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Bet Magazine Rassegna Stampa
11.06.2018 Antisemitismo e odio contro Israele sul web
Analisi di Claudio Vercelli

Testata: Bet Magazine
Data: 11 giugno 2018
Pagina: 27
Autore: Claudio Vercelli
Titolo: «Sul web il conflitto israelopalestinese. E il passo dall'antisionismo all'antisemitismo è molto breve»

Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, giugno 2018, a pag. 27, con il titolo "Sul web il conflitto israelopalestinese. E il passo dall'antisionismo all'antisemitismo è molto breve" l'analisi di Claudio Vercelli.

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Claudio Vercelli

Sarà anche vero che la madre dei cretini è sempre incinta, ma rimane il fatto che certuni tra di loro possono vantare una genitrice particolarmente proclive a rigenerarsi attraverso la sua prole. Mille volte si è parlato di “demenza digitale”, di hate speech e, soprattutto, di fake news. Se ne sono occupati sociologi, psicologi, professionisti della comunicazione e quant’altri. Anche il Parlamento, senza avere ancora prodotto leggi significative. Ciò per ribadire quanto il confronto incivile si sia spostato sempre di più dai luoghi reali alle piazze virtuali. Rafforzando, molto spesso, la già diffusa propensione prevaricatoria. Dopo di che, parlare di Israele e del confronto con i palestinesi, tanto più sul web, rasenta l’azzeramento di ogni forma residua di ragionevolezza, a fianco dell’esplosione di un’amplissima varietà di livori e contumelie, conditi da aggressività di ogni genere e tipo. Alla contrapposizione delle cose e delle persone si somma e si sostituisce quella delle parole, alimentandosi da sé. Una parte fondamentale di quello che porta stancamente il nome di “conflitto israelo-palestinese”, d’altro canto sta proprio dentro un involucro di immagini stereotipate, di violenze verbali gratuite, di volgarità delegittimanti variamente assortite e proferite, transitanti sui mezzi di comunicazione di massa e amplificate da una incoscienza collettiva che spasima per definirsi e riconoscersi falsamente in quanto “opinione pubblica”. Il web ha concorso a rigenerare una fallace tensione ideologica intorno a un confronto storico del quale si è perso il residuo significato.

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Si tratta di un conflitto dai capelli bianchi, quasi senescente, ripiegato su di sé. Poche altre vicende collettive, ancora aperte e comunque non meno dolorose, hanno ricevuto una così tanto dettagliata attenzione a fronte di un’ossessiva, pervicace, maniacale deformazione. Qualcuno presta una qualche attenzione alla tragedia del Sudan meridionale, resosi indipendente in questi ultimi anni e, dall’inverno del 2013, di nuovo attraversato da una guerra civile dilacerante? Oppure della deriva della Somalia? Non a caso di un tale stato di cose, a parte gli analisti e gli studiosi, poco o nulla ci raccontano le cronache quotidiane. La quasi totalità dei “giudizi” riguardo al confronto tra israeliani e palestinesi proviene da due categorie molto disponibili alle battaglie virtuali. La prima di esse è composta da coloro che non sono interessati a sapere, ma ritengono di potere sempre dire agli altri cosa debbano pensare. La seconda è costituita da quanti sono animati da un bisogno di partigianeria che travalica nell’inumano. L’isteria prodotta dalla diabolizzazione del sionismo, della quale ancora in tempi recentissimi abbiamo avuto più di una “illustre” manifestazione, fa da cornice a quest’ordine di pregiudizi. Sulle dinamiche di traslazione dell’avversione antisemita nei confronti dello Stato degli ebrei, inteso come anello terminale di un processo di “occupazione del mondo” da parte dei “giudei”, ancora debbono essere scritte parole chiare e definitive. Non mancano le analisi ricche di spunti, come quelle di Robert S. Wistrich, Elhanan Yakira, Jeffrey Herf, Pierre-André Taguieff, David Nirenberg e di altri ancora. La lettura della valanga di gratuità che i social network ci restituiscono dà, tuttavia, nuova sostanza alla riflessione in merito. Due dinamiche, tra di loro intrecciate, si rivelano nella loro natura di intelaiatura dell’«immagine antiebraica dell’ebreo» (Taguieff), pervicacemente ripetuta online. Da un lato, c’è la denuncia di una solidarietà di gruppo, comunitaria, rafforzata dalla religiosità intesa come tradizione esoterica, dalla quale deriverebbe l’idea di una permanente separatezza e di un’irriducibilità ebraica all’integrazione tra i non ebrei. Dall’altro lato, la dimensione diasporica è raffigurata come vocazione al nomadismo, all’ibridazione (la “contaminazione” delle identità altrui), quindi alla dispersione ai quattro angoli del mondo per meglio dominarne le dinamiche, in un ruolo tuttavia parassitario. Se il primo asse indica la relazione stigmatizzante tra ebraismo ed “esclusivismo”, il secondo rinnova il legame tra potere, complotto e manipolazione. L’incrocio tra i due assi, che si celebra nella retorica del «sionismo mondiale» (trasposizione della triste e infelice immagine dell’ebraismo come “piovra tentacolare”, che cerca di impossessarsi del pianeta soggiogandone i popoli), conduce direttamente alla delegittimazione d’Israele. Lo fa intersecando l’accusa di abusivismo storico (l’«entità sionista di Palestina» non avrebbe altra ragione d’essere se non quella di coordinare il complotto giudaico a livello internazionale) a quella di «razzismo ebraico», quest’ultimo incorporato nella natura stessa del sionismo. Il quale, a sua volta, non sarebbe un pensiero nazionale e un insieme di atti politici a esso connessi, bensì la manifestazione incontrovertibile del suprematismo giudaico. Non è un caso che la «nazificazione del nazionalismo ebraico» (Taguieff) nell’immaginario collettivo si sia accompagnata ai mutamenti sociali, politici e culturali del vasto insieme di forze che connotano il cosiddetto campo antimperialista, dal momento che una parte di questo è stata investita dei processi di islamizzazione del discorso antigiudaico. La resocontazione del conflitto israelo-palestinese, quindi, si incrocia e viene filtrata da questa disposizione d’animo. Cristallizzandone le forme e i contenuti, ossia destoricizzandolo e decontestualizzandolo. Un vecchio confronto per una recente demenza che non è mai stupidità, ma sempre coerenza della falsa coscienza, quella per l’appunto espressa dalle metamorfosi dell’antisemitismo contemporaneo.

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