Turchia: la tratta delle donne schiave Analisi di Marta Ottaviani
Testata: La Stampa Data: 18 giugno 2018 Pagina: 16 Autore: Marta Ottaviani Titolo: «Turchia, la tratta delle rifugiate siriane. Vendute ai ricchi come 'seconde mogli'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/06/2018, a pag.16, con il titolo "Turchia, la tratta delle rifugiate siriane. Vendute ai ricchi come 'seconde mogli' " il commento di Marta Ottaviani.
Schiavismo e sottomissione della donna da sempre sono aspetti presenti nelle società musulmane. Succede lo stesso oggi in Turchia con migliaia di donne fuggite dalla Siria in guerra, la stessa Turchia islamizzata da Erdogan che fa ancora parte della Nato e che richiede l'ammissione in Europa, di fronte a cui l'Occidente preferisce voltare la testa.
Ecco il pezzo:
Marta Ottaviani
Vendersi per la disperazione. Essere cedute dalla propria famiglia di origine per aiutarli economicamente. Venire scelte come seconde mogli e subire vessazioni dai mariti che non si sono potute scegliere e dalle loro prime (e legittime) consorti. È il drammatico destino toccato in sorte a migliaia di donne siriane, spesso appena adolescenti, che sono scappate in Turchia per salvarsi dalla guerra civile che attanaglia il loro Paese da otto anni.
Poligamia mascherata Alcuni siriani sono riusciti a rifarsi una vita e a fare della Turchia una vera e propria seconda casa. Ma sono solo una minoranza degli oltre 3,5 milioni che hanno attraversato il confine a partire dal 2010. I campi allestiti da Ankara riescono ad assorbire appena 300 mila rifugiati. Il resto vive di espedienti, spesso senza riconoscimento legale e con lavori precari, quando ci sono. Per questo tutto diventa una risorsa. Per prime le donne. Molti padri hanno venduto le loro figlie a uomini già sposati, che le hanno prese come «seconde mogli». La poligamia in realtà in Turchia è illegale. Ma è piuttosto diffusa, soprattutto nel Sud-Est. La prima consorte viene sposata davanti alle autorità amministrative. Le altre, fino a tre, in moschea. Un matrimonio che non ha alcun valore davanti alla legge, ma solo per la comunità. Con tutto quello che ne consegue a livello di accordi privati. Molto spesso si tratta di una vera e propria svendita. Le famiglie delle giovani donne ricevono dai 200 ai 1000 euro al massimo. La seconda moglie può venire offerta in cambio di un lavoro o dell’affitto di un appartamento. Le donne siriane sono molto richieste anche perché a volte si tratta di immigrate irregolari, senza documenti, quindi inesistenti per lo Stato. Come seconde mogli, non hanno alcun diritto. Non possono richiedere la cittadinanza e in caso di «separazione» non hanno nessun diritto legale sui figli. Vite spezzate, che pensavano a un futuro, anche affettivo e che in molti casi sono state costrette a interrompere il fidanzamento con il partner nella loro città natale.
Le violenze Il fenomeno è difficile da quantificare, proprio per la sua illegalità. Ma sta assumendo proporzioni preoccupanti. Secondo la Ong, Kilis platform, nella sola Kilis, nel Sud-Est del Paese, le donne siriane prese in sposa come «seconda moglie» in moschea sarebbero almeno 5000. Oltre a un matrimonio senza amore, le giovani consorti si devono preparare a subire angherie e violenze di ogni tipo, fisiche e psicologiche. Non solo da parte del marito, ma anche dalle mogli «ufficiali», che spesso le trattano come serve, soprattutto se non sono riuscite a dare figli al proprio marito e vedono nelle spose siriane una minaccia al loro primato legale. E loro devono subire in silenzio, sviluppando spesso anche disturbi psicologici legati all’ansia. La fine dell’unione significa l’interruzione dell’accordo economico con la famiglia di provenienza.
Quasi tutte loro pensano di non avere diritti e considerano normale dipendere dai voleri paterni, soprattutto se è per aiutare il resto della famiglia. La pratica è diffusa soprattutto nelle città dove l’immigrazione siriana si è fatta maggiormente sentire, quindi Hatay e Gaziantep, due fra le località più prossime al confine. Gli uomini coinvolti molto spesso hanno passato la mezza età e collocano questa poligamia mascherata e questo sfruttamento delle donne siriane se non come un’opera di bene, di certo non come un crimine, perché stanno aiutando una famiglia musulmana.
C’è poi chi si è buttato nel business. Nel Sud-Est è pieno di mediatori, che coniugano domanda e offerta, selezionando le giovani più belle per i potenziali mariti più benestanti e cercano di concludere l’accordo, aggiudicandosi una percentuale per aver condotto la trattativa. Agiscono anche su mandato di uomini che vivono nelle maggiori città Paese, fra cui Istanbul e la religiosissima Konya. Il fenomeno su Internet Un’autentica, vergognosa tratta delle donne, che è esplosa anche su Internet. Lo scorso dicembre, dopo le pressioni della Tkfd, la Federazione turca delle associazioni per i diritti delle donne, la magistratura ha chiuso il sito evlilicik.com, che offriva anche la possibilità di cercare ragazze siriane disponibili a diventare «seconde mogli».
L’iscrizione al sito prevedeva la compilazione di un lungo questionario, che indugiava anche sulle abitudini religiose chiedendo espressamente di indicare quante volte pregassero al giorno. Venivano anche chiesti particolari sulla vita passata delle «candidate»: se fossero già state spostate e soprattutto se avessero figli. Lo stop a evlilicik.com, purtroppo, non ha certo fermato la tendenza. Basta andare sui motori di ricerca e digitare alcune parole chiave e si raggiungono siti-fotocopia. Uno di questi, suriyelikadinlar.com, propone alternative divise per città. Il dito delle associazioni è puntato contro le autorità di Ankara, accusate di favorire un atteggiamento sempre più devoto e di chiudere un occhio davanti alla poligamia e allo sfruttamento delle donne. In alcuni casi, infatti, la possibilità di contrarre un matrimonio come seconda moglie tramite il web, nasconde un destino ancora più tragico: quello della prostituzione. In molti si fingono uomini interessati ai profili delle candidate solo per avvicinarle e poi ricattarle. Una tragedia che si consuma sul corpo di donne scappate da una guerra e precipitate in un secondo inferno.
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