzera, dove l’affluenza ha superato il 55%; in Germania, dove gli aventi diritto erano la metà del totale estero, si è fermata al 49,7%. L’affluenza all’estero è storicamente inferiore a quella in Turchia. Al referendum costituzionale sul presidenzialismo dello scorso anno, quando aveva votato il 47,9% degli elettori, il «sì» sostenuto da Erdogan aveva trionfato con percentuali superiori al risicato e contestato 51,4% totale.
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