Riprendiamo da PANORAMA di oggi, 07/06/2018, a pag. 44, con il titolo "Il mondo visto da Israele", l'analisi di Ely Karmon, Senior Research Scholar presso l'Istituto di Antiterrorismo (ICT) dell'Università di Herzliya.
Ely Karmon
L'asse fra Benjamin Netanyahu e Donald Trump ha sparigliato le carte in Medio Oriente. Ora Israele si trova in una posizione di forza, ma molte incognite restano all'orizzonte. Il premier israeliano ha portato gli Stati Uniti di nuovo su una posizione tutta anti-iraniana. E il ritiro dall'accordo nucleare con Teheran è stata anche una sua vittoria personale. Ma l'intesa con la nuova amministrazione va oltre, perché all'alleanza anti-ayatollah partecipano anche potenze chiave del mondo arabo, Arabia saudita ed Emirati arabi in testa, e in maniera più defilata Egitto. Il fronte arabo, e islamico, si è così spezzato: in parte oggi è di fatto alleato con lo Stato ebraico.
Benjamin Netanyahu, Donald Trump
Nel complesso scacchiere mediorientale si è poi inserita con prepotenza anche la Russia. Mosca ha tessuto un'alleanza con Paesi ostili come l'Iran, ma anche con la Turchia, che sfugge al controllo delle potenze della regione. Dopo lo spostamento dell' ambasciata americana a Gerusalemme, Recep Tayyip Erdogan si è fatto paladino dei diritti dei palestinesi, presentandosi come il nuovo leader incontrastato del mondo musulmano. Al tempo stesso, però, Vladimir Putin coltiva i rapporti con Netanyahu e sembra propenso ad assecondare la richiesta di ridimensionare la presenza iraniana in Siria. Putin e Netanyahu paiono aver raggiunto un'intesa che rivoluziona le alleanze nella regione nel summit del 9 maggio a Mosca. In particolare sono cambiate le «regole d'ingaggio» sul teatro siriano: ora Israele può attaccare le posizioni iraniane con un semplice preavviso, senza specificare gli obiettivi. Ma Putin ha assecondato Netanyahu anche su un altro punto: ha detto che «le forze armate straniere» devono lasciare il Paese una volta «sconfitti i terroristi». La frase lascia intendere «anche gli iraniani». Il cambiamento della strategia della Russia è straordinario e inatteso. Ma è avvenuto perché la leadership russa ritiene che l'azione dell'Iran in Siria non sia utile ai suoi obiettivi strategici. I russi vogliono stabilizzare la Siria, dove hanno due importanti basi a Latakia e a Tartus, e sono interessati anche ai giacimenti petroliferi del Paese. L'Iran è un fattore di disturbo a questi piani. Teheran è molto attiva in Siria, appoggia il regime, ma vuole anche stabilire una sua forte influenza e stabilire una presenza territoriale. L'intesa di Mosca, quindi, ha dato il via a un cambiamento strategico della Russia, non tattico. Quello che è accaduto ha una portata enorme. Non è chiaro però come l'Iran reagirà a questa novità. Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha di recente fatto un tour in Cina, Russia ed Europa, non solo per ciò che è avvenuto riguardo all'accordo nucleare con gli Stati Uniti, ma soprattutto per capire cosa sta succedendo a Mosca. La posizione di Mosca è decisiva per i futuri scenari nello scontro fra Iran e Israele, che sono sostanzialmente tre. Teheran vorrebbe attaccare Israele sulle alture del Golan. Ma lo Stato ebraico ha agito in anticipo, distruggendo metà delle difese anti-aeree siriane e 50 posizioni missilistiche e depositi di armi iraniane. Se ne verranno installate altre, non tarderà a colpire di nuovo. La seconda ipotesi è l'utilizzo del terrorismo internazionale da parte di Teheran. Lo hanno già fatto nel passato.
Nel 2012 ci furono diversi attacchi, molti dei quali falliti, in combinazione con Hezbollah: a Bangkok, in Bulgaria, a New Delhi, a Cipro, in Nigeria. Questa strategia può mettere l'Iran ed Hezbollah in difficoltà con gli europei, come dopo il tentativo fallito di attacco a un aeroporto a Cipro. Ma l'opzione più pericolosa e probabile è quella di attaccare Israele dal sud del Libano. Hezbollah si sta preparando da anni a questa missione. Dopo le recenti elezioni, Hezbollah è più forte in Libano, sia in Parlamento sia nel governo. Ciò significa che, se ci sarà un attacco, Israele reagirà e tutta l'infrastruttura del Libano sarà distrutta, come dichiarato dai leader israeliani. Sarebbe la terza guerra libanese. E Israele attaccherà probabilmente anche il territorio iraniano, secondo le minacce di recente accennate dai leader israeliani. Queste tensioni portano molti a dire che una guerra di Israele contro Bashar al-Assad in Siria sarebbe sempre più vicina. Ma ciò non è vero. Certo, se la Siria continuerà a supportare le attività iraniane, Israele potrebbe intervenire con durezza. Bisogna tenere in conto però che ora Israele ha un'intesa con il presidente Putin, e che Putin appoggia Assad. Quindi per ora Israele attaccherà solo gli iraniani. Come è successo di recente. La strategia israeliana sarà quella già adottata in Siria, quando un F16 israeliano è stato abbattuto. Poco dopo l'abbattimento è partita una ondata di raid israeliani di rappresaglia. Questa volta gli obiettivi erano postazioni e depositi di armi di Hezbollah, iraniani ma anche della difesa antiaerea siriana. Si sono anche diffusi rumour sulla possibilità che l'amministrazione Trump possa riconoscere il Golan come territorio israeliano. I leader israeliani e Netanyahu hanno interesse a che ciò avvenga, ma sarà difficile che il presidente Trump lo faccia. Eppure la vera rivoluzione nei rapporti geostrategici della regione è l'intesa tra Israele e Russia, a condizione che sia a lungo termine.
Non penso che Mosca possa portare a una distensione delle relazioni tra Israele e Iran. Il regime degli ayatollah in Iran ha un controllo capillare. Il presidente Hassan Rohani e il ministro degli Esteri Zarif hanno un ruolo importante, ma non tale da modificare la forte politica iraniana anti-americana del leader supremo Ali Khamenei (che ha appena annunciato di voler riprendere il programma di arricchimento dell'uranio). La Russia potrà convincere al massimo l'Iran a essere più flessibile in Siria. Ma niente di più. L'Iran resta la minaccia strategica principale per Israele. Ma un altro attore fondamentale, sfuggito al controllo di Stati Uniti ed Europa, è la Turchia. ll presidente Recep Tayyip Erdogan si comporta come il nuovo sultano e il nuovo leader del mondo sunnita. È già la seconda volta che invita tutti i rappresentanti dell'Oic, l'Organizzazione della cooperazione islamica, a Istanbul, mentre Arabia saudita ed Emirati arabi hanno tenuto un profilo basso e inviato solo ministri di seconda fila. Erdogan sta utilizzando le tensioni su Gerusalemme per elevarsi a leader di tutto il mondo islamico. L'evoluzione interna alla Turchia è ancora più inquietante. Erdogan sta costituendo l'organizzazione paramilitare Sadat, una milizia islamica che vuole trasformare in guardia presidenziale. Di fatto si tratta di una sorta di pasdaran turchi. Israele, in risposta al comportamento ostile del leader turco, minaccia di riconoscere il genocidio armeno, è pronta a cercare misure economiche per contrastare la minaccia di boicottaggio di Erdogan. Molti turisti israeliani che vanno in Turchia per vacanza potrebbero decidere di non andarci più. Dal canto suo, il presidente turco ha invece minacciato di imporre un embargo e di unirsi al movimento Bds per boicottare i prodotti israeliani. Sostiene in maniera molto forte Hamas a Gaza e Israele vuole che questo sostegno finisca. In sintesi la Turchia sta diventando molto simile a ciò che oggi è l'Iran, un Paese leader islamista, ma sunnita.
La Turchia in questo modo potrebbe rivendicare anche una sua leadership nella questione palestinese. Qui il nodo da sciogliere è la successione ad Abu Mazen. Ci sono sei o sette personalità che potrebbero prendere il suo posto, ma non si sa ancora esattamente chi verrà dopo di lui. Nessuno poi garantisce che la cooperazione sulla sicurezza tra Israele e l'Anp continuerà. Hamas invece seguita a destabilizzare l'Anp in Cisgiordania. Ma è anche vero che l'Anp ha portato avanti diverse battaglie all'Onu contro Israele, soprattutto sulla questione di Gerusalemme, che rischia di destabilizzare anche la vicina Giordania. Il 4 giugno il premier Hani al-Malki ha rassegnato le dimissioni sulla scia delle proteste anti-governative per l'aumento delle tasse, sostituito con Omar Razzaz. Re Abdallah II deve fronteggiare Fratelli musulmani e islamisti, e la loro retorica contro Israele e gli Usa è aumentata soprattutto con lo spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. La casa reale è però custode dei luoghi sacri in Israele e la Giordania dipende economicamente dall'Arabia Saudita, oltre che dall'Occidente. Israele è molto interessato alla sopravvivenza del regno hashemita, sin dagli anni Cinquanta.
Altro partner cruciale è l'Egitto. I rapporti strategici e militari tra i due Paesi sono eccellenti. Gli attacchi dell'Isis in Egitto sono diminuiti per la cooperazione con Israele, militare e di intelligence. Il Cairo fa pressioni su Hamas per fermare le manifestazioni violente a Gaza: è stato riaperto il valico di Rafah che era una delle cause della crisi umanitaria. Israele sta anche cooperando con Il Cairo per attenuare la crisi umanitaria a Gaza, dopo che Hamas ha distrutto il gasdotto e il valico nel Sud d'Israele da cui passavano gli aiuti umanitari. Nel mondo arabo odierno forse l'alleato più importante di Israele è l'Arabia saudita del principe ereditario Mohammad bin Salman, bastione anti-Iran assieme agli alleati nel Golfo. Ma la grande sorpresa potrebbe venire dall'Iraq: Muqtada al-Sadr, passato su posizioni anti-iraniane, è il vincitore delle elezioni, ma non si sa ancora quale sarà la coalizione che guiderà il Paese. È probabile che l'Iran si scagli contro Muqtada al-Sadr, che a sua volta si avvicinerebbe all'Arabia saudita. Un cambio di passo che potrebbe essere interessante per la stabilità dell'intera regione.
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