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Shalom Rassegna Stampa
08.06.2018 Eliezer Ben Yehuda e l'ebraico moderno
Commento di Marta Spizzichino

Testata: Shalom
Data: 08 giugno 2018
Pagina: 8
Autore: Marta Spizzichino
Titolo: «Una sola terra per una sola lingua»
Riprendiamo da SHALOM di aprile-maggio 2018, a pag. 8, con il titolo "Una sola terra per una sola lingua", la recensione di Marta Spizzichino.

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Marta Spizzichino

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Eliezer Ben Yehuda

Il linguaggio è per noi facoltà essenziale, quasi scontata: è rappresentazione del mondo che ci ospita, è convenzione e presupposto stesso del pensiero, dal momento che ad ogni concetto corrispondono una o più parole. Sarebbe poi interessante capire come le lingue nascano o rinascano, quali siano le differenze tra l’italiano e l’inglese, o tra l’ebraico e il francese. A tal proposito penso spesso a Eliezer Ben Yehuda che, un po’ come Manzoni, intese la lingua come condizione di unità e indipendenza politica e come essenza della cultura di un popolo. È così che lo immagino, chino sui libri, pronto a restituire all’ebraico da secoli letto durante le preghiere, la linfa per tornare a vivere e a parlare. È stato lui il padre dell’ebraico moderno, colui che inventò o ricreò parole che nella Torah erano quasi del tutto assenti, e che oggi leggiamo sui giornali: la pistola, il gelato, la bambola o concetti astratti come l’identità. Fu però già con l’Haskalah, il movimento illuminista ebraico, che alcuni intellettuali pensarono all’ebraico biblico come lingua franca per le comunità ebraiche di tutta Europa. Non era compito affatto facile, e tra i romanzieri vi fu chi importò parole dalle lingue contemporanee, in particolare dal tedesco. Nel 1879 fu poi pubblicato sul mensile viennese della comunità ebraica, Hashahar (“l’alba”), un articolo che poneva, già dal titolo, Una domanda importante, e il cui autore era un giovane studente che si firmava con lo pseudonimo di Eliezer Ben Yehuda. Questo era nato come Eliezer Perlman e pensava che per rendere il sionismo realtà, sarebbe stato necessario agli ebrei ottenere una sola terra e parlare un’unica lingua. L’idea non venne ben accolta: utilizzare l’ebraico nella quotidianità era blasfemo sia per chi si era trasferito in Palestina sia per chi risiedeva ancora in Europa.

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Un'opera di Emanuele Luzzati

Nacque poi il primo figlio di Eliezer dalla moglie Deborah, da lui definita come “la prima madre ebraica in duemila anni”, che decise insieme al marito che il bambino avrebbe dovuto ascoltare solo parole in ebraico, neppure la ninnananna in russo era ammessa. Tale vicenda ricorda quella descritta da Amos Oz in Una storia di amore e di tenebra, dove i genitori, per motivi politici e identitari, decidono di parlare con il piccolo Amos solo in ebraico, seppur conoscessero entrambi altri dieci idiomi. Ben Yehuda si convinse poi che all’ebraico mancava uno strumento fondamentale per diventare lingua a tutti gli effetti: un dizionario. Decise dunque che ne avrebbe creato uno, un’impresa colossale che consisteva nell’individuare la parola di cui l’ebraico aveva bisogno e cercarla nel bacino bimillenario della letteratura ebraica o, laddove non la trovasse, prenderla in prestito dalla lingua araba. Il primo dizionario vide la luce nel 1908 a Berlino ma fu solo nel 1922 che l’amministrazione britannica riconobbe l’ebraico tra le lingue ufficiali del paese. È singolare pensare alla forza che le parole esercitano nel tempo, essendo esse allo stesso tempo condizione perché uno Stato esista ma anche obiettivo da raggiungere. A settant’anni dalla fondazione dello Stato di Israele possiamo dire che Ben Yehuda meriti almeno il titolo di nonno, perché pur non essendo stato presente alla sua nascita è stato tra coloro che l’hanno resa possibile, e ciò per mezzo della lingua.

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