Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/06/2018, a pag. 35, con il titolo "Sgomberata la Casa della Diversità: 'Ma non ci chiuderanno la bocca' ", il commento di Giulia Zonca.
La Russia di Putin, principale alleato dell'Iran in Medio Oriente, calpesta ogni giorno i diritti civili e delle minoranze. I mondiali di calcio cominciati ieri sono per Mosca una occasione per ripulire la propria immagine e oscurare le proprie politiche omofobe e reazionarie.
Ecco il commento:
Giulia Zonca
Una manifestazione per i diritti LGBT
Nel cortile scalcagnato con vista sul retro del Fan Fest non ci sono insegne, scritte o indicazioni. Si apre il Mondiale e dovrebbe aprire pure la «Diversity House» di San Pietroburgo e l’indirizzo è spiegato nel dettaglio sul sito comparso da poco. «Oltre l’arco, davanti alla chiesa, ingresso dopo il Museo dei giochi sovietici, al terzo piano». Solo che lì l’unica porta è chiusa, anzi sprangata.
La «Diversity House» è stata sfrattata, meglio rimossa, ancora prima dell’inaugurazione e gli attivisti che ci lavorano hanno reagito come fanno di continuo: si sono spostati. Ci sono i grandi gesti, come quello del britannico Peter Tachell che ieri si è messo sulla Piazza Rossa, ha chiesto a Putin di smettere di ghettizzare i gay e si è fatto arrestare, poi c’è la vita quotidiana di chi sta in una nazione dove non è libero di amare. E non cede alla clandestinità. Ci vuole coraggio e insistenza o forse ci vuole l’indistruttibile sorriso di Alfred Miniakhmetov, meglio noto come Banderlong. Lui è il coordinatore di questo posto in mutamento che resterà la casa delle diversità durante i Mondiali. Quando si ritrova sbalzato nel cortile con tre energumeni che gli dicono di stare fuori chiede aiuto ai vicini.
«La scia della cultura»
Banderlong ha 31 anni, ha una laurea in Scienze ambientali e l’ottimismo nelle vene: «Non ci hanno fatto neppure prendere il materiale, avevamo una mostra fotografica già allestita... Si sono presentai dicendo che il contratto di affitto non vale. Ci hanno spintonato un po’, nessuna violenza, è già qualcosa. Bisogna insistere, educare, diffondere il concetto della differenza tra gli esseri umani. In Russia siamo cresciuti con il modello standard. Però, guardate: abbiamo trovato ospitalità». Allarga le braccia sulla terrazza subaffittata con una trattativa emotiva e chiama a raccolta i rinforzi. «Domani ci trasferiamo in un’altra sala e riprendiamo l’attività programmata». La sala pronta e inaccessibile è dietro la piazza che raccoglie i tifosi, sulla Prospettiva Nievski, l’altra è lontana dal mondo arrivato a tifare, nella zona dello Stadio Lokomotiv. Non è bastato neppure il benestare della Fifa e di Fare, il gruppo antidiscriminazione che lavora con il calcio, non è servito usare l’ombrello generico «diversità»: al progetto partecipano organizzazioni per i migranti, per i disabili e la comunità Lgbt che a San Pietroburgo si muove alla luce del sole: «Usiamo la scia della cultura».
Alya, la deejay della serata, ha uno skateboard con l’arcobaleno sotto e le ragazze che si occupano del catering sono arrivate sulla porta dell’ufficio di Banderlong, che lavora per l’associazione «Coming Out», «dopo l’aggressione della metropolitana. Che anno era? 2016? Tanto ogni semestre ce n’è una». Non è rassegnazione, smontano gli assalti, si muovono con avvocati preparati e con due palestrati biondi addetti alla sicurezza, «viene sempre qualcuno a insultarci. O peggio».
A Mosca la Diversity House ha aperto, ma non somiglia affatto a questa, ci sono andati personaggi stranieri a portare la loro testimonianza. Invitati Fifa, nessun attivista locale. «Qui abbiamo fatto tutto noi con i nostri esperti, gli psicologi, la gente della città». Nella vecchia sede c’era il maxischermo per le partite, «per ora abbiamo seguito il boato del Fan Fest, poi ci riorganizzeremo». La maggioranza è convinta che questo Mondiale possa aiutare: «Porta una serie di persone mai viste, si tratta di aprire, scardinare, fare leva su chi ha voglia di cambiare».
Rifugio dai vicini
Lena è più turbata, si spettina di continuo la frangetta: «Ci sono rimasta male». Si occupa del centro civico, «abbiamo messo su una rete e ora non possono neanche trovarci. E poi quei tre armadi urlanti... Calma, restiamo concentrati». Il gruppo si pone obiettivi minimi, qualcuno ricorda negli anni prima delle legge che proibisce ai gay di dichiararsi in pubblico «si ballava in strada, avevamo un bus trasformato in bar vicino alla Cattedrale di Sant’Isacco. Poi si è diffusa la paura». E come se ne esce? «Potrei dire con un’altra legge, con un altro presidente, ma questo non succederà a breve e non è in mano nostra. Quindi dico anche con questo Mondiale, se dimostriamo che ci siamo». In teoria il cambio di generazione dovrebbe aiutare però Ira, che ancora studia, non ne è convinta: «Ogni giovane ha in casa un vecchio che lo tira su nel rispetto delle tradizioni. Ci sono più persone aperte, ma non basta l’età a garantire una nuova mentalità».
La Russia ha vinto, la Diversity House ha trovato il modo di stappare lo champagne «vi aspettiamo numerosi». Dove è difficile capirlo, ma ci sarà sempre un murale multicolore, una deejay in skateboard, un Banderlong a indicare la strada. Vi hanno mai arrestato? «Di continuo, dalle due ore in caserma ai 15 giorni di galera. Sono esperienze». E parte l’applauso, non si arrenderanno.
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